Un mash-up di incubi contemporanei, fantasy e peccati culturali

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Parents Just Dont UnderstandUn mash-up di celebri film, star del rock, favole per bambini, personaggi storici e frammenti di cronaca. Per dirla con le parole di chi quel mash-up se l’è inventato, si tratta di un concentrato di “fantasy per l’infanzia e contemporanei incubi culturali”. Di qui nasce l’esposizione che si intitola The Sins of Attacus Finch e che forse non si potrà visitare, dato che si tiene a Los Angeles.

Ma, sebbene ci sia chi va dicendo che Internet è inutile perché non ha risolto i problemi dell’umanità (per approfondimenti si legga qui, qui e qui), talvolta la rete aiuta perché sopperisce laddove la fisicità non arriva. Nel caso specifico di Dave MacDowell, l’autore delle opere esposte, la ragione sta nel fatto che la mostra è disponibile anche sul sito dell’artista, oltre che su Flickr (dove si trovano altri suoi lavori) e su MySpace.

La storia della medicina in un museo virtuale dalla Wellcome Collection

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Science Museum's History of Medicine websitePartendo dalle immagini che coprono duemila anni di storia della cultura depositate nella Wellcome Collection (con licenza Creative Commons per usi personali e didattici: per maggiori informazioni si veda qui), ha preso vita il museo virtuale della medicina. Che, oltre a fotografie e stampe, mette a disposizione anche testi e percorsi multimediali a introduzione del tema attorno a cui ruota tutta l’iniziativa.

Temi, persone, oggetti, tecniche e tecnologie e timeline le sezioni in cui è suddiviso il sito che qui racconta come la collezione medica nasce e qui di come si è evoluto il concetto di benessere e dolore. Un viaggio interessante, appena partito e al quale si può pensare di contribuire.

(Via BoingBoing.net)

Teatro civile: tra racconto, memoria e consapevolezza

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Un teatro civile per un paese incivile?. È questo il titolo di una tavola rotonda che si terrà il 28 marzo, al Teatro Nebiolo di Tavazzano, in provincia di Lodi. Un confronto tra giornalisti, scrittori, autori teatrali, ricercatori universitari, attori, descritto in questi termini dall’approfondita presentazione dell’evento scritta da Oliviero Ponte di Pino:

Anche se non risponde ai requisiti della ricerca accademica (e magari proprio per questo), l’idea della storia patria che emerge dal teatro civile è certamente rivelatrice: sintomatica almeno dell’atteggiamento di autori e pubblico, e forse anche di qualche carattere nazionale, vero o presunto. Per cominciare a orientarsi in questa “controstoria narrativa”, potrebbe essere opportuno (e questa è un’altra chiave di catalogazione) mettere in parallelo una cronologia della recente storia italiana con la sequenza degli eventi che hanno ispirato i nostri narratori, per vedere su quali momenti e fasi s’addensa il loro interesse. Questa “storia d’Italia civile e teatrale” non segue un percorso organico: rispecchia le curiosità e le necessità dei suoi artefici, e dunque si ricompone per frammenti, zoomate, approfondimenti. Per lo più è fatta – su un costante sottofondo di soprusi e menzogne, o assordanti silenzi – di eventi tragici, a cominciare dalle stragi che hanno segnato l’immaginario collettivo, dagli agg uati e dagli amazzamenti vigliacchi (una costante della storia e del melodramma italici). Spesso sono eventi difficili da interpretare a causa di interessi economici, politici, militari, malavitosi (singolarmente o intrecciati tra loro – magari in un qualche complotto…).

Peraltro, sul sito di ateatro, realtà tutt’altro che esterna nella realizzazione di questo appuntamento, si legge del progetto per la creazione di un centro di documentazione per un teatro civile che muove i suoi passi da queste considerazioni:

Il teatro civile è un teatro di memoria, che nei suoi esiti migliori scava al fondo di vicende poco chiare della storia recente per raccontarle a chi mai ne aveva avuta notizia, a chi le aveva dimenticate, a chi non voleva ascoltarle. Dietro la cornice dorata di una favola siamo tutti disposti a soffermarci, a lasciarci incantare e alla fine a scoprire quello che non volevamo scoprire. Ma il patto tra attore e spettatore, tra il narratore ed il suo pubblico dura pochi istanti, il tempo di una sera a teatro. Poi di nuovo le verità svelate tornano a farsi più deboli, fino a scomparire del tutto. Il centro di documentazione nasce dal desiderio di mantenere la consapevolezza acquisita il più possibile nitida. Per farlo non vuole soffermarsi solo sulla favola, sullo spettacolo finito, ma sul processo lungo e laborioso che porta fino a quel risultato.

Scienza a due voci: il contributo delle donne dal ‘700 al ‘900

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Forse sono io che lo scopro in ritardo, questo sito, ma Scienza a due voci – Le donne nella scienza italiana dal Settecento al Novecento è un progetto che sembra proprio interessante:

Una ricerca minuziosa, approfondita e insieme appassionata, intenta a ricostruire un quadro più veritiero e autentico della scena scientifica, ha invece portato alla luce una presenza femminile reale, cospicua e diversificata: tanti nomi nuovi, interessanti percorsi scientifici, imprese intellettuali e sociali, vite non sempre facili e lineari, volti e voci pressoché sconosciuti o dimenticati. Con questo sito si vuole dunque riparare alla dimenticanza o alla rimozione della storia: riconoscere alle donne il posto che hanno realmente occupato nella cultura scientifica dell’Italia moderna e contemporanea: ridare spazio a quella voce che è rimasta nascosta ma che ha contribuito con pari dignità al cammino della scienza. Per una scienza, appunto, a due voci.

L’iniziativa, nata all’interno dell’università di Bologna, è dedicata ad Aung San Suu Kyi, l’attivista dei diritti umani insignita premio Nobel per la pace nel 1991.

Troppo lavoro e niente svago fanno di Jack un ragazzo annoiato

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All work and no play makes Jack a dull boyTroppo lavoro e niente svago fanno di Jack un ragazzo annoiato. Questa frase, che in originale è “all work and no play makes Jack a dull boy”, è diventata celebre in italiano come “il mattino ha l’oro in bocca”. Ed è la frase che Jack Torrance, il protagonista di Shining, romanzo di Stephen King e poi film diretto da Stanley Kubrick, scrive con ossessività quando, prigioniero dell’inverno nell’Overlook Hotel, è lì lì per impazzire. In realtà dovrebbe scrivere un libro, Jack, ma tutti pensano – a leggere o a vedere la storia – che la follia gli abbia avvelenato la vena narrativa di cui non resta che una litania maniacale. Il che può essere vero per la seconda parte dell’affermazione, ma non per la prima dato che a 32 anni dall’uscita del best seller di King anche Torrance ha pubblicato la sua opera. Almeno in un certo senso.

A dare una mano all’ormai fulminato protagonista della vicenda è l’artista newyorkese Phil Buehler che, per ottanta pagine, ripete che “all work and no play makes Jack a dull boy” riprendendo all’inizio il dattiloscritto che si vede nel film e poi inizia a riproporre la frase incidendo la pagina con caratteri tipografici, dando forma grafica alla pazzia di Jack Torrance e trasformando così il testo in un metatesto. Della particolare performance se ne parla sul britannico Guardian, sui forum di MySpace, su PasteMagazine.com e Kataweb ci fa hatto un servizio video (questa volta in italiano). In copertina compare il celebre primo piano di Wendy, la moglie di Jack Torrance, quando scopre che forse il marito non stava proprio scrivendo un romanzo (di certo non in termini tradizionali). E altrettanto forse si sbagliava.

Aggiornamento del 23 gennaio: sul blog Vita di un io si segnala che prima di Phil Buheler, c’era chi aveva già pensato a un’operazione del genere. Si vedano questi link:

Poe, Gaiman e la raffigurazione di incubi letterari

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Il 19 gennaio 1809 nasceva Edgar Allan Poe e in occasione del secondo centenario Neal Gaiman ha scritto la prefazione agli Edgar Allan Poe: Selected Poems and Tales ripubblicati da Barnes & Noble. Il testo di Gaiman si intitola Some Strangeness in the Proportion: The Exquisite Beauties of Edgar Allan Poe e nucleo centrale sono la particolarità dei temi raccontati da Poe e loro rappresentazione grafica. Altro testo commemorativo dedicato a quest’anniversario è disponibile su Angolo Nero.

Da Lussu a Gaza: scritti, interpretazioni e direttive

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Roberto Vignoli segnala l’articolo Gaza e Medioriente, un’analisi della disinformazione televisiva pubblicato su Rekombinant e ripreso da Articolo21 in cui si presenta un’indagine del 2006 del Glasgow Media Group (all’interno del quale, sempre in tema, è stato sviluppato il recente Bad News From Israel). Tornando all’articolo, si esordisce dicendo che “il modello di costruzione delle news che ha unificato i tg di Rai e Mediaset nella copertura della crisi di Gaza viene da lontano”. E infatti:

La ricerca diretta da Philo e Berry ha quindi un doppio valore: quello essere un lavoro critico e sistematico sui telegiornali come non ce ne sono in Italia, e quello di indicare lo standard di copertura e di ricezione delle notizie nel conflitto israelo-palestinese così come si è formato in questi anni nella BBC e che, come possiamo constatare, riassume gli stessi standard complessivi dell’informazione occidentale istituzionale in materia. [Quindi] il modello sovranazionale di copertura delle notizie […] oltre a influenzare l’opinione pubblica, strutturare la percezione dei fatti quando i partiti sono televisivi (ovvero sempre), detta direttamente l’agenda politica. E inoltre influenza la politica estera perché questa la si fa sempre sul modo di coprire televisivamente i fenomeni. Non a caso una copertura televisiva globale sostanzialmente favorevole alla guerra all’Iraq ha favorito politicamente l’invasione del 2003, nonostante che l’opinione pubblica mondiale fosse contraria. Il modello di integrazione tra politica e media è questo: applicare tattiche di disinformazione e di propaganda alle notizie. Se l’opinione pubblica le recepisce bene, se no agire ugualmente. Tanto alla lunga l’opinione pubblica sfavorevole si disgrega mentre i media agiscono tutti i giorni plasmando e rimodulando la realtà politica.

Altra lettura interessante è quella del testo di Andrea Cabassi su I profeti disarmati, Lussu, la Terza Forza pubblicato dal circolo Giustizia e Libertà di Sassari. Riflessioni derivate dalla lettura del libro di Mirella Serri e di quello di Massimo Teodori. Scrive Cabassi:

Credo che molti siano stati sviati dalle affermazioni di Lussu sul PCI. Pur non essendo mai stato comunista, pur avendo avuto tantissime polemiche con il PCI egli lo riteneva indispensabile per una lotta comune delle sinistre. Credo che molti siano stati sviati dall’altra affermazione di Lussu per cui o si era alleati della DC o si era contro e tertium non datur. Come si può pensare a Lussu profeta disarmato o arruolato in coloro che erano alla ricerca di uno spazio per la costruzione di una terza forza? Se per terza forza si intende un raggruppamento equidistante dalla DC e dal PCI e che si pone in una posizione di centro, Lussu non ha nulla a che fare con tutto ciò. Ma se per terza forza si intende la costruzione di un partito di sinistra, laico, libertario, federalista, autonomo dal PCI, allora Lussu ha molto a che fare con tutto ciò. Gran parte della sua esistenza è stata votata ai tentativi di fondare, costruire o ricostruire un tale partito. La sua inquietudine teorica, la sua insoddisfazione, il suo isolamento finale, che fanno pensare ad un senzapartito, ne sono una lampante testimonianza. E sotto questa ottica andrebbero riletti alcuni dei suoi scritti, molte delle sue scelte. E non lasciamoci ingannare dalle apparenze: fu profeta disarmato anch’egli, come Rossi, Salvemini, Pannunzio, Calamandrei. Profeti disarmati di grande attualità.

Neuroscienze e giustizia: uno studio della Vanderbilt University

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NeuronCome funzionano i processi decisionali degli operatori della giustizia? Se nei ranghi politici tricolori non s’è saputo fare di meglio che ricorrere in più occasioni al disprezzo frammisto a superate teorie lombrosiane (ma in quel caso lo studio della mente umana non rientrava nel discorso), alla facoltà di psicologia della Vanderbilt University di Nashville se lo sono chiesti davvero e i meccanismi li hanno cercati nelle neuroscienze. Tanto che il 10 dicembre scorso è stato presentato uno saggio ad hoc, intitolato The Neural Correlates of Third-Party Punishment e ripreso dalla rivista Science News. I ricercatori statunitensi, avvalendosi di immagini biomediche ottenute attraverso la risonanza magnetica funzionale, hanno potuto evidenziare quali aree del cervello vengono attivate da parte di chi deve prendere decisioni giudiziarie partendo da posizioni di imparzialità. E si è dimostrato che, malgrado la freddezza delle aule di giustizia, le zone che presiedono alle emozioni entrano in gioco, in questi casi, insieme a quelle che gestiscono il pensiero razionale per valutare se un soggetto è colpevole o meno e per determinare la severità della pena. Ma la ricerca non si ferma qui, proseguirà in futuro per arrivare a ottenere nuove informazioni in materia. Infatti:

Identifying the brain regions involved in legal decision making is a first step in learning how such decisions are made. The new study doesn’t address the details of thought processes that go into making a complex legal decision, Jones says. “There’s a big distinction between brain scanning and mind reading,” he says. Further research will tease out how the different areas of the brain involved in legal decision making communicate with each other and whether judges and other legal professionals make decisions of guilt and punishment in the same way other people do.

Nonostante la vostra cortese ospitalità: 30 anni di legge Basaglia

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Nonostante la vostra cortese ospitalita'Nonostante la vostra cortese ospitalità è una mostra fotografica che verrà inaugurata a Bologna il prossimo 15 dicembre e che sarà visitabile fino al 20 gennaio (Ala Collamarini dell’Accademia di Belle Arti). Specifico l’argomento, riassunto nel sottotitolo dell’esposizione: dalla chiusura dei manicomi alla tutela della salute mentale oggi. Iniziativa concepita all’interno del trentennale della legge 180/78, quella che viene ricordata anche attraverso il nome del suo artefice, Franco Basaglia, e curata dall’artista Tomaso Mario Bolis e dal docente di storia della fotografia Claudio Marra, ecco come viene presentata la mostra:

Persi definitivamente gli edifici che contenevano i manicomi e le loro scenografie e cancellate la perentorietà, l’unicità, la sicurezza e l’istituzionalità dell’ospedale psichiatrico, la sfida della fotografia è quella di riuscire a dare immagini efficaci del disagio mentale tra noi. La fotografia comunica al di là degli stereotipi il disagio che, nonostante la grande rimozione, sicuramente non è scomparso, ed esplora nuovi luoghi, nuove esperienze di vita, lo spazio conquistato per la piena espressione delle persone.

Accanto agli scatti più recenti, un’area dell’esposizione è dedicata ad immagini storiche dell’istituto Roncati.

(Via OltreGomorra)

L’archivio fotografico di Life sta andando online

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Canadian troops in their trenches during World War IUn archivio fotografico che parte dalla seconda metà del XIX secolo e arriva a oggi. Lo segnala Lsdi quando scrive che va online l’archivio di Life. O almeno ci sta andando. E quando si dice l’archivio, si intende proprio la quasi totalità delle fotografie della celebre rivista, quando il progetto sarà ultimato: nel momento in cui tutto sarà digitalizzato e in rete, ci saranno 10 milioni di immagini, pari al 97 per cento dell’intero patrimonio, disponibili attraverso un accordo tra Google e Time Inc. L’archivio digitale viene suddiviso per annate e per argomenti ed ecco che racconta di quanto c’è a oggi Lorenzo Di Palma su TheInquirer.it:

La collezione di immagini digitalizzate comprende foto e incisioni prodotte per Life Magazine a partire dagli anni ’70 e riporta “in vita” immagini storiche – scattate da maestri della fotografia come Alfred Eisenstaedt, Gjon Mili e Nina Leen – altrimenti destinate a un polveroso archivio.