Sembrò di sentire un refrain fin troppo stesso trasmesso: i due ragazzi assassinati il 18 marzo 1978 a Milano, in via Mancinelli, erano stati ammazzati in un regolamento di conti tra gruppi di estrema sinistra o di spacciatori. Parola della questura meneghina, che indicava anche un’arma diversa da quella usata per l’agguato, una calibro 32 invece di una 7,65. Ciò che oggi c’è di certo nell’omicidio di Lorenzo Iannucci e Fausto Tinelli – Fausto e Iaio – è che non ci sono mandanti né esecutori di quel duplice delitto.
Per quell’omicidio furono indagati esponenti di estrema destra, da cui arrivavano le rivendicazioni più attendibili, tra cui Massimo Carminati, Claudio Bracci e Mario Corsi. Ma gli elementi raccolti contro di loro e le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia non portarono a un quadro accusatorio abbastanza suffragato da trasformarsi in una condanna e dunque furono prosciolti. Discorso analogo per altri neofascisti. Il giornalista Pablo Dell’Osa oggi parla di servizi dietro un delitto impunito. E anche Daniele Biacchessi, che a questa vicenda ha dedicato un libro, nell’anniversario dall’agguato di via Mancinelli, scrive:
36 anni senza una giustizia ma con una verità storica scritta nei documenti dei pochi magistrati e giornalisti della controinformazione. Un omicidio organizzato da neofascisti e da uomini della banda della Magliana, che non è una banda di criminali qualsiasi, ma agiva per conto dei servizi segreti, il Sismi, allora diretto dalla loggia massonica P2. Questa è la verità che non si può mai archivi.