La questione immorale: la giustizia e le considerazioni di Norberto Lenzi

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La questione immoraleDel libro La questione immorale – Perché la politica vuole controllare la magistratura di Bruno Tinti avrei voluto scriverne già da un po’: letto tutto d’un fiato in un’andata e ritorno ferroviaria, illustra in termini semplici e appassiona(n)ti gli obiettivi verso cui puntano le varie riforme e riformette delle giustizia. Solo per fare qualche esempio (alcune di queste voci c’è da scommettere che non risulteranno nuove): separazione delle carriere, abolizione dell’obbligatorietà dell’azione giudiziaria, soppressione delle sezioni di pg presso le procure, rivalsa sul giudice che si vede cambiare una sentenza in un successivo grado di giudizio. E per chi volesse andare a vedere altri punti che si stanno portando avanti, provi a dare un’occhiata all’atto di sindacato ispettivo n° 1-00019 dello scorso 29 luglio.

Riccardo Lenzi però mi precede e oggi mi ha inviato un testo scritto da suo padre Norberto, magistrato bolognese che fu pretore fino a quando questa funzione è stata soppressa (questa una delle sue sentenze celebri). Le fitte righe che seguono, dunque, sono state scritte da lui per la presentazione del libro di Tinti a Fano, lo scorso 27 aprile. E meritano di essere lette perché, al di là delle considerazioni strettamente legate all’evento a cui Lenzi partecipava, rendono bene il modo in cui la politica (o forse soprattutto certi uomini politici) condiziona il dibattito su un tema così delicato.

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Non so perché mentre leggevo il libro di Tinti mi è venuto in mente Hegel quando diceva che ciò che è reale è razionale. Teoria discutibile, criticata anche perché dicono che ha posto le basi del nazismo. Non so se questo sia vero ma so che il libro di Tinti dimostra che è sbagliata, perché la realtà (il reale) da lui descritta è assolutamente irrazionale, di una irrazionalità voluta, che viene perseguita con rigore scientifico, a volte per ragion di stato, a volte per ragion di partito, a volte perché un uomo solo al comando vuole piegare l’interesse di tutti al suo.

Il quadro complessivo del sistema giustizia descritto da Tinti è desolante perché non prevede una via di uscita, anzi la esclude motivatamente. Le uniche note un po’ stonate del libro, non in linea con il suo pessimismo cosmico, si trovano all’inizio.
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Femminicidio messicano: un processo contro lo stato di Chihuahua

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A proposito ancora di femminicidio, scrive Peacereporter che in Messico si apre il primo processo per i ‘feminicidos’ davanti alla corte interamericana dei diritti umani. Purtroppo non ci sono alla sbarra gli autori materiali dei delitti per cui si va in aula, ma rimane comunque un risultato importante che sul banco degli imputati ci sia lo stato di Chihuahua, che non sarebbe risultato in grado di tutelare le sue cittadine. Nello specifico, tra le migliaia di vittime scomparse nel nulla o ritrovate senza vita, tre sono le donne per le quali si va cercando giustizia:

Claudia Gonzalez, Esmeralda Herrera e Laura Ramos, originarie di Campo Algodonero, sono state ritrovate nel novembre del 2001, insieme ad altri cinque corpi di donna che non è stato possibile identificare, di fronte al sindacato delle maquiladoras. Il tribunale dell’Organizzazione degli stati americani procederà da oggi contro lo stato messicano di Chihuahua per “responsabilità” nell’assassinio delle tre donne, “per l’impunità di cui hanno beneficiato i responsabili, e per la mancanza di verità e di giustizia”.

Pandemie, i numeri e il prospetto della storia

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Dato che si torna a parlare di pandemie (e concordo con il commento di Alfonso Fuggetta a proposito del verbo dilagare), Neatorama coglie la palla al balzo e se ne esce con un post sui cinque peggiori contagi della storia. Si parte dalla febbre tifoide del 430 AC del Peloponneso, durante la guerra che contrappose Sparta e Atene, per arrivare alla spagnola del 1918. Giusto per far parlare i numeri e ridimensionare le emergenze strillate a ogni pie’ sospinto. Sempre in tema sui fatti di questi giorni si legga anche un lungo reportage di Fabrizio Lorusso su Peacereporter.

Il libretto rosso dei partigiani: torna un testo del 1943

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Il libretto rosso dei partigianiSi intitola Il libretto rosso dei partigiani, è uscito in questi giorni per i tipi della PurplePress ed è una ristampa curata da Cristiano Armati di una pubblicazione clandestina uscita nel 1943. L’introduzione venne scritta da chi i giorni della Resistenza li visse, Ferruccio Parri, e questa la scheda di presentazione:

Quando la resistenza passiva divenne impotente di fronte agli abusi del regime fascista, agli eccidi di massa ordinati dai gerarchi di Salò e allo sterminio dei cittadini di religione ebraica, un nucleo di donne e di uomini scelse la via della ribellione e, dalle cime delle montagne o dai bassifondi delle città, invitò alla rivolta la parte migliore del popolo italiano. Si aprì così la stagione della lotta partigiana: un momento di riscatto collettivo in cui ogni singolo individuo veniva chiamato a fare la sua parte. Scritto negli ultimi mesi del 1943 e diffuso clandestinamente, Il libretto rosso dei partigiani raccoglie le teorie e le pratiche della guerriglia metropolitana, mettendo a disposizione di tutti le nozioni indispensabili per opporsi efficacemente alla brutalità delle ss e delle Camicie nere. Dalla manomissione delle vie di comunicazione al danneggiamento dei macchinari industriali, dall’interruzione delle forniture di energia alla distruzione delle derrate alimentari destinate al nemico, Il libretto rosso dei partigiani resta un documento storico di inestimabile valore: pagine di coraggio dedicate a una patria comune chiamata libertà.

(Via Booksblog.it)

CitizenMedia.it: progetti collaborativi a Roma il 23 giugno

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Giornalismo e media partecipativi: voci, strumenti, prospettive è un incontro in programma per il prossimo 23 giugno a Roma, presso la Sala Walter Tobagi della Federazione Nazionale della Stampa, organizzato da CitizenMedia.it, iniziativa che ha come “obiettivo primario quello di stimolare, aggregare e dare visibilità ai citizen media italiani nel momento in cui l’intero pianeta vede sbocciare la produzione di culture aperte, non filtrate”. Dietro il nome del sito ci sono Bernardo Parrella, Eleonora Pantò e Antonio Rossano che lanciano ai progetti partecipativi un call for participation:

Il programma della giornata è in corso di definizione: prevediamo 10-12 presentazioni e ci sono ancora degli spazi liberi. Stiamo cercando progetti collaborativi e aperti ai contributi degli utenti, centrati sull’attualità locale, nazionale o internazionale, di taglio non-profit. Chiunque fosse interessato a proporre una presentazione, o anche a coinvolgersi attivamente nel progetto, può contattarci qui.

“Governare con la paura”: quel film non s’ha da proiettare

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Ancora a proposito di Governare con la paura. Prove tecniche di colpo di Stato, un nuovo divieto si aggiunge ad altri recenti. Stavolta lo scenario è romano e il fattaccio non riguarda le abitudini da slow food dei milanesi e nemmeno la programmazione di una pay tv, ma ha comunque toni che meritano di essere raccontati. Lo fa Beppe Cremagnani, uno degli autori – insieme a Enrico Deaglio e Mario Portanova – del cofanetto appena uscito per Melampo Editore con il documentario G8/2001 – Fare un golpe e farla franca, che scrive:

Forse sapete già quello che è successo a Roma in occasione della proiezione del nuovo film inchiesta “Governare con la paura”. Era prevista una serata al cinema Nuova L’Aquila. L’iniziativa, organizzata dal Pd romano, prevedeva la presenza della direttrice de “L’Unità” Concita De Gregorio e di Massimo D’Alema, oltre a quella di Enrico Deaglio e mia. Qualche ora prima della proiezione il Comune di Roma ha avvisato il gestore della sala che la “manifestazione” veniva sospesa.

Il divieto aveva avuto un precedente in mattinata quando un consigliere del Pdl, Giorgio La Porta, aveva presentato una mozione sostenendo che la proiezione era inopportuna perchè “il regista del suddetto film è stato oggetto di una denuncia per aver documentato un tentativo di brogli elettorali e tale tesi è stata totalmente smontata dal Ministero dell’Interno”. La censura si è messa in moto subito.

Di fronte alle proteste del Pd, di altre organizzazioni politiche e di molti cittadini, Alemanno ha provato a fare marcia indietro dicendo che il divieto era frutto di un errore dei funzionari. Comunque il Comune non è ritornato sulla sua decisione e la proiezione è stata annullata. Lascio a voi il giudizio di quale clima si respiri nel nostro paese alla vigilia del 25 aprile.

A Roma è stata vietata la proiezione di un documentario che critica il governo, mentre è stata promossa in pompa magna e con grande dispendio di denaro pubblico la ricorrenza del “Natale di Roma”, festa cara al fascismo, che ai tempi del duce aveva sostituito il primo maggio. Non ho parole.

Il diciottesimo vampiro vive a Modena. Parola di Claudio Vergnani

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Il diciottesimo vampiro di Claudio VergnaniDi Gargoyle Books ho già parlato varie volte perché ne ammiro l’accuratezza nella scelta dei libri da pubblicare: occupandosi solo di horror, non pesca nella massa degli ammiccamenti commercializzanti a cui potrebbe con facilità attingere, ma va alla ricerca di testi che spesso raccontino non solo la storia narrata, ma anche un contesto non di rado dagli aspetti politici e sociali. Si provi per esempio con questo recente volume e si inizi con un esercizio di fantasia prendendo un improbabile drappello di cacciatori di non-morti. La prima immagine che viene in mente, iniziando a leggere, è quella dei protagonisti strappati a Vampires, prima nel romanzo di John Steakley (Vampire$) e poi nella trasposizione cinematografica di John Carpenter. Anche qui ci sono i cacciatori che il loro compito lo svolgono su commissione.

Ma nel romanzo di Claudio Vergnani, Il diciottesimo vampiro, l’ambientazione è diversa. Pur mantenendo alcune atmosfere da far west, sono Modena e la sua provincia a dover essere “bonificate” e il sapore di un certo cinismo marmoreo alla Raymond Chandler subisce l’inevitabile reinterpretazione della quotidianirà della bassa italiana: precarietà della vita, fugaci riferimenti a un benessere economico inaccessibile a chi sta solo accanto, l’operosità dell’oriundo contro il perdigiornismo di alcuni dei disullusi personaggi. Per certi versi sembra di rileggere Fuori e dentro il borgo o rivedere Radiofreccia di Luciano Ligabue: non per nulla la limitrofa provincia reggiana è abitata da un tizio che si fa chiamare Bonanza, come nel longevo telefilm statunitense. Ma in questo caso, a differenza di quello della cricca di Ligabue, il nemico non è l’eroina, che falcia una generazione. Sembra quasi che, oltre ai vampiri (o per certi versi più di loro), i nemici di Claudio e dei suoi comprimari siano più che altro loro stessi (e qui si ritrovano influssi forse inconsapevoli di un altro autore che ha raccontato, nascendovi, la provincia emiliana, Piervittorio Tondelli).
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Dal NYT i documenti della CIA sulle “tecniche da interrogatorio”

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Per chi volesse consultare qualche decina di pagine di documentazione originale, il New York Times (che ha fatto il pieno quest’anno, con cinque Pulitzer) pubblica questo: Justice Department Memos on Interrogation Techniques. Ecco di che si tratta:

Il dipartimento di giustizia giovedì ha reso pubblici dettagliati promemoria che descrivono le dure tecniche usate dalla Central Intelligence Agency. Il presidente Obama ha detto che gli agenti della CIA che hanno adottato queste tecniche non sarebbero perseguibili.

I documenti sono quattro (uno del 2002 e tre del 2005) e qui un articolo dello stesso quotidiano che racconta più nel dettaglio la vicenda.

Tina Merlin: “A perdifiato”, una biografia teatrale

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Riccardo Lenzi mi segnala questo spettacolo teatrale, A Perdifiato, ritratto in piedi di Tina Merlin, che si terrà a Bologna il prossimo 3 giugno presso la sala teatrale “ex Macello” (via Azzo Gardino, 65). Patrocinato dal Premio Ilaria Alpi e il teatro d’impegno civile e organizzato dal Biograd Film Festival in memoria di una donna che non poco ha contribuito alla cultura e alla politica italiana (per maggiori informazioni qui il sito dell’associazione a lei intitolata), questo spettacolo ne rievoca la vita e le sue evoluzioni:

dall’infanzia sulle montagne del Bellunese alla Resistenza, fino all’impegno nella società e nel giornalismo, che la vide a lungo attiva sulle pagine de L’Unità. La narrazione viene affrontata lavorando in primo luogo sulla ricerca del vero fil rouge del personaggio: un amore forte e razionale a un tempo per la natura, nato dai ritmi biologici della vita contadina, che rimane sempre il pensiero dominante – come emerge dai numerosi articoli sul paesaggio veneto, stravolto dall’industrializzazione selvaggia degli Anni ’50 e ’60. Tre ante, allora, per altrettante immagini di un trittico. Nella prima, Tina Merlin si racconta alla madre, in una narrazione che rievoca il passato, fino allo scoppio della guerra e alla presa di coscienza politica con la scelta partigiana. La sezione centrale cambia completamente stile. Una perdita d’equilibrio del discorso, un corpo a corpo poetico con il video: allusione allo spazio ipnotico e senza tempo dell’inconscio; immagini che contengono tutto il dolore e lo spavento di questo mondo. Il terzo episodio si apre sulla figura di Tina Merlin giornalista, la sua precisa volontà di dire quello che la gente – nell’Italia ridente del boom economico – preferisce forse ignorare, per poi fronteggiare le tragedie con lo sgomento dell’ uditore cieco davanti alla morte annunciata. Emerge da questa memoria appassionata un’antica oralità, una sapienza femminile distillata nei secoli, un’opera di civiltà che le nostre madri hanno compiuto giorno dopo giorno per rendere abitabili le case e più umana la vita.

La regia dello spettacolo è curata da Daniela Mattiuzzi di cui è anche la drammaturgia, insieme a Luca Scarlini.