Neuroscienze e giustizia: uno studio della Vanderbilt University

Standard

NeuronCome funzionano i processi decisionali degli operatori della giustizia? Se nei ranghi politici tricolori non s’è saputo fare di meglio che ricorrere in più occasioni al disprezzo frammisto a superate teorie lombrosiane (ma in quel caso lo studio della mente umana non rientrava nel discorso), alla facoltà di psicologia della Vanderbilt University di Nashville se lo sono chiesti davvero e i meccanismi li hanno cercati nelle neuroscienze. Tanto che il 10 dicembre scorso è stato presentato uno saggio ad hoc, intitolato The Neural Correlates of Third-Party Punishment e ripreso dalla rivista Science News. I ricercatori statunitensi, avvalendosi di immagini biomediche ottenute attraverso la risonanza magnetica funzionale, hanno potuto evidenziare quali aree del cervello vengono attivate da parte di chi deve prendere decisioni giudiziarie partendo da posizioni di imparzialità. E si è dimostrato che, malgrado la freddezza delle aule di giustizia, le zone che presiedono alle emozioni entrano in gioco, in questi casi, insieme a quelle che gestiscono il pensiero razionale per valutare se un soggetto è colpevole o meno e per determinare la severità della pena. Ma la ricerca non si ferma qui, proseguirà in futuro per arrivare a ottenere nuove informazioni in materia. Infatti:

Identifying the brain regions involved in legal decision making is a first step in learning how such decisions are made. The new study doesn’t address the details of thought processes that go into making a complex legal decision, Jones says. “There’s a big distinction between brain scanning and mind reading,” he says. Further research will tease out how the different areas of the brain involved in legal decision making communicate with each other and whether judges and other legal professionals make decisions of guilt and punishment in the same way other people do.