Valerio Evangelisti: i pentiti di niente e i demoni moderni

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Pentiti di nienteIl testo che segue è la prefazione che Valerio Evangelisti ha scritto (grazie!) per Pentiti di niente (collana Eretica, Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri), da oggi in libreria. Essendo rilasciato con licenza Creative Commons, l’interno del libro – anticipato in qualche parte nelle scorse settimane – è anche scaricabile in versione completa da qui.

Forse è inevitabile che, a lato di fluviali movimenti di massa, durante fasi importanti di trasformazione politica e sociale, si formino pozze oscure, in cui sguazza una fauna dall’incerto profilo. Dostoevskij, con “I demoni”, ne fornì un esempio, romanzando magistralmente un episodio di cronaca: l’assassinio, da parte di un gruppetto di rivoluzionari russi guidato da Nestor Nečaev, di un loro compagno. Anche l’Italia degli anni Settanta, in preda alle convulsioni positive e negative di mutamenti profondi, destinati a lasciare il segno sui decenni successivi, ebbe il proprio Nečaev: Carlo Fioroni. Figura ancora più sinistra, per non dire diabolica, dell’antesignano, il quale quanto meno non tradì mai il credo gelido cui si era consacrato, né il ferreo catechismo (“una regola benedettina”, lo definì Bakunin) che ne sorreggeva la messa in pratica.

Invece Fioroni, ucciso il compagno e supposto amico Carlo Saronio, tradì un po’ tutti: chi era stato suo complice e chi non lo era stato affatto. Senza altre finalità se non quella della salvezza propria. In ciò, Fioroni ebbe il concorso semi-involontario dei poteri dello Stato. Nel 1975, ai tempi dell’uccisione di Saronio, non era ancora giunta a forma compiuta la legislazione sui “pentiti”. Tuttavia era prassi invalsa, e di vecchia data, concedere sconti di pena in cambio di delazioni. Era quindi già operante il meccanismo perverso insito nel “pentitismo”. Vuotato il sacco sui delitti propri (spesso almeno in parte addossati ad altri, nei limiti del possibile) e incassati i relativi benefici, per ottenere benefici ulteriori non c’è che un mezzo: “rivelare” ciò che non si sa, ma che gli inquirenti si attendono di udire, a conforto di proprie tesi.

Le vittime di tale sistema di matrice inquisitoria, negli anni Settanta e oltre, furono innumerevoli. I “pentiti” vennero trascinati di processo in processo a enfatizzare le proprie accuse contro imputati a stento conosciuti. Si arrivò al delirio. Ecco Pietro Mutti accusare Yasser Arafat di armare le Brigate Rosse, ecco Roberto Sandalo dichiarare che Francesco Lorusso, ucciso a Bologna da un carabiniere nel marzo 1977, era armato di pistola, eccetera. Un evidente equivoco extrapolitico che, riguardante l’incolpevole Enzo Tortora e vari delinquenti, tra giudici e camorristi, non riuscì a mettere in guardia sull’uso distorto della delazione. Ma primo fra tutti fu Carlo Fioroni, non propriamente infame – questo è gergo della malavita – però psicologicamente contorto, a dir poco, a dimostrare quanto il sistema del pentitismo (tuttora in vigore, ricordiamocelo) facesse acqua.

Dalle sue “rivelazioni” uscirono almeno due piste fasulle. Tutto un filone dell’inchiesta “7 aprile”, vergognosa montatura che quanto più si sgonfiava, tanto più in fretta veniva riscritta, e l’intero caso di Alceste Campanile, assassinato a Reggio Emilia nel 1975. Ciò che Fioroni andava svelando faceva a pugni con l’evidenza, e tuttavia faceva comodo avallarlo. Era utile per uno Stato che aveva urgenza di liberarsi del fastidioso movimento dell’autonomia operaia, e, nella vicenda Campanile, persino per i residui di Lotta Continua vogliosi di colpire i rivali autonomi (nel 1999 il fascista Paolo Bellini confessò di avere ucciso il giovane reggiano). Intanto, decine di persone, collegate a Saronio, da chi lo aveva sequestrato e assassinato veramente, avevano scontato anni di carcere più o meno “preventivo”, o patito la sofferenza dell’esilio.

Antonella Beccaria ricostruisce la storia di Fioroni-Saronio con stile che Jean-Patrick Manchette avrebbe definito “behaviorista”: logico, basato esclusivamente sui fatti, privo di digressioni ideologiche o psicologiche. Ne esce un saggio di una suspense tremenda e uno dei migliori libri, tra i tanti che stanno uscendo, sulle pagine più oscure degli anni Settanta. Discostandomi dallo stile scelto dall’autrice, azzarderò una “morale della favola” che le sue pagine mi hanno suggerito. I Demoni possono operare in ogni epoca, ma la loro distruttività è massima solo quando collima con gli interessi – questi sì satanici – di poteri superiori.

26 thoughts on “Valerio Evangelisti: i pentiti di niente e i demoni moderni

  1. matteo

    Ricevuto oggi con la posta.
    Lo leggerò avidamente.
    La storia di quegli anni (anche quella strettamente criminale) è ancora molto da scrivere.
    Ciao
    Matteo

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