A chiare lettere: a Marsala seconda edizione del festival del giornalismo d’inchiesta

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Secondo festival del giornalismo d'inchiesta

Si tiene a Marsala dal 21 al 23 maggio prossimi. È il secondo festival del giornalismo d’inchiesta “A chiare lettere” e questi sono i suoi luoghi. Programma e ospiti sono online e sotto invece i temi della manifestazione:

Il tema generale del Festival di quest’anno è Viva l’Italia, biografia di un paese da inventare. Il giornalismo d’inchiesta è: libertà d’informazione, ricerca della verità, nessuna appartenenza a partiti o schieramenti politici, distanza da potentati economici o religiosi. Per stare dalla parte di chi vuole semplicemente sapere. Alcuni dei temi che verranno affrontati durante le tre giornate sono: le mafie e la criminalità, la trattativa tra Stato e mafia, i padroni dell’informazione, i modi e i mezzi dell’informazione (da internet all’informazione dal basso contro censure e bavagli), l’emergenza ambientale, la cattiva informazione relativa al cibo, ai giovani e all’immigrazione.

Qui intanto si può dare un’occhiata alla presentazione dell’edizione 2009.

Santa mafia: il “viaggio” da Palermo a Duisburg ricostruito da una giornalista tedesca

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Santa mafia di Petra ReskiPoco tempo fa era stata la volta A Milano comanda la ‘ndrangheta, scritto da Davide Carlucci e Giuseppe Caruso e uscito lo scorso settembre per Ponte alle Grazie. Sempre in tema di criminalità calabrese (ma non solo), per l’editore Nuovi mondi, è stato pubblicato anche un altro libro di recente, Santa mafia – Da Palermo a Duisburg: sangue, affari, politica e devozione della giornalista tedesca Petra Reski.

La ricostruzione di un mosaico di luoghi, persone e vicende che parte dalla Sicilia e sale seguendo le rotte della criminalità: Calabria, Campania, su fino al ricco nord-est. E poi ancora oltralpe, nella sua Germania, terra di elezione della mafia, dove non esiste il reato di associazione mafiosa e non sono ammessi l’uso intensivo delle intercettazioni e la confisca dei beni. Nell’edizione originale il libro è uscito censurato per volontà dell’autorità giudiziaria tedesca, intervenuta su richiesta di alcuni personaggi i cui nomi sono ben noti perché figurano nelle informative di polizia (sia italiane che tedesche), nei documenti giudiziari, in numerosi resoconti giornalistici. Tuttavia, di loro non si può parlare in un libro; la gente deve continuare a ignorare il problema. L’edizione italiana poteva scegliere di eliminare semplicemente queste parti del testo; invece ha deciso di riportare le medesime righe nere sulle parole che sono costate a Petra Reski intimidazioni e minacce. Perché il lettore abbia una chiara immagine del bavaglio con cui il potere cerca costantemente di ridurre al silenzio il giornalismo più coraggioso.

Il volume, righe nere o meno, è partito subito provocando qualche nervosismo, come accaduto nel caso di Marcello Dell’Utri, riportato qui, sul sito dell’editore. E una recensione è stata pubblicata da poco da Booksblog.

C’era una volta l’intercettazione: la giustizia e le bufale della politica

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C'era una volta l'intercettazioneDopo i primi tre libri (di cui si era parlato qui e qui: Disonora il padre e la madre di Alessandro Chiarelli, Le tigri di Telecom di Andrea Pompili e Assalto alla Diaz di Simona Mammano), siamo a quota quattro. Esce infatti in questi giorni per Senza Finzione, la collana che curo insieme a Simona per Stampa Alternativa, il volume C’era una volta l’intercettazione – La giustizia e le bufale della politica, firmato dal procuratore aggiunto siciliano Antonio Ingroia con prefazione di Marco Travaglio:

Le intercettazioni sono nate e si sono evolute di pari passo con le tecnologie e i cambiamenti sociali. Il loro utilizzo è stato sottoposto a precise regole, la più importante delle quali è la richiesta da parte del pubblico ministero seguita dall’autorizzazione di un giudice per le indagini preliminari. Tutto questo mentre la politica sta insinuando l’idea di un mondo costantemente controllato. Nelle pagine di questo libro si va alla ricerca di fatti che dimostrino quanto il pericolo tanto gridato sia inesistente, rifacendosi alle intercettazioni per i reati di mafia e al valore che hanno in fase processuale.

La prefazione di Travaglio si può leggere qui e in ultimo, but not least, questo come gli altri libri sono rilasciati con licenza Creative Commons.

Peacelink, Alessio Di Florio: negazione di ogni possibile democrazia

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Alessio Di Florio, dalle colonne virtuali di Peacelink, traccia i contorni di un golpe criminale [che] si aggira per l’Italia. Senza bisogno di artiglieria e liste, senza bisogno di presidiare manu militari il territorio, senza bisogno di alcun folklore da parata perché:

in realtà, e tutti ne sappiamo mandanti, esecutori e complici (anche perché, in larga parte, siamo tra loro) c’è un golpe silenzioso che non si è mai fermato. Un golpe fatto di menzogne, connivenze criminali, repressione violenta, omertà, corruzione, cancellazione di ogni dignità personale che ha conquistato il cuore dello Stato Italiano, e ha annullato ogni possibilità di democrazia.

Una retrospettiva sulla situazione delle indagini mafia-stato in Sicilia, sulla politica abruzzese, sull’occupazione e su caso come quello di Aldo Branzino, Federico Aldrovrandi o Ramesh. Altro post interessante è quello pubblicato sul caso di Carmelo Canale, collegato da vicino a quello di cui è già parlato di Antonino Lombardo: qui siamo sempre in Sicilia e sempre di lotta (se così si può chiamare) alla mafia si parla.

C’erano bei cani ma molto seri, la storia di Giovanni Spampinato

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C'erano bei cani ma molto seriGiovanni Spampinato, quando venne assassinato, il 27 ottobre 1972, non aveva ancora venticinque anni, ma il giornalista per L’Ora di Palermo lo faceva già da un po’ e in quel periodo stava seguendo due storie: la prima riguardava Angelo Tumino, un imprenditore ammazzato qualche mese prima, e la seconda si focalizzava sull’eversione nera in Sicilia. A un certo punto le due storie iniziarono ad avere i primi punti di contatto e si fusero arrivando a comprendere mafia e istituzioni. Poco più di un mese fa, è uscito per la casa editrice Ponte delle Grazie il libro C’erano bei cani ma molto seri, scritto dal fratello di Giovanni, Alberto Spampinato, che ripercorre sia dal punto di vista personale che professionale la vita del cronista ucciso:

“C’era un campo di girasoli, e mangiavamo i semi ancora verdi. C’erano le mucche, e la sera facevano la ricotta… Il padrone di casa, o un suo figlio, era cacciatore. C’erano bei cani, ma molto seri. Un giorno legarono un cane in cortile, e stette lì forse per due giorni. Il cane ululava, si lamentava, era straziante. Ci dissero di non avvicinarci, aveva la rabbia. Poi lo abbatterono a fucilate. Ricordo l’odore della terra bagnata dagli acquazzoni estivi. Quell’odore mi inebriava”. Così, ricordando la propria infanzia, scriveva nel 1971 il giovane giornalista ragusano Giovanni Spampinato, in una tragica e involontaria profezia: fu ucciso poco tempo dopo in circostanze ancora non chiarite. Come corrispondente dell'”Ora” di Palermo indagava su un omicidio e aveva cominciato a rivelare un perverso intreccio fra mafia, eversione nera e servizi segreti. Il fratello minore Alberto, anche lui giornalista, affida oggi a queste pagine un toccante e inquieto ritratto della sua famiglia di origine e un’inchiesta sulle vere cause della morte di Giovanni; ma al contempo vi raccoglie un’indagine personale e profonda sulla storia culturale e sociale della sua terra, la Sicilia, e del nostro Paese: dalla seconda guerra mondiale all’impegno del padre per l’ideale comunista, dal regno incontrastato della cultura contadina alle nuove stagioni dell’industrializzazione e della contestazione, fino all’emergere dei poteri oscuri della reazione e della criminalità.

Una lunga recensione del libro è stata pubblicata da AprileOnline con il titolo di Alle volte le inchieste giornalistiche possono uccidere. Un articolo che tocca i vari punti narrati da Alberto Spampinato: dall’omicidio dell’imprenditore siciliano alla comparsa sullo scenario di Stefano delle Chiaie. Ma a proposito di suo fratello, dice a Leo Sansone, autore della recensione:

Io avrei dovuto fare l’ingegnere, ma dopo l’omicidio di mio fratello rimasi scosso. Lasciai gli studi di ingegneria e decisi di fare il giornalista per continuare il suo lavoro […]. Sento il bisogno di parlare della morte di mio fratello con la stessa forza con cui, fino a qualche tempo fa, non riuscivo assolutamente a parlarne.

Da Pino Maniaci a “Federalismo criminale” per raccontare la realtà

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Mafia spaghetti with seafood and tomato sauce - Foto di Wm JasDi Pino Maniaci – si raccontava un po’ di tempo fa – dicevano che esercitasse abusivamente la professione di giornalista perché non iscritto all’ordine, malgrado la solidarietà dei colleghi di tesserino. Non importava che facesse informazione antimafia che ci sarebbe da imparare e per la quale qualcuno si innervosiva. Ora, da Articolo21, fanno sapere che è stato assolto perché “il fatto non sussiste”. Infatti:

Il giudice Giacomo Barbarino ha fatto valere da una parte l’articolo 21 della Costituzione che sancisce la libertà di espressione e, dall’altra, la consistenza del raggio d’azione, piuttosto contenuto, dell’emittente di Maniaci. Un caso questo che già l’ordine dei giornalisti prevede tra quelli che consentono di fare informazione anche senza iscrizione all’albo.

Federalismo criminaleSempre in tema, ma su estensione nazionale, si dia poi un’occhiata al libro Federalismo criminale. Viaggio nei comuni in cui le mafie governano (Nutrimenti, 2009) del giovane cronista Federalismo criminale. Dalla postfazione del giornalista Roberto Morrione (per questo di nuovo grazie a Paola Esposito):

Le mafie che vivono sotto casa, che depredano le risorse pubbliche, che riducono a deserto i territori. Il federalismo criminale come sistema politico che governa intere parti del nostro territorio. Le storie dei comuni sciolti per mafia raccolte in questo libro raccontano le mani della piovra nelle aule comunali tra omertà, mattanze ed eroi isolati. Tra appalti truccati, centri commerciali, alta velocità, assunzioni e contributi sociali in mano a mafie e politica criminale. Una situazione di indecenza democratica dove la legalità, la sicurezza pubblica, la civile convivenza lasciano il posto alla barbarie, al feudo, a vecchi e nuovi podestà. Le mafie divorano le istituzioni nel silenzio della politica e dell’informazione. Federalismo criminale è la denuncia, eccezionalmente documentata, di come anche nei comuni sciolti per mafia nulla cambi, di come le mafie riescano a ritornare ogni volta padrone. Con i nomi e i cognomi dei protagonisti del malaffare di ieri e di oggi, tra scandali, devastazione ambientale e latitanze dorate.

Che, come argomento e in chiave altrettanto disincantata, si ricollega al libro di Massimiliano Virgilio di cui si parlava qualche giorno fa.

Mobilitazioni per cause discutibili e per altre invece doverose

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L'alternativa del copyleftNon dovrebbe nemmeno essere in discussione l’idea che uno scrittore scrive perché le sue storie siano lette il più ampiamente possibile. Creative Commons è una sistema ottimale perché questo avvenga nel rispetto delle libertà di tutti. Per questo c’è da augurarsi che nessuno scrittore italiano aderisca a questo appello per una class action contro la digitalizzazione e la messa online dei libri. Non per nulla, questo invito sarebbe stato inviato a tutti gli associati Siae.

Se poi proprio le class action – o qualcosa di logicamente affine – si vogliono fare, ci sono cause che meritano di più. Come per esempio quella a favore del cronista Pino Maniaci (cliccando si arriva sulla petizione a suo sostegno), minacciato dalla mafia per il suo lavoro a Telejato e paradossalmente rinviato a giudizio perché accusato di esercizio abusivo della professione non essendo iscritto all’ordine dei giornalisti. Se ne legga per qualche informazione ulteriore qui e qui.

Il caso Spampinato diventa un libro di Carlo Ruta

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Segreto di mafiaUn articolo di Giovanna Corradini viene ripreso su LSDI per segnalare l’uscita del libro di Carlo Ruta intitolato Segreto di mafia. Il delitto Spampinato e i coni d’ombra di Cosa Nostra (Edizione Rapporti, Siracusa, 2008). La vicenda viene sommariamente ricostruita nella biografia di Giovanni Spampinato presente su Wikipedia mentre il Corsera di recente ha pubblicato un testo più esteso. Nel merito del libro, invece, Corradini dice nella presentazione:

Sin dal febbraio 1972, quando venne ritrovato in una lontana contrada ragusana il cadavere di un noto palazzinaro, è stata una girandola di depistaggi, di mancati adempimenti, di silenzi irriducibili. Su tale uccisione Spampinato si trovò subito a investigare. E per tale suo impegno, nell’ottobre del medesimo anno venne ucciso. Gli esiti lungo i decenni sono stati emblematici. La morte del costruttore, rimasta insoluta sul piano giudiziario, viene evocata dalle cronache come un delitto misterioso, forse per rapina, forse per donne, forse per una controversia nel mondo dell’antiquariato. La morte del giornalista è stata raccontata nei tribunali come un delitto di provincia, compiuto dal figlio di un alto magistrato roso dal rancore. In realtà, come viene argomentato in questo rapporto di Carlo Ruta, i due delitti costituirono un affare complesso, che assunse un preciso rilievo nella vita siciliana, nel clima fosco e accidentato degli anni settanta.

Da sottolineare infine che l’autore del libro è lo stesso giornalista condannato nel maggio 2008 per stampa clandestina: la sua “colpa” era di avere un sito di informazione che si chiamava Accade in Sicilia non registrato come testata giornalistica. Oggi Carlo Ruta ha aperto Le Inchieste, sito di documentazione storica e sociale dove c’è una sezione dedicata al caso Spampinato.