Giovanni Parisi: il pugile che dalla palestra vogherese arrivò a Seul

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Giovanni Parisi. Foto di Giovanni ZardinoniNon seguo la boxe, ma gli incontri di Giovanni Parisi li vedevo quando ancora combatteva. Ormai aveva abbandonato i guantoni e l’apice della sua carriera lo raggiunse nel 1988, quando vinse la medaglia d’oro alle olimpiadi di Seul, ma l’avevo conosciuto che entrambi eravamo ragazzini. Frequentavo le scuole medie e quella che sarebbe diventata un’amica importante, Alida Stringa, ai tempi era la mia insegnante di italiano così come qualche anno prima lo era stata di Giovanni. L’aveva invitato in classe per raccontare una storia tanto classica quanto autentica: un ribelle, calabrese d’origine con una storia complessa alle spalle, uno difficile in aula, che il primo giorno di scuola, di fronte al richiamo della docente, prende e se ne va. Uscendo dalla finestra. Potenzialmente uno che sarebbe finito male. Ma che Alida aveva seguito, l’aveva spinto a sfogare la sua rabbia in una palestra, tirando pugni al sacco e ad altri pugili. E lo sport aveva compiuto la trasformazione fino alla medaglia d’oro in Corea, che dedicò alla madre. La quale aveva fatto un sacco di lavori umili per consentire ai figli di realizzarsi e che era scomparsa da poco quando salì sul gradino più alto del podio.

Giovanni ho continuato a vederlo negli anni successivi. A casa di Alida e sul campo, quando la squadra di atletica leggera di cui facevo parte si trovava per gli allenamenti al campo giovani, alla periferia di Voghera, e lui era lì, già iridato e celebrato dai giornali, a correre all’esterno della pista dei 400 metri insieme alla moglie e alla cagnetta che paziente trotterellava al loro fianco. Lui era un olimpionico quando noi partecipavamo a campionati provinciali e regionali. Per quanto i nostri sport fossero diversi, Giovanni costituiva un esempio ed era arrivato laddove noi sognavamo di giungere (da quello che mi risulta, nessuno ha anche solo sfiorato il traguardo, sicuramente non io). Rideva, quando lo avvertivamo che ci doveva guardare quando saremmo stati noi alle Olimpiadi così come noi avevamo guardato lui. Oggi, a quasi vent’anni di distanza da quegli allenamenti, Giovanni è morto. A 42 anni, in un incidente stradale. Qui un racconto che fece di sé.