Caso Battisti: le FAQ pubblicate da Carmilla

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Dubbi sul caso di Cesare Battisti? Su Carmilla sono stati elencati punto per punto e sono stati spiegati con una chiarezza e senza i fraintendimenti che continuano a circolare a mezzo stampa. Da leggere perché:

Questa nuova versione delle nostre FAQ sul caso Battisti, già lette da centinaia di migliaia di utenti e tradotte in molte lingue, cadono in un momento di isteria collettiva mai visto in Italia dai tempi di Piazza Fontana e della colpevolizzazione di Pietro Valpreda. Battisti si trova da quasi due anni, mentre scriviamo, in un carcere brasiliano. Ha ottenuto asilo politico in Brasile, concesso dal ministro della giustizia Tarso Genro e ripetutamente avvallato dal presidente Lula. La stampa italiana, a fronte di un’opinione pubblica sostanzialmente indifferente, si è scatenata con toni da linciaggio. Battisti è tornato a essere il mostro, l’assassino per vocazione, il serial killer. Il Brasile è stato dipinto (per esempio da Francesco Merlo, su La Repubblica del 15 gennaio) come una democrazia da operetta, abitato da una popolazione quasi scimmiesca. Persino il presidente Napolitano, che non brilla per attivismo, si è mobilitato a sostegno della richiesta di estradizione del criminale del secolo. Seguito ovviamente dal PD di Walter Veltroni, in perfetta armonia con le componenti più reazionarie del governo e delle presunte “opposizioni”.

Il libro dei deportati, volume I: 23.826 nomi di italiani finiti nei lager

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Il libro dei deportatiQuesto libro – che porta le firme di Brunello Mantelli, Nicola Tranfaglia, Francesco Cassata, Giovanna D’Amico e Giovanni Villari – è uscito alla vigilia del giorno della memoria e il testo che segue è stato pubblicato sul blog del Circolo Giustizia e Libertà di Sassari. Forse non occorre altra risposta a chi nega o a chi parla di disinfezione. Intanto, prima di passare al testo di GL, si può dare un’occhiata anche a Razzisteria: destra fascista in Italia e nella rossa Toscana, nuovo lavoro video di Saverio Tommasi e Ornella De Zordo, autori di L’altrainchiesta – 10 brutte storie italiane e già segnalati da queste parti per il reportage sulle “terapie riabilitative”.

Per gli “assassini della memoria” c’è un nuovo, insormontabile, ostacolo: nomi, dati anagrafici e storia dei 23.826 italiani (22.204 uomini e 1.514 donne) deportati, tra il 1943 e il 1945, per motivi politici in Germania nei campi di concentramento. Un lavoro gigantesco che ora trova sistemazione organica nel primo volume suddiviso in tre tomi, dell’opera Il Libro dei Deportati 1943-1945 (Milano, Mursia; pp.2554, 120 euro) […] realizzato con il contributo fondamentale della fondazione Compagnia di San Paolo e dell’Assessorato alla Cultura del Piemonte, e già presente in tutte le librerie italiane.

Un’iniziativa editoriale che segue idealmente Il Libro della Memoria di Liliana Picciotto sugli ebrei italiani trucidati nei campi di sterminio tedeschi e che rappresenta una pagina definitiva della “storia nazionale”, parte di quella europea. “Dare volto” ai sommersi – questo l’obiettivo del libro con in appendice 200 pagine di grafici e di tabelle – è costato anni di lavoro ed è dovuto in primis alla caparbietà di due ex deportati: Bruno Vasari, già presidente dell’Aned di Torino, scomparso di recente, e Italo Tibaldi che fece il censimento dei deportati e costrui, in cinquant’anni di lavoro volontario, un primo archivio, forte di circa 45.000 schede. La storia della deportazione indica subito un primo elemento: nessuna provincia dell’Italia del 1943 ne è stata esente, nemmeno le isole e quelle aree del meridione che non conobbero l’occupazione tedesca, la Repubblica sociale e la conseguente Resistenza. Di sicuro, tuttavia, la prevalenza nella provenienza va ascritta alle regioni del Nord.
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LAV: la zoomafia e il rapporto 2008 sul fenomeno

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Rapporto Zoomafia 2008Dovendo occuparmene, sono andata a cercare informazioni. Operazione neanche tanto complicata, almeno per la partenza, dato che la LAV ha presentato a inizio anno il Rapporto Zoomafia 2008 (scaricabile per intero in formato pdf). Il documento è redatto da Ciro Troiano, il responsabile nazionale dell’osservatorio istituito una decina di anni fa su questo tema, e si compone di 108 pagine che raccontano un fenomeno che si estende da nord a sud, che vede la collaborazione di criminalità organizzata italiana e straniera, cupole del bestiame, giri di denaro da capogiro per trafficare in cani e gatti con finti pedigree o in animali esotici, bracconaggio e contrabbando di fauna selvatica, combattimenti clandestini e corse ippiche truccate, finti canili creati solo per intascarsi finanziamenti pubblici seviziando i randagi o racket del pesce e mafie del Delta.

Uno spaccato che dimostra quanto la situazione sia estesa, articolata e remunerativa. E questo è un testo che sottolinea anche un altro aspetto: parte delle informazioni reperibili in rete derivano dal lavoro della LAV di quest’anno o degli anni precedenti. A dimostrazione di quanto preziose siano le attività svolte da questa associazione in oltre trent’anni. Così l’introduzione al rapporto contestualizza il fenomeno:

Sono ormai anni che la parola “zoomafia” fa parte del lessico animalista e, in parte, giuridico. La sua diffusione è sempre più ampia e spazia negli ambiti più disparati: dalla filosofia del diritto alla politica, dal giornalismo alla psicologia, alla criminologia. L’edizione del 2008 del vocabolario italiano della Zanichelli, lo Zingarelli, ha inserito tra i neologismi la parola zoomafia: “settore della mafia che gestisce attività illegali legate al traffico o allo sfruttamento degli animali”. Con questa nuova parola, coniata da noi circa dodici anni fa, si intende lo sfruttamento degli animali per ragioni economiche, di controllo sociale, di dominio territoriale, da parte di persone, singole o associate, appartenenti a cosche mafiose o a clan camorristici. Con questo neologismo, però, indichiamo anche la nascita e lo sviluppo di un mondo delinquenziale diverso, ma parallelo e contiguo a quello mafioso, di una nuova forma di criminalità, che pur gravitando nell’universo mafioso e sviluppandosi dallo stesso humus socio-culturale, trova come motivo di nascita, aggregazione e crescita, l’uso di animali per attività economico-criminali.

La “spirale virale” del movimento per la libertà di cultura

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Viral SpiralSi scarica da qui (formato pdf, 980KB; qui invece i link attraverso cui si può acquistare la copia cartacea) il libro Viral Spiral – How the Commoners Built a Digital Republic of Their Own scritto da David Bollier, redattore di OnTheCommons.org, e definito da CreativeCommons.org la “storia definitiva del nostro movimento”. Questa la descrizione del volume:

Un resoconto dal cuore del movimento della “libertà di cultura” [che] diventa la prima storia completa a raccontare l’impegno di brigate globali di tecnofili, avvocati, artisti, musicisti, scienziati, imprenditori, innovatori e geek […], tutti uniti per creare una repubblica digitale basata sulla libertà e sull’innovazione. “Spirale virale” è l’espressione coniata da Bollier per descrivere il processo quasi magico attraverso cui gli utenti di Internet possono camminare insieme per creare […] questa eclettica circolazione del sapere. La vicenda narrata descrive i principali sviluppi tecnologici e le fondamentali lotte legali anche con le biografie di personaggi come l’hacker Richard Stallman, lo studioso Lawrence Lessig e altri coloriti personaggi.

Inoltre, sempre in tema Creative Commons, per chi è appassionato di mondi fantasy in rete, è nato Runes of Gallidon.

Polveri alle stelle: il film collettivo sull’inquinamento a Taranto

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Polveri alle stellePolveri alle stelle – Il film collettivo sull’inquinamento a Taranto è un documentario (rilasciato peraltro con licenza Creative Commons) che dal titolo è piuttosto chiaro in quanto ad argomento. Se ci si volesse fare un’idea ulteriore, ecco qualche riga di spiegazione ulteriore sul progetto:

L’iniziativa nasce da un’idea di Vittorio Vespucci e Monica Nitti e dà voce ai cittadini ed alle associazioni, reclutando i partecipanti al progetto attraverso il web. Ne scaturisce il ritratto di una città, soggiogata dal ricatto occupazionale della grande industria, che comincia a ritrovare la propria identità e prendendere coscienza di quanto urgente e inderogabile sia la necessità della svolta. Si delineano due scuole di pensiero: c’è chi auspica che la grande industria possa continuare ad essere presente sul territorio ma in forma meno aggressiva e chi, dopo decenni di parole alle quali non hanno avuto seguito fatti concreti, comincia ad immaginare la Taranto post-industriale. Si parla delle conseguenza della diossina sulla salute dei tarantini, delle condizioni di lavoro all’interno degli stabilimenti industriali, dei disagi che l’inquinamento provoca quotidianamente agli abitanti del quartiere Tamburi e all’intera città, del destino spesso segnato di chi lavora nella grande industria.

Per scaricare il documentario o diffonderlo attraverso il proprio sito, il link è questo.

Ilaria Alpi: online il documentario “The toxic truth” di Al Jazeera

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Andato in onda lo scorso 17 gennaio, è stato messo in rete il documentario The toxic truth, reportage contenuto nella trasmissione People & Power di Al Jazeera e realizzato da due giornalisti italiani, Emanuele Piano e Alessandro Righi. Tema centrale è stato il caso di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin, uccisi a Mogadiscio il 20 marzo 1994, e dell’inchiesta che stavano conducendo a proposito di un traffico d’armi e di rifiuti tossico-nocivi nel Corno d’Africa. Annunciato da Woman.it e dall’osservatorio sull’informazione dedicato alla memoria della giornalista Rai, il reportage è stato messo a disposizione sul canale Youtube dell’emittente del Qatar e suddiviso in due parti (qui la prima e qui invece la seconda): nodi della ricostruzione sono la situazione del Paese, lo stato delle indagini – compresa la condanna del cittadino somalo accusato di aver fatto parte del commando (un “capro espiatorio”, secondo l’avvocato Douglas Duale, che lo difese) – il tentativo di voler archiviare ulteriori approfondimenti e la voce dei genitori di Ilaria Alpi, instancabili della loro ricerca che dura da quasi quindici anni.

Si interrompe la storia del Cox18, centro sociale a due passi dai Navigli

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Tra i primi a darne notizia, Giuseppe Genna ha segnalato il fattaccio su Carmilla il più velocemente possibile: Sgombero del Centro Sociale Conchetta a Milano. Purtroppo. Purtroppo non solo perché sono ormai decimati gli spazi autogestiti del genere (si vedano per esempio solo alcuni degli ultimi casi, il Laboratorio Crash! di Bologna o l’Horus di Roma), che già di per sé basterebbe, ma anche perché con il Cox18 si chiude un pezzo glorioso della cultura non solo lombarda che comprende Primo Moroni, i cui archivi erano ancora custoditi nel centro sociale a due passi da Darsena e Navigli. Ma che ha esaltato nel corso degli anni anche la cultura hacker di cui qui sono stati testimonial personaggi come Bruce Sterling con il suo Giro di vite contro gli hacker. Legge e disordine sulla frontiera elettronica o Richard Stallman quando ancora i discorsi sul software libero e la libertà di cultura erano argomenti ancora poco diffusi. Eppure la storia di questo piccolo ma grande centro sociale si interrompe in una riga pubblicata alle 8 di questa mattina:

Alla fine sono arrivati. Sono già davanti al portone per sgomberare il centro.

E un paio d’ore più tardi Alessandro Giglioli pubblica sul suo Piovono rane l’appello di Maysa Moroni, figlia di Primo:

In questo momento stanno sgomberando Cox 18 con la Calusca e l’archivio immenso di mio padre di cui stanno tentando il sequestro. L’archivio è proprietà privata mia e di mia madre. Chiunque tu conosca a Milano che sappia chi era mio padre digli di andare lì, avvocati giornalisti semplici persone.

Nel corso della giornata c’è stato qualcun altro che ha scritto di questa vicenda, come Caparossa, che lì dentro ci ha lasciato un pezzo di vita, e Sandrone Dazieri, che altrettanto ha fatto. Un post sull’accaduto è stato pubblicato anche dall’osservatorio sulla repressione che ha linkato le foto pubblicate da Repubblica Milano.

Per chi volesse firmare la petizione a favore del Cox18, il link è questo:
http://www.petitiononline.com/cox18/petition.html

Troppo lavoro e niente svago fanno di Jack un ragazzo annoiato

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All work and no play makes Jack a dull boyTroppo lavoro e niente svago fanno di Jack un ragazzo annoiato. Questa frase, che in originale è “all work and no play makes Jack a dull boy”, è diventata celebre in italiano come “il mattino ha l’oro in bocca”. Ed è la frase che Jack Torrance, il protagonista di Shining, romanzo di Stephen King e poi film diretto da Stanley Kubrick, scrive con ossessività quando, prigioniero dell’inverno nell’Overlook Hotel, è lì lì per impazzire. In realtà dovrebbe scrivere un libro, Jack, ma tutti pensano – a leggere o a vedere la storia – che la follia gli abbia avvelenato la vena narrativa di cui non resta che una litania maniacale. Il che può essere vero per la seconda parte dell’affermazione, ma non per la prima dato che a 32 anni dall’uscita del best seller di King anche Torrance ha pubblicato la sua opera. Almeno in un certo senso.

A dare una mano all’ormai fulminato protagonista della vicenda è l’artista newyorkese Phil Buehler che, per ottanta pagine, ripete che “all work and no play makes Jack a dull boy” riprendendo all’inizio il dattiloscritto che si vede nel film e poi inizia a riproporre la frase incidendo la pagina con caratteri tipografici, dando forma grafica alla pazzia di Jack Torrance e trasformando così il testo in un metatesto. Della particolare performance se ne parla sul britannico Guardian, sui forum di MySpace, su PasteMagazine.com e Kataweb ci fa hatto un servizio video (questa volta in italiano). In copertina compare il celebre primo piano di Wendy, la moglie di Jack Torrance, quando scopre che forse il marito non stava proprio scrivendo un romanzo (di certo non in termini tradizionali). E altrettanto forse si sbagliava.

Aggiornamento del 23 gennaio: sul blog Vita di un io si segnala che prima di Phil Buheler, c’era chi aveva già pensato a un’operazione del genere. Si vedano questi link:

La dittatura dell’indifferenza tra Russia, Serbia e Rwanda

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Per EstEstEst quelle della giornalista Anastasia Baburova e dell’avvocato Stanislav Markelov sono morti non casuali. Entrambi lavorano al caso di Elza Kungayeva, cercavano di dimostrare le responsabilità di Yurij Budanov scarcerato in anticipo meno di un mese fa e andavano avanti malgrado una situazione del genere:

Inutile illudersi che in Russia ci sia una dittatura che governa contro una popolazione ostile: non è così. A dirlo non sono soltanto le percentuali di consenso intorno ai capi supremi, che possono essere manipolate o non significare granché al di là di un generico bisogno di stabilità e sicurezza. No, a dire che il terreno in cui si muovono gli avvocati e i giornalisti […] è duro e difficile è l’impunità sostanziale di cui godono le bande di assassini neonazisti – che guardacaso proprio lunedì hanno ammazzato a Mosca un ragazzo di vent’anni reo di appartenere a un movimento di sinistra, e che praticamente tutti i giorni uccidono qualche immigrato asiatico o caucasico preso a casaccio per strada (il processo e la condanna dei sette membri di una di queste bande, qualche settimana fa, ha fatto sensazione). A dirlo sono le manifestazioni pubbliche di sostegno a Yurij Budanov, perché la vita di “una puttanella cecena” non vale il disonore della prigione per un ufficiale; a dirlo è il silenzio, l’indifferenza con cui vengono accolte le uccisioni, o i pestaggi quasi mortali, degli uomini e delle donne che cercano di far qualcosa per opporsi a tutto questo – gli ambientalisti che lottano contro l’inquinamento della Siberia, i giornalisti locali che denunciano i furti e la corruzione di sindaci e di governatori (Markelov era anche il difensore di Beketov, giornalista di una città alla periferia di Mosca ridotto in fin di vita per aver denunciato uno scandalo dell’amministrazione locale)

Del resto, anche la vicenda giudiziaria degli Scorpioni non è differente dallo spirito di cui sopra (malgrado qui la vicenda si svolga tra Bosnia e Serbia e non a Mosca). E per arrivare a una condanna per i fatti del Rwanda ci sono voluti quindici anni, come racconta oggi Peacereporter (altri procedimenti sono tuttora in corso).

Poe, Gaiman e la raffigurazione di incubi letterari

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Il 19 gennaio 1809 nasceva Edgar Allan Poe e in occasione del secondo centenario Neal Gaiman ha scritto la prefazione agli Edgar Allan Poe: Selected Poems and Tales ripubblicati da Barnes & Noble. Il testo di Gaiman si intitola Some Strangeness in the Proportion: The Exquisite Beauties of Edgar Allan Poe e nucleo centrale sono la particolarità dei temi raccontati da Poe e loro rappresentazione grafica. Altro testo commemorativo dedicato a quest’anniversario è disponibile su Angolo Nero.