Ping the world: editoria indipendente e libri elettronici che raccontano il mondo

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Ping the world

Narrativa migrante, citizen media, informazione dal mondo. Sono solo alcuni dei temi di Ping The World, progetto editoriale che si presenta con queste parole:

La casa editrice digitale Quintadicopertina – con la partecipazione delle associazioni Voci Globali, China Files-Report From China, Ashanti Development Italia, del Concorso letterario nazionale Lingua Madre e dell’agenzia letteraria Scritti Erranti – presenta Ping the World […]. I primi titoli disponibili:

Ulteriori informazioni si possono trovare qui. Inoltre, sempre in tema di giornalismo partecipativo, si dia un’occhiata anche a Ctzen, raccontato nell’articolo del Fatto Quotidiano dal titolo Parte l’avventura dei giornalisti di Ctzen, la nuova generazione di news made in Catania.

Licio Gelli alla trasmissione “La zanzara” (Radio24): la massoneria “oggi non conta più niente”

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Licio Gelli e la massoneria “che oggi non conta più niente”:

La massoneria di oggi non conta più nulla perché non è ascoltata più da nessuno mentre la P2 l’ascoltavano. C’erano 6 ministri e tutti i capi di tutte le istituzioni. Bene un generale alla difesa. Speriamo sia un generale duro.

Dichiarazione rilasciala alla trasmissione di Radio 24 La zanzara e ripresa dal Fatto Quotidiano.

Crescono 500 milioni di euro? E allora, in tempi di crisi e bufera sull’industria bellica, si acquistano armi e carri armati

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Spese militari

Ecco qua, l’economia che si vorrebbe perseguire in tempi di crisi dilagante. Se ne parla sul Fatto Quotidiano con l’articolo Armi e carri armati per 500 milioni. L’Italia in crisi oggi autorizza gli acquisti:

In commissione Difesa della Camera, nel pomeriggio, atterrano i cinque programmi di acquisto per armamenti militari del valore di 500 milioni di euro per essere votati e passare in giudicato. Il capogruppo Idv Augusto Di Stanislao ha presentato una mozione per chiedere di fermare lo “shopping” militare e rivedere i programmi di spesa in scadenza: entro il prossimo 3 dicembre, infatti, quella partita di carri e veicoli leggeri, deve ricevere l’approvazione formale.

Qualche altro elemento si legge anche su Peacereporter. Inoltre:

Il Fatto Quotidiano: intervista a Valerio Evangelisti. “L’ultraliberista Monti? Non cambierà nulla”

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Valerio EvangelistiIn tempi di nuovi emarginati, indignati e flash mob sotto il segno della “v” di vendetta, quella che fa Valerio Evangelisti nel romanzo appena uscito One big union è la rievocazione di un’utopia. E per parlarne parte con una richiesta: “Non chiedetemi di Eymerich, è morto”. L’inquisitore protagonista di molti suoi libri precedenti sarà anche passato a miglior vita, ma il suo creatore per adesso non sembra sentirne troppo la mancanza perché è la volta di raccontare del sindacalismo rivoluzionario statunitense arrivato a fine corsa degli anni Venti del secolo scorso. Ma che ha lasciato il segno, distinguendosi da un sindacalismo socialista o anarchico soprattutto per la valenza visionaria: arrivare a un’organizzazione che rappresentasse anche i non rappresentati e che di qui modificasse l’assetto sociale, oltre che lavorativo.

I sindacalisti rivoluzionari si muovevano tra boscaioli mutilati, ferrovieri costretti a calarsi sulle rotaie per azionare gli scambi o proletari di campagna. Gente senza importanza nel sistema economico americano di allora perché senza specializzazione. Si infilavano tra cinesi, russi, italiani (definiti i crumiri per eccellenza) e non erano pacifisti. “In realtà subirono la violenza più che praticarla”, dice Evangelisti, “si pensi per esempi a quando erano vittime di tiratori scelti nelle zone minerarie. Ma ci provarono a cambiare”. E ci provarono con strumenti diversi: il fumetto come medium per veicolare contenuti sindacali in mezzo all’analfabetismo e la musica, riscrivendo i testi di canzoni allora in voga come accaduto con l’inno dell’esercito della salvezza, l’unico autorizzato a sfilare pubblicamente.

One big union sembra quasi una voce dal passato per parlare oggi di disoccupazione, flussi migratori, povertà in aumento. “Quella del sindacalismo rivoluzionario”, spiega ancora l’autore, “è stata una voce fuori dalle ideologie preponderanti del tempo, il marxismo dogmatico e l’anarchismo puro. È una storia, la storia che volevo scrivere”.

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La filosofa Marzano: “Basta con le ragazze immagine: il corpo delle donne non è merce”

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È una platea con una caratteristica: quella di avere una predominanza femminile. Tra chi ascolta la filosofa e saggista Michela Marzano, docente all’università Paris Descartes e ospite a Bologna del festival Gender Bender, il rapporto tra i sessi è almeno di uno a quattro per le donne. E poi c’è un’altra caratteristica che contraddistingue chi ha voluto assistere alla libreria Ambasciatori di via Orefici alla presentazione del suo Volevo essere una farfalla (Mondadori, 2011): essere per lo più over 35, per quanto qualche volto più giovane qua e la spunti.

Sarà un caso – o forse no, perché, dice Marzano, “il caso non esiste” – che siano queste le due peculiarità attorno a cui si articola il pubblico che vuole sentire il suo racconto sull’anoressia, un “sintomo” che porta “all’euforia perché ci si sente più forti della propria fame. Quindi, a quel punto, pensi di non aver più bisogno di niente e di nessuno. Però poi arrivi a non controllarla più, la fame, e nel mio caso la fame era diventata tutto. Non c’era altro, non pensavo ad altro che al cibo perché morivo di fame”.

Si mette a nudo, Michela Marzano, incurante – come le facevano notare familiari e amici prima di scrivere il libro – del fatto di essere un personaggio pubblico. Perché parte da un concetto: lo studio dell'”evento che attraversa l’essere umano” così come lo concepiva Hannah Arendt, che partiva dal “suo” evento, le ceneri lasciate dal totalitarismo nazista. “Il ‘mio’, invece, mi ha portato per 15 anni a studiare a temi particolari, come il corpo, la sessualità, le violenze contro le donne. Poi è giunto il momento di mostrare ciò che c’era dietro e dare un nome a quell’evento che ha attraversato me”.
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Documentario sull’Italicus, “quando Bologna scoprì gli anni di piombo”

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Trailer “4 AGOSTO ’74 – Italicus, la strage dimenticata” from Officinemedia on Vimeo.

A proposito del documentario 4 agosto ’74 – Italicus, la strage dimenticata di cui si era parlato qui, Enrico Bandini scrive sul Fatto Quotidiano di quando Bologna scoprì gli anni di piombo:

Due le testimonianze inedite nel film, quelle di Marco Affatigato e Mario Tuti, rappresentanti della cellula toscana del Fronte nazionale rivoluzionario; mentre sono più di una ventina gli intervistati tra cui magistrati, rappresentanti delle istituzioni, avvocati, storici e giornalisti: Leonardo Grassi (presidente della Corte d’Assise di Bologna e istruttore del processo “Italicus – bis”), Vito Zincani (procuratore capo di Modena), Sergio Flamigni (senatore, membro delle commissioni parlamentari d’inchiesta Moro, P2 e antimafia), Valter Bielli (membro delle commissioni d’inchiesta stragi e Mitrokhin) e Giovanni Pellegrino (presidente della commissione stragi), Claudio Santini e Aldo Balzanelli (cronisti al processo Italicus) e Nicola Rao (giornalista Rai ed esperto del neofascismo italiano).

In allegato al pezzo sul documentario di Alessandro Quadretti e Domenico Guzzo prodotto da Officinemedia, sempre Enrico scrive che era il 1974, l’inizio di una stagione orribile.

“La sentenza”, il nuovo libro di Valerio Varesi. La Resistenza raccontata da un anti-Pansa

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La sentenza di Valerio VaresiNon stupisce che Valerio Varesi abbia messo in pausa il più noto dei suoi personaggi, il commissario Soneri. Lo aveva già fatto in passato, per esempio, con “Il paese di Saimir” (Verdenero, 2009) per raccontare la storia di un ragazzino albanese finito sotto il crollo di un edificio in un cantiere edile in cui non avrebbe dovuto esserci. Almeno non così, in nero. Ed era accaduto anche con “Le ombre di Montelupo” (Sperling & Kupfer, 2008), vicenda di un’impresa alimentare che cresce fino al punto di trasformarsi in uno scandalo finanziario e che richiama senza troppi veli il crac Parmalat, consumatosi nella terra d’origine dello scrittore, quella “piccola Parigi” nel cuore dell’Emilia finita tante volte sulle pagine di cronaca dei giornali.

Varesi è così, racconta storie prima che queste vengano classificare a seconda dei generi narrativi. E dunque, si diceva, non stupisce che la Parma che rievoca nel libro appena uscito, La sentenza (Frassinelli), sposti l’asse del tempo per assestarla sull’anno del Signore 1944. Seconda guerra mondiale, dunque, e soprattutto lotta di Liberazione, in piena occupazione tedesca che, nella realtà geograficamente poco distante da lì significava gli eccidi di Monte Sole con i fatti di Marzabotto che seguivano a ruota la lucchese strage di Sant’Anna di Stazzema.

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Dal blog del Fatto Quotidiano: “Vajont, un genocidio italiano. E firmato Dc”

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Il disastro del Vajont

Chissà in quanto ricordano che dal disastro del Vajont – 1910 vittime – sono trascorsi 48 anni? Accadeva il 9 ottobre 1963 ed Emiliano Liuzzi, sul suo blog sul Fatto Quotidiano, racconta che fu un genocidio italiano. E firmato Dc:

Presidente del consiglio era Giovanni Leone. Era un presidente, del Consiglio prima e della Repubblica poi, a cui i colpi di teatro piacevano, bizzarro tanto da rispondere con le corna agli studenti che a Pisa lo contestavano. Ma a Longarone riuscì a superare se stesso: arrivò in elicottero due giorni dopo la catastrofe, nessun altro politico da Roma ebbe lo stesso coraggio. La gente urlava assassini, inteso come il governo che lui rappresentava. Ma Leone riuscì a calmare tutti, tirando fuori dal taschino un fazzoletto bianco impregnato di lacrime: “Giuro su questi corpi e queste rovine che sarà fatta giustizia”. Ma quando il sindaco Arduini, che sotto l’onda perse un figlio e i genitori, citò in giudizio Giorgio Valerio, presidente della Montecatini-Edison subentrata alla Sade – come ricordò in un memorabile pezzo Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera – in tribunale venne depositata una memoria difensiva che sostenne l’imprevedibilità della catastrofe. Firmata: “Avvocato Giovanni Leone”.

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Domani: e Lavitola da Panama manda “pizzini” tv al premier

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Domani di Maurizio ChiericiÈ un “giornalista” che fa “politica da 25 anni” e che si è iscritto alla massoneria a metà degli anni Ottanta, appena maggiorenne, perché era alla ricerca di stimoli culturali. Poi dà consigli a Silvio Berlusconi sugli spostamenti della barca presidenziale ormeggiata ai Caraibi o giù di lì. E gli ricorda anche il disastro sul taglio dei finanziamenti pubblici ai giornali, se si attuasse, oltre al fatto che Gianfranco Fini non è fesso, anche se considerato pregiudizialmente contrario a un ipotetico lodo Alfano bis. Potrebbe non avere torto Stefano Menichini, direttore del quotidiano “Europa”, quando nel corso della trasmissione “Bersaglio mobile” di Enrico Mentana su La7, scrive su Twitter: “Adesso vi dico una cosa, non vi scandalizzate. Questo Lavitola è un tipo interessante, uno sfacciato mica male”.

Ha una risposta per tutto, Valter Lavitola. Attacca i magistrati già nell’abboccamento pre-diretta in coda al tiggì delle 20 e si dimostra affezionato ai fratelli Craxi, del “bravi ragazzi”. Lavitola sembra ciò che appare: una cerniera tra generazioni – quella di suo padre, psichiatra che tra i suoi assistiti vantava tal Raffaele Cutolo, leader della Nuova camorra organizzata, e i piduisti vecchio stampo che incontrò in giovanile carriera politica – e la sua, ex giovane rampante che a a 45 anni non si capisce bene che lavoro faccia, tanto da farselo chiedere a telecamere accese dalla firma di “Repubblica” Carlo Bonini.

Imprenditore del settore ippico, faccendiere, filantropo (perché aiuta i coniugi Tarantini), anticipa denari per il presidente del consiglio, usa utenze cellulari di Paesi esteri perché non intercettabili, fa il giornalista ma non si arrabbia mai per un “buco” (cioè una notizia lisciata che hanno le altre testate), non ricatta ma ricorda di essere depositario di qualche segretuccio. Questo il sunto di Bonini e allora ripropone la domanda: “Lei che lavoro fa? Lei è un uomo fortunatissimo o sfortunatissimo”.
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