“Condividi o muori”: in italiano e liberamente scaricabile il libro che raccoglie le risposte di “una generazione smarrita in tempo di crisi”

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Condividi o muoriAlex Giordano, direttore dell’Accademia Mediterranea di Societing, annuncia la traduzione italiana di Condividi o muori – Voci di una generazione smarrita in tempo di crisi (qui la presentazione in lingua originale Share or Die). Curata da Malcolm Harris e da Neal Gorenflo e con prefazione di Cory Doctorow, la pubblicazione italiana – scaricabile da qui – viene presentata così:

Virtualmente una cultura di sharing rende possibile rendere denaro qualsiasi cosa: conoscenze o abilità specializzate, beni usati e reti sociali, passioni o tempo libero. Non è un caso che molti dei nuovi modelli di business emergenti in rete sono fondati sul baratto (non scambi monetari) e sullo scambio di tempo e responsabilità.

Per questo ringrazio il caro amico Neal Gorenflo, fondatore del magazine online Shareable che ci ha dato l’opportunità di tradurre per il pubblico italiano questo bellissimo e popolare ebook Share Or Die che raccoglie, come recita il sottotitolo, voci di una generazione smarrita in tempo di crisi. Si tratta di una serie di testimonianze positive di giovani che sono riusciti a rispondere al fallimento del presente mettendo in gioco le loro passioni, i loto talenti, la loro creatività. Giovani che stanno facendo prove generali di futuro sostituendo, ad esempio, la parola “proprietà” con la parola “accesso”, la parola “acquisti” con la parola “scambio”.

(Via Pandemia)

2011 Global Peace Index: l’Italia passa dal 40mo al 45mo posto in classifica

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2011 Global Peace Index from Vision of Humanity on Vimeo.

L’Italia dal quarantesimo al quarantacinquesimo posto nella lista globale dei paesi più pacifici. Lo si afferma nel video 2011 Global Peace Index di Vision of Humanity. Qui più nel dettaglio la situazione italiana.

(Via Luca Conti)

Gli zombi, rappresentazioni fantastiche per leggere la realtà e le sue paure

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Soccer Mom Zombie - Illustrazione di JucoLa società americana (ma non solo, direi), le paure contemporanee scandite dall’alternarsi delle emergenze (più o meno pretestuose) presentate all’opinione pubblica, il consumismo come verbo, gli scontri politici freddi e caldi. Di tutto ciò parlano due lunghi articoli scritti dall’opinionista e critico culturale Mark Dery per la rivista elettronica True Slant. Ed entrambi prendono a simbolo e rappresentazione di questi concetti una figura utilizzata dal cinema e dalla letteratura: quella dello zombi. I pezzi si intitolano Dead Man Walking: What Do Zombies Mean? e Dead Man Walking: What Do Zombies Mean?, Part 2 e fanno un’ampia retrospettiva sia dei contesti socio-economici e politici in cui questa figura fantastica si cala che delle opere di fantasia diventate simbolo e metafora per l’interpretazione del reale. Vi si legge infatti:

Lo zombi è un ritornante polivante, una rappresentazione pregna di significati che ha dato forma, in modo alternato, ai ricordi repressi degli orrori della schiavità raccontando sia l’alienazione bianca che l’Altro più oscuro. Ma anche gli incubi della Guerra Fredda generati dai funghi atomici e dagli stermini di massa, le ricadute post-traumatiche dell’Aids e le estese ansie derivanti da minacce virali e bioingegneristiche (come accade in 28 Days Later e Left 4 Dead, sogni disturbati da un’epoca di influenza aviaria e H1N1, quando gli agenti patogeni superano le barriere delle specie e si diffondono, attraverso i viaggi aerei, diventando, da una notte all’altra, pandemie globali […]).

Nei decenni postbellici, mentre estese aree suburbane e culture commerciali di metastatizzavano nella nazione, Hollywood lancia lo zombi presentandolo come il volto decadente dell’ambivalenza popolare scivolata verso uno scatenato consumismo. Implacabili macchine consumistiche, i morti di George Romero, quelli che strisciano nel centro commerciale di Dawn of the Dead (1978), rappresentano letteralmente la psicologia infantile della cultura del consumo, con la sua fissazione orale, la sua insistenza per la gratificazione istantanea e il suo autogratificante “compro-quindi-sono”. E danno anche una misura di quanto costosi siano i totem dello status […]. L’oralità insaziabile ha portato a una ridefinizione commercial-capitalistica del cittadino che diventa consumatore, una specie con il “portafogli in bocca” […].

Adesso che l’apocalisse economica ha lasciato milioni di persone senza lavoro […], lo zombi […] incarna le paure americane che sbandierano glorie ormai passate […]. Gli zombi sono il male contenuto in un’economia moribonda che ci mette a confronto ovunque guardiamo con un paesaggio costellato da centri commerciali, “scatole fantasma” e “negozi zombi”, ridotti a liquidazioni per ridurre i magazzini all’osso, con l’ironica conseguenza che i loro emaciati stock e i loro clienti assenti accelereranno questa spirale mortale.

Questo e altro viene raccontato nei due articoli di Mark Dery facendo notare che il virus che dilaga in 28 Days Later si chiama “Rabbia. Il sonno della ragione del resto genera mostri”.

Pandemie, i numeri e il prospetto della storia

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Dato che si torna a parlare di pandemie (e concordo con il commento di Alfonso Fuggetta a proposito del verbo dilagare), Neatorama coglie la palla al balzo e se ne esce con un post sui cinque peggiori contagi della storia. Si parte dalla febbre tifoide del 430 AC del Peloponneso, durante la guerra che contrappose Sparta e Atene, per arrivare alla spagnola del 1918. Giusto per far parlare i numeri e ridimensionare le emergenze strillate a ogni pie’ sospinto. Sempre in tema sui fatti di questi giorni si legga anche un lungo reportage di Fabrizio Lorusso su Peacereporter.