“Made In Italy (Behind the Scene)”: il documentario che racconta il retroscena dell’industria italiana delle armi

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Le politiche industriali e le sorti del Paese. Segnalato da Irpi – Investigative reporting project Italy in questo post, il breve documentario (dura 10 minuti) diretto da Anke Riester e Isacco Chiaf racconta l’Italia e i suoi retroscena – Made In Italy (Behind the Scene) il suo titolo -, che comprendono un dato di fatto: la nazione è il primo esportatore e il secondo produttore al mondo di armi leggere. I paesi destinatari delle esportazioni annoverano una lista di 117 Paesi (di cui 7 sotto embargo da parte della comunità europea) e tra questi ne compaiono alcuni come la Libia, che ne compra per un valore di 950 milioni di euro all’anno. Il mini documentario, presentando dati e statistiche, dimostra anche come si siano aggirate leggi italiane e direttive europee per vendere laddove non si poteva.

È quasi alba in Libia: otto fotografi e un progetto per portare le immagini del conflitto laddove sono state scattate

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La storia dell’alba della Libia viene raccontata nella sezione portfolio di Internazionale:

Otto fotografi, cento immagini, quattro mostre. Il progetto Adil (Almost dawn in Libya, “È quasi alba in Libia”) vuole portare alcune delle migliaia di foto scattate durante il conflitto nelle città che ne sono state teatro: Bengasi, Misurata, Tripoli e Zintan. Il cuore del progetto Adil, un’idea originale di André Liohn con l’agenzia Prospekt, è mostrare “quanto l’intero popolo libico ha pagato per la guerra”. Soprattutto per incoraggiare i libici a superare le loro divisioni ed evitare nuove violenze.

Gli otto fotografi sono, oltre ad André Liohn, Lynsey Addario, Eric Bouvet, Bryan Denton, Christopher Morris, Jehad Nga, Finbarr O’Reilly e Paolo Pellegrin, che è il curatore delle mostre insieme ad Annalisa D’Angelo. La realizzazione del progetto sarà possibile grazie al crowdfunding, attraverso il sito di raccolta fondi per il giornalismo visivo Emphas.is.

Per vedere tutta la galleria immagini, il link è questo. La fotografia pubblicata invece in apertura del post è stata scattata nel marzo 2011 da André Liohn (Prospekt) tra Ras Lanuf a Bengasi.

La strage di Ustica e l’incidente di Ramstein del 1988. Si indaghi sui punti di contatto, lo chiedono i familiari

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La voce delle voci - Marzo 2012Gli ultimi mesi hanno hanno portato con sé novità di non scarso rilievo per la strage di Ustica del 27 giugno 1980. Prima fra tutte la sentenza pronunciata in settembre dalla terza sezione civile del tribunale di Palermo che accorda ai familiari delle vittime un maxi risarcimento – 100 milioni di euro, più interessi e oneri accessori – a causa delle “omissioni e negligenze” dei ministeri dei Trasporti e della Difesa nell’accertamento dei fatti.

Se la parola sul procedimento civile rimane aperta (a febbraio è partito l’appello dopo il ricorso dello Stato), nelle scorse settimane si è delineato un ulteriore fronte: quello che richiama un causa una sciagura aerea di qualche anno dopo. È quella della pattuglia acrobatica delle Frecce Tricolori avvenuta in Germania, a Ramstein, il 28 agosto 1988. Tra le 70 vittime (3 militari italiani e 67 civili a terra), ce ne sono due che la sera del 27 giugno 1980 stavano sorvolando i cieli del Mediterraneo alla guida di un biposto, un TF104G. A un certo punto diramarono un allarme, un “codice 73”, per segnalare qualcosa di anomalo che però – data la tipologia dell’allarme – non riguardava il loro mezzo.
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Su Peacereporter il racconto degli affari di una guerra (sporca), quella libica

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Libia, affari di guerra sporca

Scrive Peacereporter a proposito di Libia, affari di guerra (sporca):

Lunedì, dopo l’ingresso dei ribelli a Tripoli, precipita il prezzo dell’oro e schizzano i titoli di banche e aziende petrolifere che, come Unicredit e Eni, hanno interessi nel Paese e che hanno finanziato i ribelli. Sui quali pesa l’incognita di Al Qaeda.

Il dossier continua qui. Inoltre, sempre in tema, Peacereporter segnala anche questi altri articoli correlati:

Peacereporter: manovra economica da “lacrime e sangue” ma non sulla guerra

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Tremonti non risparmia sulla guerra

Peacereporter racconta che, malgrado la manovra da 47 milioni di euro, Tremonti non risparmia sulla guerra.

Si tira la cinghia su tutto, dalla salute all’istruzione, ma non sulle guerre. La cifra di 700 milioni (che comprende la guerra in Afghanistan e le missioni in Libano, Kosovo, Bosnia, Iraq, Pakistan, Somalia, Sudan e Congo) è infatti in linea con i precedenti finanziamenti semestrali.

Questo stanziamento militare, tra l’altro, non comprende le spese per la guerra in Libia, che nei primi tre mesi è costata da sola oltre un miliardo di euro (almeno 700 milioni di spese correnti per la Difesa per bombe, missili e carburante per aerei e navi, e altri 400 milioni di finanziamenti ai ribelli provenienti dal ministero degli Esteri).

E l’articolo prosegue dettagliando qualche altra spesa in armamenti (con possibilità di risparmio eventuali).