Non credo nelle otto del mattino. Però esistono. Le otto del mattino sono l'incontrovertibile prova della presenza del male nel mondo ("Gli ultimi giorni", Andrew Masterson)
Queste immagini fanno parte della collezione dell’Australian War Memorial. Mostrano persone che hanno combattutto durante la prima e la seconda guerra mondiale e nella guerra di Corea. Della maggior parte non ne conosciamo il nome e speriamo che possiate aiutarci a identificarle. Tutte queste fotografie possono essere viste nella galleria sul nostro sito. Fanno inoltre parte di The Commons su Flickr.
Chi vive nel capoluogo lombardo (e chi vi passasse nelle settimane a seguire) avrà la possibilità di assistere nel corso dell’autunno alla “rassegna di teatro, reading e parole” Milano e la memoria. Organizzata dalla Biblioteca Nazionale Braidense e del giornalista e scrittore Daniele Biacchessi, è partita un paio di settimane fa con i primi due appuntamenti dedicati a Lalla Romano (il comitato per il centenario della sua nascita è tra le realtà a sostegno sostengono la rassegna) e alla pellicola Le mani sulla città con un reading dello stesso Biacchessi e di Giulio Cavalli. Questi i successivi appuntamenti:
10 ottobre, “Letterature di Resistenza”. Daniele Biacchessi su Resistenza e Liberazione a Milano (letture e drammatizzazioni da Calvino, Meneghello, Fenoglio), accompagnato da Michele Fusiello ai sassofoni
17 ottobre, “Un teatro per Milano”, con Renato Sarti
31 ottobre, “Milano tra rock e canzoni”. David Bidussa su Milano nella canzone. Interviene Ezio Guaitamacchi, “Rock files”, Lifegate
7 novembre, “All’ombra di Milanoir”. Piero Colaprico sulla cronaca nera milanese
14 novembre, “Metropoli per principianti”. Gianni Biondillo sulle trasformazioni architettoniche di Milano
28 novembre, “Qualunque cosa succeda. Giorgio Ambrosoli oggi nelle parole del figlio”. Umberto Ambrosoli intervistato da Daniele Biacchessi
5 dicembre, “Una casa della memoria per il terrorismo e le stragi”. Benedetta Tobagi
12 dicembre, “12 dicembre 1969, il giorno dell’innocenza perduta”. Daniele Biacchessi legge Piazza Fontana dalla parte delle vittime, accompagnato da Michele Fusiello ai sassofoni
Per quanto alcuni episodi mi sembrassero davvero spaventevoli (ma ai tempi mi spaventavo anche con Spazio 1999), tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli ottanta non perdevo una puntata delle repliche di Ai confini della realtà. A distanza mi dico che avevo ben motivo di atterrirmi, se si considera che soprattutto le prime serie recavano firme come quelle di Rod Serling (i cui racconti originali vennero raccolti nell’omonima antologia), Richard Matheson (insuperabile in Io sono leggenda) o Charles Beaumont, che, pur meno noto ai lettori italiani, è stato un prolifico autore di fantascienza, oltre che sceneggiatore.
Ecco, cinquant’anni fa oggi, il 2 ottobre 1959, sotto il titolo originale di Twilight Zone, gli episodi iniziavano a essere mandati in onda dalla CBS. Questo anniversario lo ricorda Neatorama riprendendo un articolo che esordisce con queste parole:
Era un venerdì sera dell’ottobre 1959 e gli americani iniziarono a scivolare in una dimensione dell’immaginazione vasta quanto lo spazio e senza tempo come l’infinità. Non avrebbero mai fatto ritorno.
L’articolo prosegue raccontando che la CBS non era proprio convinta della serie al suo debutto e che avrebbe valutato se proseguire dopo aver verificato la risposta del pubblico. Di certo, così come gli americani scivolati nella dimensione di cui sopra, neanche l’emittente sarebbe tornata indietro, almeno fino al 1964, quando interruppe la produzione per problemi di budget. Ma non fu la fine di Twilight Zone che vide molti anni dopo altre due serie, per quanto meno fortunate, e un film diretto da quattro registi (Steven Spielberg, John Landis, Joe Dante e George Miller) con Serling e Matherson di nuovo alla sceneggiatura. Inoltre – sulla scia di un fenomeno inarrestabile che ha compreso fumetti, videogiochi e musica – c’è chi dice che X-Files debba in parte i suoi natali proprio alla fortunata serie nata alla fine degli anni cinquanta.
Negli Stati Uniti sono diverse le manifestazioni per festeggiare i cinque decenni di Ai confini della realtà (si vedano le notizie riportare sul sito Twilight Zone Museum) e Neatorama pone una domanda ai suoi lettori: qual è il loro episodio preferito. Il blog americano inizia a rispondere indicando The shelter (Il rifugio). Per quanto mi riguarda Nightmare at 20.000 feet (Incubo a 20.000 piedi: qui la prima, la seconda e la terza parte).
Per settimane, dopo la sua morte, molte testate nazionali hanno dedicato in sua memoria, articoli e testimonianze firmate da autorevoli figure del grande mondo della sinistra. Amici. E compagni. Come Oscar Marchisio. Da questa pagina, anch’io, nel mio piccolo spazio, di metalmeccanico, di fabbrica, voglio scrivere. E di quell’ultima volta che lo sentii al telefono. Su tutte le prime pagine di fine luglio, si scriveva di un lavoratore che si era suicidato per un imminente perdita del posto di lavoro. Oscar Marchisio mi telefonò subito.
“Giuliano, dobbiamo fare qualcosa. Non possiamo permettere che queste cose accadono. Capisci, è tutto un sistema che non funziona”. In realtà, Oscar Marchisio di cose ne aveva già realizzate tante. E tante ancora erano nei suoi infiniti progetti. E così vorrei che tutti sapessero di quella cooperativa in pieni USA, dove il dramma delle torri gemelle aveva causato anche perdita di posti di lavoro. E Oscar Marchisio aveva costituito una cooperativa di gestori di un ristorante. Nel paese più democratico del mondo, non sapevano cosa fosse una cooperativa. E allora li portò in Italia a fare un corso sul mondo della cooperativa. E così vorrei dire anche di quando propose di creare una grande centrale fotovoltaica che rendesse l’Emilia Romagna autosufficente sul piano energetico. Continue reading
I fan di “The Daily Show with Jon Stewart” e “The Onion” apprezzeranno questa puntuale raccolta di saggi satirici firmati da un’icona della controcultura come Paul Krassner. Con irriverenza e uno spirito spesso vietato ai minori, Krassner esplora la commedia contemporanea e l’oscenità nella politica e nella cultura. Per farlo parte dai titoli di “Bong Hits 4 Jesus” e arriva alle scene tagliate in alcuni film recenti, come Borat.
Nel saggio “Don Imus Meets Michael Richards”, Krassner esamina il razzismo nella commedia da Lenny Bruce a Dave Chapelle e all’interno di “The Sarah Silverman Show” e “Curb Your Enthusiasm”, oltre che in controverse strisce a fumetti come “The Boondocks”. L’autore parla di impettite figure pubbliche, controcultura, libertà di parola, talk show mandati in onda in fascia notturna, censura, sesso e battute di alcuni comici famosi.
“Questi sono tempi di repressione”, dice Krassner, “e maggiore è la repressione, maggiore sarà la ricerca dell’irriverenza verso coloro che rappresentano l’autorità.
In formato pdf è possibile scaricare un estratto (65KB) del libro.
La collezione digitalizzata comprende immagini dei manoscritti di Poe e di sue lettere […] con una selezione di relativi materiali d’archivio, due libri autografati dall’autore, spartiti musicali basati sui suoi poemi e alcuni ritratti. Molti degli elementi in esposizione […] appartenevano a William H. Koester (1888-1964). Koester, che visse a Baltimora, iniziò a collezionare i manoscritti negli anni trenta del ventesimo secolo. La sua principale acquisizione riguardò quanto aveva J. H. Whitty, allievo di Poe. Inoltre […] comprendeva molte lettere scritte e ricevute dall’autore, libri a lui appartenuti […] e numerose partiture. La collezione di Koester fu rilevata dal Centro nel 1966.
Per visualizzare le immagini, si può iniziare da qui e, come nel caso di Letters of Note, anche i manoscritti di Poe sono accompagnati dalla trascrizione.
Letters of Note – Correspondence deserving of a wider audience è un un blog che esiste da poco tempo e che al momento ha pubblicato una quindicina di post. Questo il suo scopo: “raccogliere e selezionare affascinanti lettere, cartoline, telegrammi, fax e perfino email” per farne un archivio quanto più ricco possibile. Sebbene si parli anche di posta elettronica, al momento il materiale più interessante comprende per lo più manoscritti del diciannovesimo e del ventesimo secolo.
Così si può leggere una “rivelazione” fatta da Charles Darwin (It is like confessing a murder) nel 1844 al botanico Joseph Dalton Hooker: ha avuto un’intuizione che diventerà poi la teoria della selezione naturale. Oppure c’è una lettera dall’inferno: risale al 1888 ed è il periodo in cui Whitechapel – il derelitto quartiere della Londra vittoriana – viene percorso da un personaggio rimasto anonimo e soprannominato Jack The Ripper. Inoltre, passando a epoche più recenti, si può vedere l’immagine di un testo intitolato This is the Zodiac speaking da riferirsi al criminale che colpì negli Stati Uniti sul finire degli anni sessanta.
Ogni post pubblicato su Letters of Note comprende la scansione dell’originale e la sua trascrizione, pubblicata nell’area sottostante. E un invito viene rivolto agli lettori: inviare via mail all’indirizzo lettersofnote[at]gmail.com eventuale altro materiale a disposizione per arricchire l’archivio. Con un’avvertenza: se sapete già che si tratta di un fake, desistite.
Sarà la crisi della politica, sarà questa aria da ancien régime che si fa sempre più opprimente, sarà che percepisco come mai prima la potenza della metafora videoludica. Ma lo zombie sta diventando la, anzi La chiave di lettura.
Per ribadire il concetto si veda anche quando viene riportato nel post Horror, sincero specchio della società di Antonio Sasso su LSDmagazine. Che, dopo aver parlato delle imprese cinematografiche romeriane come della “metafora della rivolta delle classi sociali inferiori sulle classi dominanti, metafora del ghetto e dell’inumanità a cui la società giunge allorquando è costretta a difendersi dal diverso, a sua volta identificato come il ‘mostro'”, rispetto ai nuovi zombie (28 giorni dopo, 28 settimane dopo o Rec) considera:
La nostra, una società individualistica da un lato e omologante dall’altro, produce così la denuncia e il sospetto inconsci, nei suoi individui, che appunto l’individualismo riduca ad una solitudine asfissiante, mentre la massificazione crei dei gruppi indistinti di mostri assetati dal loro unico ed egoistico intento: il consumo, se non addirittura l’affermazione ad ogni costo della propria identità sull’altro.
Sono trascorsi trent’anni dalla scomparsa di Demetrio Stratos (qui il sito dedicato al musicista). Da un anno aveva lasciato gli storici Area, nati nel 1972. Con queste parole lo ricorda Paolo Tofani nel libro Dancing days di cui s’è parlato poco tempo fa:
Dovevamo suonare dalle parti di Lecco: passai a prendere Demetrio ma mi disse che stava male. Lo misero subito in ospedale e da allora lo sentii solo al telefono: le prime volte era positivo, si scherzava, alla fine mi diceva d’aver paura, “io di qui non esco”. Anni dopo a New York incontrai il suo medico, che mi disse: non siamo riusciti a fermare nemmeno per un attimo il processo di disgregazione del suo corpo. La morte di Demetrio non ci ha solo privati di un grande musicista: ha segnato una svolta gigantesca nell’Italia di quegli anni.
Il 14 giugno 1979, all’arena di Milano, si svolge un concerto per raccogliere fondi con cui far curare il musicista dall’aplasia midollare, ma è tardi. Stratos è morto il giorno prima. Quell’evento, per il quale sono arrivare 60 mila persona, diventa così un funerale simbolico per un uomo e per un’epoca. Tornando a oggi, in questo periodo ha iniziato a circolare il documentario La voce Stratos – Voce unica e irripetibile del ‘900.