Pentiti di niente. Lugano, 16 maggio 1975: una valigia piena di denaro

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Carlo SaronioDue giovani, un uomo e una donna, si avvicinano a un’ausiliaria della polizia comunale di Lugano, Lucia Bernasconi, che sta pattugliando piazza Battaglini. Sono circa le quattro di un venerdì pomeriggio, le banche sono già chiuse e lo rimarranno fino al lunedì successivo e la coppia – due italiani che all’apparenza non sembrano avere nulla di particolare – chiede alla vigilessa dove può trovare un ufficio cambi. Lei li indirizza all’istituto Parini, poco lontano, in via Funicolare.

Morta lì, sembra, sul momento. E invece non passa mezz’ora che l’agente svizzera viene avvicinata da una giovane donna, Maria Balestra, che ha assistito a una scena strana o quanto meno curiosa: pochi minuti prima, mentre passeggiava insieme al marito sul lungolago a poca distanza dell’ufficio cambi, ha notato due giovani, gli stessi due di prima, che tenevano una ventiquattrore aperta sulle gambe e la valigetta era zeppa di banconote di grosso taglio. L’agente prende nota dei fatti e delle generalità della donna e si dirige verso il parco dopo aver avvertito la centrale operativa perché le mandi una pattuglia di rinforzo in via Parini.

Sulla stessa panchina indicata da Maria Balestra si trovano ancora i due italiani e all’ausiliaria sembra sospetto che abbiano cambiato il denaro con tanta rapidità. A questo punto vengono fermati e portati negli uffici della polizia comunale. Generalità e documenti. Così risulta che la ragazza si chiama Maria Cristina Cazzaniga e il giovane che l’accompagna è Pierluigi Bordoli. La valigetta che custodiscono è effettivamente piena di denaro, ma non solo svizzero: le banconote sono di nazionalità diverse e in totale si tratta di poco più di 65 milioni di lire.

Che ci fanno con tutti quei quattrini? La coppia dichiara di essere arrivata a Lugano nella mattinata del giorno precedente passando per il valico di Chiasso, di aver utilizzato una Fiat 124 targata Reggio Emilia di un amico che li ha accompagnati nel viaggio oltre frontiera e che l’unico scopo è quello di speculare sulla valuta. In modo lecito, s’intende. Ma c’è qualcosa che stride in quella versione. A un’ulteriore verifica, Bordoli viene trovato con un passaporto intestato a un’altra persona, Silvio Tassan Solet, mantonavo, e con una patente a nome di Adriano Balemi. Infine, in una specie di valzer di identità, quando l’italiano compila il foglio di stato civile si qualifica come Carlo Fioroni.

Nel frattempo altri agenti sono andati a cercare la Fiat 124, che trovano parcheggiata a poca distanza dalla panchina dove sono stati trovati i due già in caserma, e fermano anche il terzo giovane, Franco Prampolini. Inoltre, approfittando della chiusura delle banche, riescono a recuperare il denaro cambiato. Fioroni risulta avere 15 milioni e 7.310 lire italiane, più di 122 mila franchi svizzeri e oltre 96mila franchi francesi. Prampolini invece viene trovato con quasi 4 milioni e mezzo di lire cambiate poco prima con altra valuta italiana e spiccioli in franchi francesi. I poliziotti trovano anche tutte le ricevute dei movimenti effettuati tra il 15 e il 16 maggio a Lugano.

Così gli agenti, a disposizione dei quali ci sono i due giorni del fine settimana in cui le attività bancarie sono bloccate, possono partire per ulteriori verifiche sulle banconote originarie e arrivano a due conclusioni: nei cambi di valuta il terzetto italiano ha perso più di 1.500 franchi svizzeri, dunque i motivi speculativi non stanno in piedi, e quel denaro ha sicuramente provenienza illecita. Basta con le palle, che ora quei tre raccontino esattamente come stanno le cose. A prendere la parola è Carlo Fioroni. Che ammette di non essere un normale cittadino italiano che gioca con la finanza.

“Sono ricercato nel mio paese”, aggiunge il giovane agli agenti della polizia comunale. “Faccio parte delle Brigate Rosse”.

Trasalgono i poliziotti di Lugano, di fronte a quella sigla che sanno bene che cosa significa, e chiamano la polizia cantonale che dispone il fermo del terzetto. E Fioroni, incalzato dagli interrogatori, ammette: sì, quel denaro è frutto di una rapina a un furgone portavalori abusivo commessa da lui e da altri terroristi. Ma l’italiano mente ancora perché le matrici delle banconote recuperate raccontano invece un’altra storia: i quattrini – sostengono gli inquirenti italiani nel frattempo avvertiti dai colleghi svizzeri – fanno parte dei 470 milioni di lire pagati per il riscatto di Carlo Saronio.

Fioroni nega per giorni, con quel sequestro lui non ha nulla a che fare, ma il 27 maggio crolla e dice di voler raccontare finalmente la verità: quel denaro arriva effettivamente dal rapimento, ma il suo ruolo nella faccenda si limita al riciclaggio delle banconote. Il 12 maggio precedente, infatti, aveva incontrato a Treviglio, in provincia di Bergamo, Alice Carobbio, la donna di Carlo Casirati, il pregiudicato notato nei pressi della cava la notte del 4 maggio quando avrebbe dovuto avvenire lo scambio per conto delle BR dopo la sparizione di Saronio, di cui era amico: l’ingegnere milanese infatti era nel mirino di Casirati, stando a quando sostiene il sedicente brigatista, perché proprio il criminale comune gli aveva proposto qualche settimana prima di rapire il facoltoso ricercatore.

Una volta rintracciato da Fioroni, Casirati avrebbe ammesso di far parte della banda, anzi, di esserne il capo, e se il sedicente brigatista avesse in qualche modo collaborato ci sarebbe stata una fetta anche per lui. In particolare – aggiunge Fioroni – servivano informazioni personali su Saronio perché si rifiutava di collaborare e i rapitori non potevano fornire alla famiglia notizie utili a dimostrare che l’ostaggio era ancora in vita. Se quelle informazioni le avesse messe a disposizione l’uomo che proveniva dalle fila di Potere Operaio, allora il dieci per cento del maltolto sarebbe stato suo.

Fioroni prosegue nelle sue dichiarazioni alla polizia e racconta ancora di non poter decidere lì per lì da solo, di avere bisogno dell’avallo del suo gruppo di appartenenza. Il quale lo autorizza a prestarsi al gioco per due motivi: in primo luogo Fioroni può adoperarsi affinché a Saronio non sia fatto del male e poi, una volta rilasciato l’ostaggio, per impartire una severa punizione ai “comuni” che fanno sparire un “politico”. Ecco dunque che Fioroni accetta l’offerta di Casirati e quando lo incontra di nuovo, gli racconta un paio di particolari che lo aiuteranno nelle trattative: la fotografia scattata con i bambini indios e la descrizione di una cagnolina che viveva nella villa di famiglia, in Liguria.

E quando si tratta di riscuotere il suo dieci per cento, Fioroni si ripresenta puntuale: prende un treno per Treviglio dove incontra Alice Carobbio, la moglie di Carlo Casirati, che gli consegna una valigetta in cui ci sono 67 milioni di lire. Di questi, cinquanta milioni sono il compenso della collaborazione di Fioroni al sequestro e i restanti diciassette gli vengono affidati dal suo complice comune perché li ricicli oltre confine a nome suo. Fioroni accetta anche in questo caso perché – specifica – custodire quei quattrini in più gli serve per rimanere in contatto con Casirati e avercelo a portata di mano quando deciderà di passare all’azione punitiva.

Intanto parla anche di Maria Cristina Cazzaniga e di Franco Prampolini: sono “compagni”, militano nella stessa formazione extraparlamentare (che a questo punto già non sono le Brigate Rosse, anche se non si riesce a capire bene di quale si tratti), ma sono del tutto estranei al sequestro e soprattutto sono all’oscuro della provenienza del denaro. Sapevano solo che occorreva ripulirlo. Dunque che gli investigatori ne tengano conto nel valutare la loro posizione. E sì, un altro della banda di Casirati l’ha incontrato: è un comune che conosce solo con il suo soprannome, “lo scotennato”, e che aveva trascorso diversi anni nella Legione Straniera. O almeno così gli avevano raccontato.

Intanto la stampa italiana dà ampio risalto all’arresto di Carlo Fioroni in Svizzera e dalle fotografie pubblicate sui giornali il portinaio e altri domestici di casa Saronio lo riconoscono. A renderli certi di averlo già incontrato, quel tizio, sono in particolare le immagini che compaiono sul “Corriere della Sera” del 18 aprile 1975 e sulla “Notte” del giorno successivo: quello è il giovane che era stato ospite di Carlo poche settimane prima, a marzo. Con lui c’era anche una ragazza che era stata presentata come sua moglie: la polizia accerta che si tratta di Maria Cristina Cazzaniga.