“Divo Giulio”, Libero (e Dagospia): “Era necessario che i voti finiti al Msi tornassero alla Dc”

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Divo GiulioSu Libero, ripreso da Dagospia, si parla attraverso la penna di Francesco Specchia del libro Divo Giulio (Nutrimenti, 2012), scritto con Giacomo Pacini. Ecco come.

Alla volte anche nelle biografie che paiono scontate si ritrovano notizie. Prendete Divo Giulio di Antonella Beccaria e Giacomo Pacini (Nutrimenti, pp.288, euro 14). Si ritrova qui il testo originale di una conversazione telefonica dell’aprile 1972 tra il braccio destro di Andreotti, Franco Evangelisti, e la giornalista del Borghese Gianna Preda. La telefonata fu registrata da Preda. Tra le altre cose, in essa vi sono alcuni passaggi in cui Preda dice a Evangelisti: «So che tu ed Andreotti siete fascisti al pari di me».

Lui annuisce e, poco dopo, le rivela apertamente che Andreotti «si era dichiarato antifascista solo perché era necessario che i voti finiti al Msi tornassero alla Dc. Ma se l’Msi fosse stato il primo partito italiano, lui non avrebbe alcun problema a stare coi fascisti». Poi c’è un inquietante passaggio sulla morte dell’editore Feltrinelli: vi si lascia intendere che era stato un bene che l’editore fosse morto quando a Palazzo Chigi c’era un monocolore Andreotti.

Inedita anche la notizia che De Gasperi affidò a Giulio la delicata gestione dei rapporti con apparati di sicurezza ufficiali e clandestini e le prime strutture segrete a carattere armato, poi parzialmente confluite in Gladio. I documenti dimostrano che Andreotti era uno dei responsabili politici del cosiddetto Ufficio Zone di Confine, organismo segreto che si occupava di inviare fondi riservati a tutte le organizzazioni, anche a carattere armato, contro i comunisti slavi.

Quando il Divo finanziava la prima Gladio: la recensione del libro sul Venerdì di Repubblica e su Articolo21 a firma di Nicola Tranfaglia

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Quando il Divo finanziava la prima Gladio

La prima recensione del Divo Giulio, scritto con Giacomo Pacini (Nutrimenti Editore), è uscita oggi sul Venerdì di Repubblica con il titolo “Quando il Divo finanziava la prima Gladio”. Qui il pdf (1,1 MB) dell’articolo firmato da Paolo Casicci. E poi, su Articolo21, è andata online una recensione di Nicola Tranfaglia.

“Moro è stato lasciato morire”, il giudice Imposimato (oggi avvocato di Maria Fida Moro) insiste nella ricerca della verità

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L'urlo di maggio - Foto di Antonella BeccariaDomani, il giornale online diretto da Maurizio Chierici, ha chiuso lo scorso 30 dicembre, quando è stato pubblicato l’ultimo numero. Questo è l’articolo con cui si è chiusa quell’avventura.

Sulle pagine di Domani qualche segreto di Stato rimasto irrisolto lo si è raccontato. È accaduto con la rubrica con cui ho iniziato la collaborazione, nel dicembre 2009, I peggiori protagonisti della nostra vita, e si è continuato anche altrove. C’è una pagina, di questa storia e di queste storie recenti, che rimane aperta e che ha quasi trentaquattro anni. Li compirà il prossimo 16 marzo, anniversario del sequestro di Aldo Moro, il presidente della Dc ucciso cinquantacinque giorni dopo, della strage di via Fani.

A riaprire le pagine di una vicenda rimasta in parte irrisolta è stata nel 2008 una testimonianza di un militare che sostenne di essere stato in via Montalcini 8 tra il 23 aprile e l’8 maggio 1978. Con lui ci sarebbe stato un contingente pronto a fare irruzione nel covo brigatista dove Aldo Moro era tenuto prigioniero, ma – ha raccontato il testimone – alla vigilia dell’eliminazione dello statista sarebbe giunto l’ordine di smobilitare. Quello stesso anno la procura di Roma aprì un fascicolo d’indagine destinato però a non vedere un nuovo processo.

Domani di Maurizio ChiericiDi fronte al gip di Roma, infatti, a novembre si è discusso della sua archiviazione. Anzi, dell’opposizione presentata a metà dell’estate 2011 da Ferdinando Imposimato, presidente onorario della Cassazione e già giudice che seguì dal 1978 al 1984 l’istruttoria sul caso Moro. Oggi è l’avvocato che rappresenta Maria Fida Moro, che ha firmato a sua volta l’opposizione, e nel documento di 26 pagine c’è una richiesta specifica: che si continui a indagare su quello che accadde in via Montalcini. E soprattutto su ciò che non accadde.
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Quello sconosciuto “anello” della Repubblica. “Il noto servizio, Giulio Andreotti e il caso Moro” nella ricostruzione di Aldo Giannuli

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Il noto servizio, Giulio Andreotti e il caso Moro di Aldo GiannuliPer lungo tempo sembrò poco più di un parto di fantasia. Eppure oggi si può dire non solo che è esistito davvero, ma che i suoi uomini hanno avuto ruoli in alcune vicende di primo piano nella storia della prima Repubblica. Si parla del libro di Aldo Giannuli Il noto servizio, Giulio Andreotti e il caso Moro (Marco Tropea Editore) e di un apparato conosciuto anche con il nome di Anello, un servizio segreto “ufficioso” fondato nella fase calante della seconda guerra mondiale dal potente generale Mario Roatta e poi sopravvissuto ai riassetti – talvolta solo di facciata – degli apparati dello Stato dopo la fine del fascismo.

Notizie – o frammenti di esse – che ne parlano si rintracciano nelle indagini del giudice Guido Salvini su Piazza Fontana e in qualche commissione parlamentare. E poi ci sono i faldoni del Viminale, quelli scoperti nel 1996, oltre inchieste che hanno portato a processi come quelli per la strage di piazza della Loggia, a Brescia, del 28 maggio 1974. In tutto questo materiale documentale – disponibile anche negli archivi di Stato maggiore, dei ministeri o dei servizi segreti – ecco che emerge una struttura d’intelligence che avrà una proposta “testa”: quella di Giulio Andreotti, che condivideva l’informazione con uno sparuto gruppo di politici nazionali, tra cui Aldo Moro e Bettino Craxi.
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“Il noto servizio, Giulio Andreotti e il caso Moro”: in uscita il nuovo libro di Aldo Giannuli

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Il noto servizio, Giulio Andreotti e il caso Moro di Aldo GiannuliAldo Giannuli lo annuncia sul blog: è in uscita per i tipi di Marco Tropea Editore il volume Il noto servizio, Giulio Andreotti e il caso Moro. Che così si presenta:

Questo libro è il risultato di un lavoro di ricerca durato quasi 15 anni che l’autore ha svolto – per conto dell’autorità giudiziaria di Brescia, di Milano e di Palermo – presso gli archivi della presidenza del consiglio, del ministero dell’interno, della guardia di finanza, del Sismi, del Sisde, dell’ufficio storico dello stato maggiore dell’esercito, dei tribunali e delle questure di Roma e Milano e molti altri. Ne è scaturita la storia, completamente sconosciuta, di un servizio segreto clandestino, nato negli ultimi anni della guerra e poi sopravvissuto, con molte trasformazioni, sino agli anni ottanta.

Questo servizio ebbe come suo referente politico il senatore Giulio Andreotti, con la cui parabola politica si intreccia strettamente, e al quale è riservata una parte ragguardevole del testo. Una vicenda fra politica, finanza, spionaggio che permette di rileggere in una luce completamente nuova molte pagine della storia più recente d’Italia: dal colpo di stato di Junio Valerio Borghese alle principali vicende della strategia della tensione, per culminare nel caso Moro di cui si offre una lettura originale, distante da tutte le ricostruzioni fatte sinora.

Fra le “scoperte” del libro ricordiamo il ruolo delle associazioni imprenditoriali e dei loro servizi segreti, lo scontro interno alla Chiesa e la partecipazione di diversi religiosi alla lotta politica e all’intelligence del tempo, un lontano tentativo di colpo di stato (1947) mai emerso sinora, le pressioni delle gerarchie militari sulla classe politica per una svolta autoritaria, gli intrecci fra istituzioni e mafia. Una massa di centinaia di carte e di decine di testimoni offre un solido supporto documentale alle affermazioni e – talvolta – alle ipotesi avanzate dall’autore.

Qui a breve si potrà leggere il primo capitolo del testo.

Caso Toni-De Palo: lettera aperta di Amedeo Ricucci ai “politici che sanno ma non hanno mai parlato”

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Italo Toni e Graziella De PaloDopodomani, il 2 settembre, saranno trascorsi 31 anni dalla scomparsa a Beirut dei giornalisti Graziella De Palo e Italo Toni (in un post precedente il programma delle commemorazioni di venerdì prossimo). In vista di questo anniversario, Amedeo Ricucci ha pubblicato sul suo blog una lettera aperta a Giulio Andreotti, Arnaldo Forlani, Emilio Colombo e a tutti gli uomini politici che sanno ma non hanno mai parlato. Eccone il testo completo (sottoscritto dalle famiglie dei due cronisti):

Venerdì 2 settembre 2011 è il 31° anniversario della scomparsa a Beirut di Italo Toni e Graziella De Palo. Due giornalisti onesti e senza protezioni, che sono stati inghiottiti nel buco nero della guerra civile libanese, con la complicità attiva e passiva dei nostri servizi segreti dell’epoca, in particolare del SISMI di Santovito e Giovannone. A differenza di altre nazioni occidentali – che hanno smosso mari e monti alla ricerca dei loro desaparecidos in Libano – le autorità italiane non hanno fatto nulla in tutti questi anni per cercare di sapere cos’era veramente successo a Italo e Graziella. Anzi, hanno apposto il segreto di stato sulla vicenda, imponendo così un muro di silenzio e di omertà, che è servito solo a proteggere le nostre presunte relazioni internazionali, a partire dal “Lodo Moro”. Contro questo muro si sono infrante sia le inchieste giudiziarie che gli appelli lanciati a più riprese da familiari, amici e colleghi.

Eppure, la verità è nota: la conoscono diversi uomini politici che stavano fra i banchi del governo negli anni che vanno dal 1980 al 1984, e voi in primo luogo; voi che della vicenda vi siete occupati, viste le cariche ricoperte, e che con il SISMI avevate rapporti istituzionali continui e precisi. Per questo mi rivolgo a voi, chiedendovi di parlare. Parlate perché questa triste vicenda possa finalmente chiudersi. Parlate, in nome della giustizia e della verità.

Qui la ricostruzione della vicenda.

“L’innocenza di Giulio”: il processo Andreotti raccontato a teatro da Giulio Cavalli

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Giulio Cavalli, attore sotto scorta per aver fatto i nomi dei malavitosi al nord nel corso dei suoi monologhi teatrali e consigliere regionale della Lombardia, porta in scena uno spettacolo intitolato L’innocenza di Giulio. Processo Andreotti al centro dello “spettacolo”. Ecco di seguito cosa scrive in proposito Il Fatto Quotidiano.

Sette volte presidente del consiglio. Più di mezzo secolo da protagonista della vita politica italiana. Tanti soprannomi. E tanti segreti. Ma una certezza: “Andreotti non è stato assolto”. Così recita il sottotitolo de “L’innocenza di Giulio”, il nuovo spettacolo dell’attore-autore Giulio Cavalli, in prima nazionale questa sera al Teatro della Cooperativa di Milano.

Andreotti si è salvato grazie alla prescrizione. Ma la storia, secondo Cavalli, dice che l’ex leader della Dc si è seduto al tavolo della mafia. E questo va spiegato. Anche con il teatro. In uno spettacolo-monologo in cui testimonianze, deposizioni e lettura degli atti giudiziari si alternano per raccontare il processo per mafia che ha coinvolto una delle figure politiche più controverse della politica italiana. Cavalli, a un certo punto, si farà lui stesso Andreotti. E a mani giunte e Bibbia in mano citerà alcune delle dichiarazioni da lui rese nel corso del dibattimento.
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Paolo Bolognesi su “Domani”: «Altre indagini per cercare la verità. Questo potrebbe essere il momento giusto»

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Domani di Maurizio ChiericiAll’inizio Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime della bomba che il 2 agosto 1980 esplose alla stazione del capoluogo emiliano, avrebbe voluto che non ci fosse alcun clamore sull’istanza presentata alla procura per chiedere nuove indagini sui mandati dell’attentato. Preferiva che i magistrati avessero modo di valutare con tranquillità la fondatezza della richiesta e di rispondere con altrettanta tranquillità che i familiari si sbagliavano, se lo avessero pensato. Così il 13 gennaio 2011 l’associazione aveva deciso di mantenere il riserbo sulla sua azione, che a poco meno di due mesi di distanza così campata per aria non sembra essere.

Perché presentare adesso l’istanza per chiedere un’indagine sui mandanti? È cambiato qualcosa rispetto al passato?

«Certo. Sono diventati noti a tutti i documenti relativi soprattutto al processo per la strage di Brescia, processo concluso alla fine del 2010. Una serie di testimonianze e di documenti hanno dimostrato che certe figure, ritenute marginali nell’inchiesta su Bologna, assumevano un ruolo più centrale. Si era già visto con gli atti del processo per la strage di piazza Fontana, avvenuta il 12 dicembre 1969, e ora con quello di piazza della Loggia. La nostra richiesta, dunque, non è tanto di dire “adesso troviamo i mandanti”, ma chiediamo che una serie di documenti vengano presi in considerazione dall’indagine in corso».
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Piovono Pietre: William Gambetta racconta la storia di Democrazia Proletaria e del “lungo Sessantotto”

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Democrazia proletaria di William GambettaQualche tempo fa il blog Piovono pietre ha intervistato William Gambetta a proposito del libro Democrazia proletaria. La nuova sinistra tra piazze e palazzi (Edizioni Punto Rosso, 2011). Nell’intervista l’autore spiega:

Non si tratta di una ricerca sull’intera storia di Democrazia proletaria che, pur affondando le sue radici negli anni Settanta, nei tumultuosi conflitti sociali e politici del decennio successivo al Sessantotto, si sviluppa compiutamente negli anni Ottanta, nella fase del riflusso dei movimenti, del ritorno al privato e del disimpegno politico, delle ristrutturazioni produttive e della restaurazione del dominio padronale in fabbrica e nelle relazioni sociali. Ciò che a me interessava era analizzare un’intensa stagione di lotte – il “lungo Sessantotto” appunto – e l’emergere, in quell’antagonismo sociale, di nuove organizzazioni politiche che tentano di intercettare e rappresentare le istanze di cambiamento rivoluzionario di ampi settori della società, soprattutto giovanili, ma non solo. Un tentativo, questo, complesso e soprattutto frammentato, perché frammentato è il decennio successivo al 1968.

Si pensi, per esempio, alla differenza tra le elezioni del 1972 e quelle del 1979. Le prime collocate nella fase “alta” del protagonismo dei movimenti, da quello operaio a quello studentesco, dove i gruppi dell’estrema sinistra sono ancora in formazione, in una fase fluida e magmatica, impegnati a respingere la “strategia della tensione”, fatta di bombe anonime, aggressioni neofasciste e cariche della polizia. Le seconde, invece, quelle del 1979, si tengono al termine di quel ciclo, dopo l’esperienza dei tre governi Andreotti, nei quali era coinvolto anche il PCI berligueriano, nel pieno dell’escalation delle azioni armate delle Brigate rosse e della repressione dello Stato, in un momento in cui i partiti della nuova sinistra hanno già subito una profonda crisi e tentano faticosamente di difendere un proprio spazio d’iniziativa politica.

O si pensi, per fare un ultimo esempio, alle elezioni del 1976, quando il cartello unitario di Dp (che raccoglie tutte le principali organizzazioni della sinistra rivoluzionaria) ha grandi aspettative tanto sul piano direttamente elettorale quanto su quello politico-istituzionale, con la proposta di un “governo delle sinistre”, alternativo al “centro sinistra” ed espressione di vasti settori del mondo del lavoro e dei movimenti di protesta. Aspettative immediatamente deluse da uno scarso 1,5% ma soprattutto dalla misera concretizzazione del “compromesso storico” berlingueriano nei governi dell’astensione dei tre anni successivi.

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Licio Gelli: ecco come ci dividevamo gli apparati. Qualche altra dichiarazione dal signor P2

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Dopo aver preso la parola a fine gennaio, Licio Gelli torna a raccontare la “sua” versione e lo anticipa l’Ansa scrivendo di un’intervista più ampia in uscita domani. Ecco di seguito quanto si può leggere.

“Giulio Andreotti sarebbe stato il vero “padrone” della loggia P2? Per carità… Io avevo la P2, Cossiga la Gladio e Andreotti l’Anello”. L’Anello? “Sì, ma ne parleremo la prossima volta”. Con poche parole l’ex venerabile Gelli conferma per la prima volta che il senatore Andreotti sarebbe stato il referente di un’organizzazione quasi sconosciuta, un sorta di servizio segreto parallelo e clandestino, un possibile anello di congiunzione tra i servizi segreti (usati in funzione anticomunista) e la società civile.

Il settimanale Oggi, che pubblica l’intervista a Gelli nel numero in edicola domani, ha chiesto un commento ad Andreotti, che con queste parole ha fatto sapere di non voler commentare. Gelli dice: “Se avessi vent’anni di meno, mobiliterei il popolo, bloccherei ferrovie e autostrade per protestare contro l’ingerenza dell’Europa. Per bloccare chi vieta di esporre il crocifisso negli edifici pubblici”.

Sulla P2, Licio Gelli tra l’altro dice: “La rifarei. Anche se tanto del mio Piano di rinascita è stato realizzato. Mi sarebbero bastati altri quattro mesi. Solo quattro. E avrei cambiato il sistema politico senza colpo ferire”. L’ex venerabile dà un giudizio negativo su Berlusconi: “La sua politica non mi piace. Si è dimostrato un debole, ha paura della minoranza e non fa valere il potere che il popolo gli ha dato. Oggi il Paese è in una fase di stallo. Molto pericolosa. Berlusconi è stato troppo goliardico, avrebbe dovuto dedicare più tempo ad altri incontri, ad altre cene”. Lapidario il giudizio su Gianfranco Fini: “È un uomo senza carattere”.
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