12 maggio 1977: Giorgiana Masi e le reticenze di Francesco Cossiga

Standard

Giorgiana MasiIeri, 12 maggio, era l’anniversario dell’omicidio di Giorgiana Masi, assassinata a Roma nel 1977 durante una manifestazione in cui si sono applicati i “metodi” dell’allora ministro dell’Interno. Gli stessi che, due mesi prima, aveva applicato anche a Bologna, quando morì Francesco Lorusso. In Piccone di Stato. Francesco Cossiga e i segreti della Repubblica (Nutrimenti) si è parlato di quei fatti e di come (non) volle raccontarli colui che al tempo occupava lo scranno più alto del Viminale. I virgolettati (se non diversamente specificato) sono tutti di Cossiga e si riferiscono alle dichiarazioni che nel corso del tempo rilasciò sull’argomento

Chi ha ucciso Giorgiana Masi? Ebbe modo di affermare Francesco Cossiga:

Ecco, io quello credo che non lo dirò mai [nemmeno] se mi dovessero chiamare davanti all’autorità giudiziaria, perché sarebbe una cosa molto dolorosa.

Si chiedeva in proposito Milena Gabanelli:

Poiché sarebbe doloroso dire chi ha ucciso Giorgiana Masi, l’uomo che più ha invocato la pacificazione nazionale, Cossiga, dice non parlerò neanche davanti alla magistratura. Deduciamo che la morte di una ragazzina innocente non sia stato un incidente, ma ben altro. Forse un ordine per imporre poi le leggi speciali?

E rispose Cossiga:

Eravamo in sei a conoscere la verità, siamo rimasti in cinque perché uno è morto. L’ex capo della polizia [Fernando] Masone venne da me un giorno e mi disse: quando potremo dire la verità stapperemo lo champagne. L’onorevole [Paolo] Cento insisteva per saperla, la verità. L’ho accontentato, da allora non ne ho più parlato.

Continue reading

Antonio Mazzeo racconta su Micromega il mercato dell’industria italiana degli armamenti

Standard

Prendo ancora da Roberto Laghi il suo post Armi italiane nel mondo: Antonio Mazzeo ne parla su Micromega

In un articolo pubblicato qualche giorno fa su Micromega, il giornalista Antonio Mazzeo fa il punto sul mercato dell’industria italiana degli armamenti. Un settore che non ha conosciuto crisi, perché tra il 2008 e il 2009 “l’export di armamenti è cresciuto del 74%”.

Mazzeo indica anche la lista dei principali Paesi destinatari della produzione bellica made in Italy, il cui marchio è presente su ogni tipo di strumento di guerra, compresi quelli per la tortura (del resto il reato di tortura non è presente nel nostro codice penale):

al primo posto c’è la petromonarchia dell’Arabia Saudita (commesse per 1.100 milioni di euro), poi il Qatar (317), l’India (242), gli Emirati Arabi Uniti (176), il Marocco (112), la Libia (59), la Nigeria (50), la Colombia (44), l’Oman (37).

Sì, tra i destinatari c’è anche la Libia, in cui attualmente si sta combattendo una guerra di cui probabilmente non sappiamo abbastanza. E gli accordi con la Libia riguardano anche il controllo e la repressione dei movimenti dei migranti.

Affari che spesso si muovono in zone grigie, anche nel tentativo di aggirare la legge 185 del 1990 che regola la vendita di armi (in particolare, con il divieto di vendita agli Stati belligeranti), ma che portano enormi guadagni nelle casse delle industrie coinvolte, come Finmeccanica, recentemente al centro di inchieste di cui si è anche occupata Milena Gabanelli a Report.

Sempre a proposito di armi, segnalo l’intervista che ho fatto a Francesco Vignarca per Micromega sul libro Il caro armato, che racconta quanto costano (e quanto sprecano) le forze armate italiane.

E aggiungo in conclusione che Antonio Mazzeo racconta su Domani di quando i profughi diventano un affare, come sta accadendo in Sicilia.

“Tutto vero: ti querelo!”: Cinquegrani torna sui revolver giudiziari puntati contro i giornalisti

Standard

Forbidden - Foto di Carsten UllrichAncora dal mensile La voce delle voci di gennaio un articolo di Andrea Cinquegrani, codirettore del giornale insieme a Rita Pennarola, che scrive un pezzo intitolato Tutto vero: ti querelo!:

C’è la guerra preventiva, stile Usa. C’è la galera preventiva, come invoca oggi Gasparri per chi protesta contro la legge Gelmini. Ci sono le citazioni milionarie per mettere il bavaglio a quel poco di stampa libera che resta sul campo (sempre più martoriata…). L’abbiamo già scritto e ri-scritto, denunciato e ri-denunciato: le citazioni civili sono un revolver puntato contro chi osa documentare gli affari dei Palazzi e dei loro Potenti Inquilini. Senza se e senza ma. Non esiste paese al mondo in cui le Ferrovie ti sparano addosso – come è successo a Milena Gabanelli e al suo Report, oppure a Claudio Gatti, autore del libro denuncia sulle Fs Fuori Orario – una citazione per danni da milioni di euro, per fare un solo esempio.

Così fece esattamente vent’anni fa, l’allora potente zar del Bilancio, Paolo Cirino Pomicino, con noi della Voce, che avevamo scritto e pubblicato il libro ‘O ministro: ci chiese, allora, 11 miliardi di vecchie lire, ovviamente da devolvere in opere di bene. Mentre siamo al centosettantesimo posto o giù di lì per tasso di sviluppo, superati anche da Haiti, siamo al primo, in assoluto, su questo fronte: negli altri paesi europei – pochi lo sanno – un simile sistema intimidatorio non esiste, in Spagna e in Francia, due soli casi, è previsto un tetto (tipo 20-30 mila euro), a maggior ragione valido per le testate minori, altrimenti facilissimo bersaglio del Ras di turno che a costo zero (tanto per loro, gli Inquilini dei Palazzi, le spese legali sono un optional) ti spara bordate mortali.

Il tutto, senza freni, senza regole, senza pagarne minime conseguenze (quando poi dopo anni verrà fatta giustizia in aula). Non sarebbe il caso – per dirne una con Gabanelli – di depositare in via cauzionale un tot, mettiamo il 10 per cento presso il tribunale, su un conto infruttifero, come cauzione: ti chiedo 1 milione di euro per danni, deposito 100 mila euro come cauzione. Almeno si darebbero una regolata o ci penserebbero un attimo prima di imbracciare la lupara.

Fra le novità di stagione, comunque, ci sono anche le citazioni “autogol”, in cui vieni accusato per aver scritto cose assolutamente veritiere, come ammette il “presunto” diffamato persino nell’atto giudiziario che ti viene notificato. Non contento, cita l’autore dell’articolo, il direttore responsabile e anche il condirettore. Non gli basta, perché la pancia non è piena: confeziona il tutto in un pacchetto-regalo e sporge anche un querela, passando così sul piano penale, tanto per dimostrare d’aver un pizzico di coraggio (si sa, nel penale esiste un pm, è possibile introdurre testi etc.). Succede a noi della Voce, bersaglio privilegiato per Potenti di prima e seconda repubblica, camorristi, faccendieri e compagnia cantando.

Per continuare a leggere si clicchi qui. E a proposito di ciò che non si può scrivere – e nemmeno citare – si dia un’occhiata a questo post pubblicato sul blog della casa editrice Chiarelettere.

Nuovi venti “bulgari” su chi fa informazione

Standard

Dopo Annozero, Report, scrive Agoravox raccontando di ipotetici editti bulgari che si profilano all’orizzonte. Infatti:

Report citata a giudizio per la puntata su Catania, dall’editore Ciancio, che porterà la trasmissione ad un lungo processo civile. E non è finita qui per Report. La puntata sulla Social card non è piaciuta a Tremonti, che tramite il suo consigliere Angelo Maria Petroni (nominato dal tesoro), ha chiesto di visionare la cassetta e “inviato al giudizio del Comitato etico dell’azienda“.

Da notare che, come accade spesso, quando qualcuno si sente diffamato, passa alle vie civili, saltando quelle penali, per avere soddisfazione. Perché, in questo caso, la soddisfazione – almeno economica – arriva prima. Un po’ come racconta Sabina Guzzanti nel video a fianco che chiudeva la puntata di ieri sera della trasmissione di Santoro. In quelle parole, affidate alla satira, c’è un pozzo di verità verso chi fa informazione, a prescindere dallo strumento che si usa.