Trilogia Creative Commons alla vigilia della festa del pirata

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Altra segnalazione che arriva su una trilogia rilasciata con licenza Creative Commons. È Apotheosis – La chiave dei desideri di Massimo Civita di cui questa è la sinossi:

Un viaggio nel passato, un’avventura di tre ragazzi venuti in possesso di un manufatto di Atlantide anacronistico. Un romanzo con un background fantascientifico, un pretesto per parlare della natura umana e delle sue origini. Gadiro l’ultimo Re della città perduta, guida i passi dei protagonisti e
ordina loro di ritrovare una creatura figlia della sua carne, custode della morte di un Re suo pari. Gadiro promette di ritornare sulla terra e di cancellare gli orrori dell’umanità.

Da qui si può scaricare il file pdf (1.6 MB, 162 pagine). Blog e forum sono a disposizione per continuare a leggerne e discuterne, di questa saga, e qui invece un’intervista rilasciata dall’autore alla Gazzetta del Pirata. E a proposito di pirati, sabato prossimo a Roma c’è la loro festa. La festa cioè di chi viene etichettato come tale e che invece si batte per la libera condivisione della conoscenza in rete. Di questo scrive Arturo di Corinto su Punto Informatico:

Questo è il popolo dei “pirati”. Persone che non credono più al mito dell’artista affamato che sarebbe danneggiato dal download illegale di musica – 140 artisti inglesi si sono appena dichiarati a favore del libero download musicale – che hanno dimostrato che il peer to peer può essere applicato al mondo dei commerci online, e che smette di comprare film perché è più divertente farseli da soli. Dice L@@p a Punto Informatico: “E poi la rete è piena di cose autoprodotte che è assolutamente lecito scaricare e condividere. Non è solo software libero, ma musica libera, film liberi e libri no-copyright. Perché non dovremmo?”

Giovanni Parisi: il pugile che dalla palestra vogherese arrivò a Seul

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Giovanni Parisi. Foto di Giovanni ZardinoniNon seguo la boxe, ma gli incontri di Giovanni Parisi li vedevo quando ancora combatteva. Ormai aveva abbandonato i guantoni e l’apice della sua carriera lo raggiunse nel 1988, quando vinse la medaglia d’oro alle olimpiadi di Seul, ma l’avevo conosciuto che entrambi eravamo ragazzini. Frequentavo le scuole medie e quella che sarebbe diventata un’amica importante, Alida Stringa, ai tempi era la mia insegnante di italiano così come qualche anno prima lo era stata di Giovanni. L’aveva invitato in classe per raccontare una storia tanto classica quanto autentica: un ribelle, calabrese d’origine con una storia complessa alle spalle, uno difficile in aula, che il primo giorno di scuola, di fronte al richiamo della docente, prende e se ne va. Uscendo dalla finestra. Potenzialmente uno che sarebbe finito male. Ma che Alida aveva seguito, l’aveva spinto a sfogare la sua rabbia in una palestra, tirando pugni al sacco e ad altri pugili. E lo sport aveva compiuto la trasformazione fino alla medaglia d’oro in Corea, che dedicò alla madre. La quale aveva fatto un sacco di lavori umili per consentire ai figli di realizzarsi e che era scomparsa da poco quando salì sul gradino più alto del podio.

Giovanni ho continuato a vederlo negli anni successivi. A casa di Alida e sul campo, quando la squadra di atletica leggera di cui facevo parte si trovava per gli allenamenti al campo giovani, alla periferia di Voghera, e lui era lì, già iridato e celebrato dai giornali, a correre all’esterno della pista dei 400 metri insieme alla moglie e alla cagnetta che paziente trotterellava al loro fianco. Lui era un olimpionico quando noi partecipavamo a campionati provinciali e regionali. Per quanto i nostri sport fossero diversi, Giovanni costituiva un esempio ed era arrivato laddove noi sognavamo di giungere (da quello che mi risulta, nessuno ha anche solo sfiorato il traguardo, sicuramente non io). Rideva, quando lo avvertivamo che ci doveva guardare quando saremmo stati noi alle Olimpiadi così come noi avevamo guardato lui. Oggi, a quasi vent’anni di distanza da quegli allenamenti, Giovanni è morto. A 42 anni, in un incidente stradale. Qui un racconto che fece di sé.

Testamento creativo per far vivere opere e creatività

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Intellectual property donor

Da Public Domain Donor:

Perché lasciare che le vostre idee muoiano con voi? Le attuali leggi sul diritto d’autore impediscono che chiunque possa costruire sulla vostra creatività per i successivi settant’anni dalla vostra morte. Dato spazio alla collaborazione con gli altri in vita, effettuate una donazione in termini di opere dell’intelletto. Donandone alcune sotto pubblico dominio, “promuovete il progresso della scienza e dell’arte” (dalla Costituzione statunitense) e garantite alla vostra creatività di vivere anche dopo che ve ne sarete andati.

Qui qualche esempio di chi si è scaricato il badge da donatore creativo.

Le strade delle parole: riscoprire i racconti di viaggio in Italia

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Le strade delle paroleMi segnala Luca Reitano un’iniziativa su web che effettivamente è interessante. Si intitola Le strade delle parole che di sé dice:

[è] un invito rivolto ad alcuni giovani scrittori italiani a ripercorrere le opere e gli itinerari legati al “viaggio in Italia” (dalle “Passeggiate romane” di Stendhal a “Vecchia Calabria” di Norman Douglas, da “Mare e Sardegna” di D. H. Lawrence al “Viaggio in Italia” di Guido Piovene) e a raccontarli dalla propria prospettiva. Un invito a mettere in movimento intelligenza e sensi per recuperare un rapporto preciso tra la scrittura e il senso dei luoghi, tra la memoria e la contemporaneità. L’intento del progetto è di innestare su questa memoria nuove storie, nuovi viaggi, nuove strade di parole che attraversino l’Italia di oggi raccontandola e descrivendola nella sua varietà di paesaggi, contesti storici e sociali, dimensioni umane. In questo senso è una dimensione creativa del viaggio che si è voluta stimolare: una creatività che è il modo più genuino di “salvaguardare” quegli straordinari palinsesti di voci, emozioni, immagini che sono le città e i vari territori d’Italia.

I racconti sono qui mentre le visioni invece qui. Inoltre esiste anche un blog sul quale, avvalendosi anche di immagini e video, si prosegue con quanto narrato nelle pagine del progetto. Infine, per chi volesse partecipare, è stato pubblicato un vademecum utile a chi si avvicina alle strade delle parole.

Kaizenology: ispirarsi alla storia del Gatto e della Volpe

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Su Kaizenology viene pubblicato un lungo post incentrato sulle figure del Gatto e della Volpe im cui si scrive che:

Non starò quindi a ripetere cose che già in altre sedi e in altri tempi sono state dette, esaminate, commentate e ricommentate. Quello che invece mi preme far notare e che forse potrebbe sorprendere e disorientare qualche nostro concittadino è che da quel carrozzone polveroso e malandato chiamato “Italia” i due signori in questione non sono ancora scesi. Sono ancora lì, invecchiati e forse stanchi, ai loro posti di comando, un po’ defilati dal palco al riparo dai riflettori del presente, ma comunque vivi e pronti a fare la loro parte. Per fortuna di nuovo in molti se ne sono accorti: giornalisti e scrittori che con poche forze e poco sostegno provano a far riemergere la verità dei fatti, tentano di far sapere al resto d’Italia e del mondo che il Gatto e la Volpe hanno forse perso il pelo ma non il vizio.

E si citano tre episodi che accostano per versi differenti i due personaggi politici italiani: il volo che il 20 giugno 1973 avrebbe dovuto riportare in patria Juan Domingo Peròn; il ritrovamento del memoriale Moro il 1 ottobre 1978 in via Montenevoso a Milano; e le registrazioni consegnate nel 1991 al giudice Guido Salvini dal capitano Antonio La Bruna. Da leggere, dunque, questo testo di Kaizen.

“Passione reporter” di Daniele Biacchessi: storie di giornalisti

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Passione Reporter di Daniele BiacchessiEsce in questi giorni il nuovo libro di Daniele Biacchessi, Passione Reporter, ed esce a cavallo di giorni che non sono senza significato. Perché la storia di uno dei giornalisti raccontata di questo volume si concludeva (e iniziava) esattamente quindici anni fa: era il 20 marzo 1994 infatti quando Ilaria Alpi veniva assassinata a Modagiscio insieme al suo operatore, Miran Hrovatin (qui la ricostruzione di La storia siamo noi e qui un resoconto con cronologia).

Ma il libro di Biacchessi non parla solo del caso Alpi-Hrovatin. In queste pagine si ricostruiscono anche le vicende del medico e fotoreporter Raffaele Ciriello (Venosa, 1959 – Ramallah, 2002), della giornalista del Corriere della Sera Maria Grazia Cutuli (Catania, 1962 – Kabul, 2001), dell’inviato di Radio Radicale Antonio Russo (Francavilla al Mare, 1960 – Tbilisi, 2000) e del freelance Enzo Baldoni (Città di Castello, 1948 – Najaf, 2004). Per leggerne di più, si può scaricare l’articolo (file pdf) uscito oggi sul Sole 24 Ore a firma di Alberto Negri (che sarà alla presentazione del 24 marzo, a Roma, insieme a Luciana Alpi, madre di Ilaria).

Il programma di Licio Gelli: decenni di mani sulla stampa

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Il programma di Licio Gelli

Nei confronti della stampa (o, meglio, dei giornalisti) l’impiego degli strumenti finanziari non può, in questa fase, essere previsto nominatim. Occorrerà redigere un elenco di almeno 2 o 3 elementi per ciascun quotidiano o periodico in modo tale che nessuno sappia dell’altro. L’azione dovrà essere condotta a macchia d’olio, o, meglio, a catena, da non più di 3 o 4 elementi che conoscono l’ambiente. Ai giornalisti acquisiti dovrà essere affidato il compito di “simpatizzare” per gli esponenti politici.
(Piano di rinascita democratica, procedimenti, articolo 2)

Enzo Biagi, decano del giornalismo italiano scomparso a Milano nel novembre 2007, è diventato per tutti il paladino dell’informazione libera dopo la sua morte. Paladino anche di chi – e anche questo è un esercizio lieve di memoria – lo aveva ostracizzato dopo l’editto bulgaro del 2002. A quei tempi, Biagi conduceva da nove anni ormai una striscia televisiva, “Il fatto”, che andava in onda dopo il Tg1 e, unica nella storia recentissima del piccolo schermo, era una potente concorrente in termini di share dell’inscalfibile “Striscia la notizia” di Antonio Ricci, campione di ascolti fin dal suo debutto, nel novembre 1988. La breve trasmissione di Biagi si era guadagnata lustro sul campo, ma che i suoi contenuti iniziassero a non piacere lo si era annusato già dal 2001 a causa di due interviste che fece a Indro Montanelli e a Roberto Benigni. Il primo intervistato, altro giornalista di lungo corso, disse senza troppi giri di parole che il candidato della Casa delle Libertà era simile a un virus e che avrebbe instaurato una “dittatura morbida”; il secondo, l’attore che nel 1997 vinse l’Oscar con il film “La vita è bella”, si allargò troppo nella sua gag satirica che prendeva di mira i toni della campagna elettorale del centro-destra, compresi temi scomodi come il conflitto d’interessi e il contratto con gli italiani firmato unilateralmente dal candidato premier di fronte a una telecamera. Faziosità, fu l’accusa mossa dallo schieramento politico guidato dal cavaliere a poche settimane dalle elezioni politiche che avrebbero comunque portato al secondo governo Berlusconi.

Malgrado il risultato favorevole delle urne, i sodali di Silvio Berlusconi se la legarono al dito e il primo ad augurarsi il licenziamento di Biagi fu Maurizio Gasparri, esponente di Alleanza Nazionale e prossimo a diventare ministro delle comunicazioni nelle cui vesti firmò una legge controversa sul riassetto radiotelevisivo. Ne seguì un’indagine del garante per violazione della par condicio che però diede ragione all’anziano giornalista, ma da palazzo Chigi si chiedeva comunque la testa del conduttore. Così, il 18 aprile 2002, mentre Silvio Berlusconi era in visita ufficiale a Sofia, rilasciò all’Ansa una dichiarazione passata agli annali come “editto bulgaro” in cui si invocava il pugno di ferro contro “un uso criminoso della televisione pubblica”. Biagi non era il solo destinatario degli strali del premier – che se la prese anche con il giornalista Michele Santoro e con il comico Daniele Luttazzi – ma forte della sua professionalità rispose a sua volta con una dichiarazione che merita di essere riportata per ampi stralci:
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La vita a Rebibbia raccontata per immagini

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Rebibbia - Foto di Luca FerrariIl blog Prison Photography, dedicato alla “pratica della fotografia nei luoghi di carcerazione”, pubblica un estratto del reportage realizzato da Luca Ferrari, italiano ma da tempo emigrato in Gran Bretagna, all’interno dell’istituto di detenzione romano di Rebibbia. Le immagini sono state scattate nel corso di un periodo che va dal 2001 e al 2003 e il reportage completo può essere visto sul sito del fotografo all’interno della sezione “works”. Cliccando inoltre su ognuna di queste fotografie, è possibile leggere la storia delle persone che vengono ritratte: frammenti di passato, motivi dell’arresto, timore e speranze dopo il periodo trascorso dietro le sbarre.

(Via Ultimo)

Un mash-up di incubi contemporanei, fantasy e peccati culturali

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Parents Just Dont UnderstandUn mash-up di celebri film, star del rock, favole per bambini, personaggi storici e frammenti di cronaca. Per dirla con le parole di chi quel mash-up se l’è inventato, si tratta di un concentrato di “fantasy per l’infanzia e contemporanei incubi culturali”. Di qui nasce l’esposizione che si intitola The Sins of Attacus Finch e che forse non si potrà visitare, dato che si tiene a Los Angeles.

Ma, sebbene ci sia chi va dicendo che Internet è inutile perché non ha risolto i problemi dell’umanità (per approfondimenti si legga qui, qui e qui), talvolta la rete aiuta perché sopperisce laddove la fisicità non arriva. Nel caso specifico di Dave MacDowell, l’autore delle opere esposte, la ragione sta nel fatto che la mostra è disponibile anche sul sito dell’artista, oltre che su Flickr (dove si trovano altri suoi lavori) e su MySpace.