Il manifesto del dominio pubblico per aprire l’accesso alla conoscenza

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È online il manifesto del dominio pubblico, al momento in inglese ma in corso di traduzione in varie lingue. In sintesi, i suoi principi, lanciati dal progetto europeo Communia, coordinato dal Centro Nexa su Internet & Società del Politecnico di Torino, riguardano questi aspetti:

Storicamente il pubblico dominio, ovvero quelle opere dell’ingegno che si possono usare liberamente, come gli scritti di Alessandro Manzoni o le musiche di Giuseppe Verdi, ha rappresentato un bene comune di cruciale importanza per lo sviluppo della cultura […]. In base alla corrente normativa sul diritto d’autore (o copyright), fanno parte del pubblico dominio quelle opere mai coperte dal copyright (perché non originali o perché meri fatti, leggi scientifiche, ecc.) o che non lo sono più per la scadenza del limite temporale di protezione previsto dalla legge (in molti paesi 70 anni dopo la morte dell’autore). Nella definizione adottata dal progetto Communia, il termine assume tuttavia un carattere più ampio, estendendosi alle varie forme di “accesso aperto” alla conoscenza, come le opere rilasciate con una licenza Creative Commons. Incluse in questa accezione di “pubblico dominio” sono anche le eccezioni e limitazioni al diritto d’autore previste dalla legge (diritto di cronaca, ecc.), eccezioni che nei paesi anglosassoni si articolano secondo la dottrina del “fair use”.

Qui l’elenco delle lingue disponibili mentre per aggiungersi alle persone e alle realtà che hanno aderito al progetto c’è a disposizione una pagina di sottoscrizione. Inoltre il progetto è presente anche su Facebook.

Giornalismo investigativo: fondi, sostenibilità e futuro. Una panoramica di Lsdi

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Il blog di Lsdi racconta che negli Stati Uniti per il giornalismo investigativo sono stati messi a disposizione 143 milioni di dollari in 5 anni dalle fondazioni. Ma aggiunge:

La filantropia probabilmente non potrà continuare a mantenere i gruppi nonprofit per sempre e alcuni di essi si stanno già attrezzando per mettere a punto dei piani finanziari di sostenibilità – Non si esclude nessuna ipotesi, comprese le sottoscrizioni fra i lettori o la vendita di spazi pubblicitari – Un’analisi dell’Associated Press fa il punto sulla situazione, complicata, delle strutture che stanno cercando di riempire i vuoti nel campo del giornalismo d’ inchiesta lasciati dai media tradizionali – Il caso di ProPublica, che ha un budget redazionale annuale di circa 10 milioni di dollari e 36 fra cronisti e redattori e che, per ora, ha le spalle coperte a tempo indefinito – I gruppi non profit hanno cominciato poi a esplorare il modo di mettere in comune le loro risorse – Diversi di loro si sono incontrati a luglio per stilare un Manifesto per l’Investigative News Network, una sorta di cooperativa del “terzo settore” del giornalismo investigativo – L’esempio della National Public Radio.

Caso Toni-De Palo: ma il segreto di Stato verrà tolto davvero?

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Per chi non la conoscesse, alcune informazioni in merito alla vicenda di Graziella De Palo e Italo Toni, i due giornalisti italiani scomparsi il 2 settembre 1980 a Beirut, sono disponibili qui. Tra pochi mesi saranno trascorsi trent’anni e lo scorso autunno l’esecutivo si era detto disposto a togliere il segreto di Stato (qualche altra informazione qui). Qualche giorno fa, però, Giancarlo de Palo, il fratello della cronista, ha annunciato di non avere buone notizie in merito e le si possono apprendere dal video pubblicato sopra. Per il pregresso, si dia un’occhiata anche alla puntata realizzata dalla trasmissione La storia siamo noi.

Antonio Fazio: quando i banchieri avevano la «pelle d’oca»

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Domani di Maurizio ChiericiLa strategia è evidente: passare da raggirato e presentarsi come una vittima. Antonio Fazio, l’ex governatore della Banca d’Italia finito nei guai per le scalate del 2005, lo scorso 13 gennaio ha sostenuto questo ruolo nell’udienza del processo milanese sulla vicenda Antonveneta. A guardare indietro, però, la situazione non sembra stare in questi termini. In attesa delle sentenze, infatti, ci sono le indagini che raccontano una storia di finanza disinvolta, capitali inesistenti, controlli laschi e affettuose liaison professionali.

Provando a dare un’occhiata, una prima curiosità emerge dalle dichiarazioni che Fazio, nato nel 1936 ad Alvito (Frosinone) e con un master al Mit di Boston in tasca, ha reso nei giorni scorsi. Nega di aver avuto rapporti personali con Fiorani, lo riteneva solo una «persona simpatica» nella quale mal ripose la sua fiducia. Se però torniamo indietro, vediamo che Giampiero Fiorani, amministratore delegato della Banca Popolare di Lodi, ha contatti sempre più stretti con il governatore. Un primo passo è quello di scalzare dalle sue grazie il discusso manager-banchiere Cesare Geronzi. E se l’amicizia tra i due appare evidente in contesti pubblici dal 2002, condividono la comune frequentazione di un sacerdote, amico del primo e consigliere spirituale del secondo, mentre una delle figlie di Fazio collabora con la Bpl che le offre spazi dove presentare i suoi libri.

C’è poi la questione del «partito del governatore». Nel 2004, Fazio è inviso a una parte della maggioranza, capitanata dal ministro dell’economia Giulio Tremonti e dal portavoce di Forza Italia Sandro Bondi. Il primo vorrebbe introdurre alcune riforme attraverso la cosiddetta legge sul risparmio, ridimensionando i poteri di Palazzo Kock e trasformando la carica di governatore da vitalizia a una carica a tempo. L’inquilino di via Nazionale, dal canto suo, è nei guai per i crack Parmalat e Cirio (non ha lanciato un tempestivo allarme, né avrebbe monitorato a sufficienza per rendersi conto delle malversazioni di Capitalia e Bpl).
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Il caso Giuffré, a fine anni Cinquanta un banchiere di Dio ante litteram

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A pagina 19 del Fatto Quotidiano di oggi Giovanna Gabrielli racconta questa storia all’interno della rubrica “Il fatto di ieri”:

Il caso Giuffré

Per approfondire la vicenda che ebbe come protagonista Gianbattista Giuffrè, si può vedere la relativa voce di Wikipedia. Per far luce venne istituita anche una commissione parlamentare d’inchiesta, presieduta dal senatore Giuseppe Paratore (qui l’annuncio della sua composizione), il cui scopo era quello di indagare su un caso che nel frattempo era stato soprannonimato l’Anonima banchieri e che aveva portato a una truffa ai danni di migliaia di risparmiatori. Ma in proposito se ne legge nella cronologia pubblicata sul sito della Fondazione Cipriani:

21 gennaio 1959. Inizia alla Camera la discussione sui risultati dell’inchiesta detta “Anonima banchieri” o caso Giuffrè. Oggetto delle critiche provenienti dagli opposti schieramenti (il missino Romualdi, il comunista Assennato, il liberale Bignardi, Bruno Romano per il Pmp fra gli altri intervenienti) è la reticenza del partito di maggioranza all’approfondimento dell’indagine ma per taluni anche il ministro delle Finanze, Preti.

Marco Damilano: non era l’amicizia che univa vecchi e nuovi premier

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A proposito delle revisioni storico-politiche di questi giorni, è interessante il post che Marco Damilano pubblica sul blog Lost in politics a proposito di quello che unisce Craxi a Berlusconi:

Non è l’amicizia, come ha detto oggi Berlusconi all’uscita di casa del cardinale Ruini. Meglio del Cavaliere lo spiega una pagina del diario di Walter Tobagi, pubblicata nello stupendo libro della figlia Benedetta “Come mi batte forte il tuo cuore” (Einaudi).

«30 ottobre 1979. Il “Corriere” pubblica oggi un’intervista anonima a Craxi. Se l’è scritta Craxi da solo. Pilogallo mi racconta che il testo l’hanno portato Tassan Din e Angelo Rizzoli alle otto e mezzo di sera, i quali l’hanno consegnato a Di Bella. E Di Bella ha ritagliato le risposte, le hanno incollate su altri fogli, scrivendo di suo pugno (meglio: ricopiando) le domande che Craxi s’era fatte da solo. È vergognoso: sia per Craxi che per Di Bella».

Gli editori Bruno Tassan Din, Angelo Rizzoli e il direttore del “Corriere” Franco Di Bella erano iscritti alla loggia P2. Come Berlusconi, data di affiliazione 26 gennaio 1978, tessera numero 1816. E la singolare concezione della libertà di stampa, le autointerviste, non è l’unica cosa che collega Craxi a Berlusconi. Il volantino di rivendicazione dell’omicidio del giornalista fu ritrovato nella valigia di Licio Gelli a Castiglion Fibocchi. Craxi andò a casa Tobagi a spiegare alla vedova che conosceva importanti documenti sull’assassinio del marito, ma che non poteva produrli per senso di responsabilità. La signora Maristella mise il segretario del Psi alla porta, «poi un pianto dirotto. È stato Craxi a provocarlo. A casa nostra non mise più piede». Per queste pagine Stefania Craxi ha accusato Benedetta Tobagi di «farneticazioni, allucinazioni, incapacità di uscire dal suo ruolo di figlia». Lei ne sa qualcosa.

Walter Tobagi, ricorda Benedetta, era socialista, aveva apprezzato l’elezione di Craxi alla segreteria del Psi nel ‘76, ma le sue speranze si affievolirono ben presto. Fu ucciso sotto casa, da una banda di aspiranti brigatisti il 28 maggio 1980. Il suo assassino Marco Barbone si è pentito, è stato subito scarcerato, è responsabile comunicazione della potente Compagnia delle Opere. A maggio sono trent’anni che siamo stati privati di Tobagi: chissà se anche Walter avrà un messaggio di commemorazione.

Dal 1951 le raccomandazioni su come agire in caso di attacco nucleare

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How to survive an atomic bomb

Nel gennaio del 1951 la statunitense Mutual Of Omaha pubblicizzava le sue coperture sanitarie e assicurative (300 milioni di dollari risarciti, oltre 10 mila dipendenti, autorizzata a operare in 48 Stati) facendo uscire questo vademecum da mettere in pratica in caso di attacco nucleare. Una testimonianza da un’altra epoca, la cui raccomandazione finale suggerisce:

Preparatevi in anticipo per evitare il panico. Lo potete fare con efficacia lavorando con le organizzazioni locali per la difesa civile. Studiatele le informazioni relative alle misure di difesa. Con un’accurata pianificazione, la vostra comunità può arrivare preparata riducendo al minimo morte e distruzione.

Lo segnala il blog Copyranter e lo riprende BoingBoing.

La ricerca e i falsi: alcune motivazioni alla base di un inganno

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Crystal Skull - Foto di Roberto CorraloUna delle chiavi basilari per fare ricerca – indipendente o accademica che sia – è quella di difendersi dai falsi. Per ogni disciplina esistono sistemi di contraffazione che possono – o vogliono – indurre in errore il ricercatore e altrettanti che possono tutelare dall’inganno. Brittany Jackson, studentessa di antropologia all’università di Chicagno, e Mark Rose, dell’Arizona Interschool Association, hanno di recente scritto per la rivista Archaeology Online un articolo in tema intitolato Bogus! An Introduction to Dubious Discoveries partendo con un’avvertenza a premessa: non esiste museo che non contenga al suo interno qualche oggetto o elemento ingannevole. Parola di Jane Walsh dello Smithsonian’s National Museum of Natural History.

E si fa qualche esempio, privilegiando il settore dell’archeologia. Dai teschi di cristallo, sbugiardati già a partire dal diciannovesimo secolo, all’uomo di Piltdown, una presunta specie di ominidi i cui scarni resti ossei vennero scoperti nel 1912 nell’East Sussex, in Gran Bretagna. Ma perché dedicarsi a un progetto che abbia come scopo il trarre in inganno la comunità scientifica? I due autori del saggio parlano in prima istanza di pubblicità e autopromozione. Dopodiché vengono motivi pecuniari, scherzi non meglio motivati o vendetta.
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