Collegare fatti e persone: alla ricerca di uno strumento

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Schemi e correlazioni storiche e politiche

L’immagine che compare sopra a queste righe è un esempio, una specie di esperimento fatto una domenica mattina sopra un block notes. Riguarda alcuni personaggi coinvolti in alcuni eventi di portata nazionale, come lo scandalo della loggia P2, i contatti con la banda della Magliana e con la criminalità organizzata, il caso Cirillo, Roberto Calvi, il Banco Ambrosiano e alcuni altri fatti. Il rapido esperimento su carta aveva come scopo quello di cercare di vedere come, attraverso alcuni personaggi, determinati eventi siano collegati ad altri. E come altrettanto lo siano gli attori protagonisti (e alcune comparse) tra loro.

Lo scopo, volendo trasportarlo in ambiti diversi da quelli di cellulosa, sarebbe quello di capire se esiste uno strumento informatico che, ricorrendo a semantica e correlazioni, possa generare in automatico grappoli attraverso cui dare una lettura complessiva di determinati fenomeni politici, storici o criminali. Ovviamente la logica poi si potrebbe riversare pari pari su altri ambiti, però quello di interesse nello specifico di questo post è quello citato. Altrettanto ovviamente lo strumento non potrebbe sostituire l’apporto umano e le relative competenze, senza le quali qualsiasi supporto semantico e informatico non avrebbe senso. Ma forse, lavorando su contesti così ampi e articolati, il software – indispensabile che sia libero (libero as in free speech, not as in free beer, come disse Lui) – può venire in aiuto nel cogliere connessioni (o correlazioni) che individuare in altro modo sarebbe arduo. Dunque, che qualcuno sappia, esiste già qualcosa che sia in grado di compiere operazioni del genere? Suggerimenti, proposte, strumenti analoghi? Qualsiasi suggerimento sarebbe prezioso.

I manoscritti di Edgar Allan Poe diventano una collezione digitale

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Portrait of Edgar Allan Poe - Peale, Rembrandt, 1778-1860Ancora a proposito di collezioni digitalizzate che vanno online, dall’Harry Ransom Center dell’università del Texas arriva quella dedicata a Edgar Allan Poe:

La collezione digitalizzata comprende immagini dei manoscritti di Poe e di sue lettere […] con una selezione di relativi materiali d’archivio, due libri autografati dall’autore, spartiti musicali basati sui suoi poemi e alcuni ritratti. Molti degli elementi in esposizione […] appartenevano a William H. Koester (1888-1964). Koester, che visse a Baltimora, iniziò a collezionare i manoscritti negli anni trenta del ventesimo secolo. La sua principale acquisizione riguardò quanto aveva J. H. Whitty, allievo di Poe. Inoltre […] comprendeva molte lettere scritte e ricevute dall’autore, libri a lui appartenuti […] e numerose partiture. La collezione di Koester fu rilevata dal Centro nel 1966.

Per visualizzare le immagini, si può iniziare da qui e, come nel caso di Letters of Note, anche i manoscritti di Poe sono accompagnati dalla trascrizione.

Letters of Note: un archivio dal passato remoto e prossimo

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From HellLetters of Note – Correspondence deserving of a wider audience è un un blog che esiste da poco tempo e che al momento ha pubblicato una quindicina di post. Questo il suo scopo: “raccogliere e selezionare affascinanti lettere, cartoline, telegrammi, fax e perfino email” per farne un archivio quanto più ricco possibile. Sebbene si parli anche di posta elettronica, al momento il materiale più interessante comprende per lo più manoscritti del diciannovesimo e del ventesimo secolo.

Così si può leggere una “rivelazione” fatta da Charles Darwin (It is like confessing a murder) nel 1844 al botanico Joseph Dalton Hooker: ha avuto un’intuizione che diventerà poi la teoria della selezione naturale. Oppure c’è una lettera dall’inferno: risale al 1888 ed è il periodo in cui Whitechapel – il derelitto quartiere della Londra vittoriana – viene percorso da un personaggio rimasto anonimo e soprannominato Jack The Ripper. Inoltre, passando a epoche più recenti, si può vedere l’immagine di un testo intitolato This is the Zodiac speaking da riferirsi al criminale che colpì negli Stati Uniti sul finire degli anni sessanta.

Ogni post pubblicato su Letters of Note comprende la scansione dell’originale e la sua trascrizione, pubblicata nell’area sottostante. E un invito viene rivolto agli lettori: inviare via mail all’indirizzo lettersofnote[at]gmail.com eventuale altro materiale a disposizione per arricchire l’archivio. Con un’avvertenza: se sapete già che si tratta di un fake, desistite.

Nuovo tema dopo lungo tempo

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Dopo anni questo blog cambia faccia. Ed era pure ora, dopo essere rimasto cristalizzato sullo stesso template così a lungo da non ricordare esattamente quando era stato messo online, probabilmente appena dopo la nascita di questo blog. Tra i tanti temi visti in questi mesi, alla fine la scelta è caduta sul lavoro messo a disposizione da Design Disease e un ringraziamento particolare va a Claudio Cicali per le personalizzazioni che permettono di richiamare la linea passata, almeno per l’uso del colore verde. Infine – ma non ultimo – il ringraziamento comprende Carlo Beccaria che non solo ospita questo blog da anni, ma che ha utilizzato qualche ora delle ferie d’agosto per trasferire il sito su un server più stabile rispetto al precedente e dalle prestazioni decisamente più soddisfacenti. Grazie.

Ucraina: viaggio tra gli effetti della crisi e le conseguenze di Chernobyl

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On the ukraine roadLa crisi economica ha picchiato duro in Ucraina, tanto che se lo scorso autunno il Fondo monetario internazionale non avesse messo a disposizione 14 miliardi di dollari sotto forma di prestito straordinario, Kiev e la sua nazione sarebbero scivolate verso la bancarotta. E poi c’è sempre la spada di Damocle del gas. Un braccio di ferro con Mosca che si trascina tra debiti restituiti fortunosamente, accordi presto rotti e squadre dei servizi segreti ucraini che sequestrano i contratti stipulati con la Russia.

Benvenuti in una nazione dalle sperequazioni sociali esasperate. Una nazione in cui negli ultimi anni – dal 1999, per precisione, con un incremento medio del prodotto interno lordo di 7,4 punti ogni dodici mesi, fino al 2007 – la classe media è stata spazzata via e, a fronte di una percentuale minima della popolazione dalle ricchezze inimmaginabili, la maggior parte della gente vive di briciole. Quando ci sono. Negli anni appena trascorsi, infatti, i segni di ripresa in Ucraina erano affidati a una piccola imprenditoria che aveva saputo dare prova di qualità professionale e abilità commerciale nell’acquisire commesse dall’Europa occidentale, soprattutto dalla Germania. Così aveva avuto modo di emergere un tessuto manifatturiero e un terziario attivo soprattutto nel settore informatico che lasciava ben sperare per il futuro. Avrebbe potuto venire da qui la risposta all’emigrazione forzata dalla mancanza di prospettive occupazionali e da stipendi che a fatica garantivano la sussistenza. Ma poi sono arrivati la crisi dei mercati valutari, gli investimenti bancari (anche italiani) rivelatisi del tutto fittizi e i fallimenti collegati che hanno messo in ginocchio l’intera nazionale.

Rural mechanical engineeringIl viaggio in Ucraina inizia alla frontiera con l’Ungheria, dopo controlli lenti e la compilazione di moduli in cui si dichiara di chi si è ospite nel Paese. «Così, se accade qualcosa mentre voi siete all’interno del nazione e riuscite ad andarvene, verranno a chiederne conto alla mia famiglia», ci dice Natalija, una badante ucraina che torna a casa per un periodo di vacanza e che accetta di farci da guida nel paese.

Ad attenderla, appena oltre il confine, Volodimir, un amico che è venuto a prenderla e che sarà l’altra metà del viaggio nell’ex repubblica sovietica.

Questa è la seconda volta che Natalija torna a casa dal 2000. Per anni ha vissuto come clandestina e oggi mostra con orgoglio alla polizia di frontiera il suo permesso di soggiorno in area Schengen, oltre al passaporto. Era partita, Natalija, contraendo un debito di duemila e 700 euro per farsi un viaggio di quasi duemila chilometri nascosta nel contro soffitto di un tir insieme ad altre tredici persone. Sdraiata e zitta fino a Napoli passando per frontiere dove ogni volta c’era il rischio che lei e i suoi compagni di viaggio venissero scoperti. Italiana era l’organizzazione che gestiva i trasporti e per i suoi referenti Natalija ha dovuto darsi da fare, senza conoscere una parola della lingua e senza avere il tempo per impararla, fino a estinguere il debito che l’aveva portata in Italia.
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Un’infanzia da gitana: la storia di Roxy Freeman

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Roxy FreemanRoxy Freeman ha trent’anni e la sua storia m’ha ricordato un brano di molti anni fa firmato da Claudio Lolli. Perché la donna, nata in Irlanda e oggi in Spagna dopo aver vissuto a lungo in Gran Bretagna e aver viaggiato parecchio, è di origine gitana e fino a ventidue anni la sua frequentazione con aule scolastiche ed istruzione formale è stata più che lacunosa. In un lungo articolo pubblicato ieri dal Guardian, My Gypsy childhood, Roxy Freeman racconta la sua storia, probabilmente un’anticipazione dell’autobiografia che sta scrivendo e che sarà di certo da leggere, se sarà coinvolgente come l’articolo. In cui l’autrice, oggi giornalista che ha frequentato il Suffolk College, rievoca la sua vita nei campi nomadi, le abitudini, i libri che ha imparato a leggere grazie alla madre e i luoghi visitati e in cui ha lavorato come ballerina di flamenco.

Non era una vita sempre idilliaca: la vita per strada può essere difficile. Avendo dei fratelli più piccoli ho dovuto lavorare sodo: la mia routine quotidiana includeva andare a prendere l’acqua, cucinare e cambiare pannolini. Eravamo sempre in bolletta: la passione di mio padre è sempre stata quella di coltivare mais. Talvolta la vendita andava bene, ma spesso eravamo senza un soldo. Così tutta la famiglia si dava da fare nella raccolta della frutta. Ricordo che un’estate abbiamo vissuto di funghi dato che lavoravamo in una fattoria che li coltivava. Ci sono stati anche i narcisi, ma dopo cinque stagioni ho sviluppato un’allergia alla linfa di quei fiori e la mia pelle si ricopriva di bolle al suo contatto.

E ancora:

Anche se io non andavo a scuola, ci andavano alcuni dei miei fratelli che, come molti gitani, hanno vissuto situazioni difficili. Capitava di trovarli in lacrime sul portone della scuola perché gli altri ragazzini se la prendevano con loro. Senza istruzione è difficile perseguire i propri obiettivi, ma rispetto alle tradizionali famiglie analfabete di gitani o nomadi, abbiamo avuto buone occasioni e nessuno si aspettava che ci sposassimo giovani mettendo al mondo nidiate di bambini e seguendo le orme dei nostri genitori. Da bambina la mia passione era il flamenco […] e a nove anni, nel periodo di Norfolk, mia madre mi mandò a scuola di danza […]. A 17 anni, volli lasciare il confortevole caos del campo e, dopo aver risparmiato un po’ di denaro, viaggiai per anni, danzando in bar australiani, in scuole spagnole e sulle spiagge dell’India.

Ma le limitazioni imposte dalla mancanza di istruzione hanno seguito la giovane, che risentiva del fatto di non poter comunicare quanto voleva e del gap rispetto a chi a scuola c’era andato. Così, risparmiando un altro po’, a ventidue anni compie un’impresa per lei ardua: scrivere una lettera di tremila parole per spiegare i motivi che la spingevano a voler frequentare corsi per adulti. È stata con quell’azione che ha dato un nuovo corso della sua vita confidando nel fatto che, forse, la strada imboccata l’avrebbe aiutata a realizzare quanto voleva. Fino alla laurea.

Piombo fuso: immagini da una guerra riprese da un freelance

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Su Peacereporter è stata pubblicata una lunga intervista realizzata da Nicola Falcinella a Stefano Savona (che già aveva girato Primavera in Kurdistan), autore del documentario Piombo fuso sull’attacco a Gaza del dicembre 2008.

Le dinamiche che nascono sono le peggiori, come nei lager e leggere I sommersi e i salvati di Primo Levi mi ha aiutato. Non si può dare la colpa a tutti i palestinesi per i discorsi e la politica di Hamas. Di certo la guerra non ha fatto che aumentare il consenso per gli estremisti […]. Per la prima volta nessuno mi ha detto di non filmare qualcosa. Sono sempre stato libero di riprendere. In giro c’ero solo io con la videocamera, è stata una guerra poco mediatizzata, la gente capiva che ero là a mie spese e a mio pericolo. All’inizio avevo qualche timore a filmare le donne velate perché so che non amano essere riprese, poi ho notato che anche loro facevano segni di vittoria con le dita e mi sono sentito più sicuro a riprenderle. Con Hamas ufficialmente non ho mai avuto nessun contatto, non mi hanno contattato né detto nulla.

Già presentato al Festival di Locarno, una versione di 52 minuti del documentario verrà mandata in onda all’interno di Doc3 giovedì 17 settembre. In rete invece non c’è ancora un trailer ufficiale, ma qualche immagine si può vedere da un servizio del Tg3.

Letteratura e giornalismo: interferenze ed esperimenti del racconto

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Letteratura e giornalismoUn libro che riprende un dibattito che ogni tanto si riaccende. Un dibattito che, insieme ad altri di recente emersi, risulta interessante per approfondire il termine del racconto tributato dalla realtà. Per questo segnalo la recensione di Giorgio Fontana pubblicata sul Sole 24 Ore dal titolo “Letteratura e giornalismo” di Clotilde Bertoni:

Risultano di grande interesse i capitoli dedicati all’evoluzione narrativa del reportage. Partendo dal “non genere” dell’elzeviro, la storia dell’ibridazione trova una svolta nel new journalism di metà anni ’50 — Tom Wolfe, Gay Talese, e il genio stralunato e folle di Hunter S. Thompson — si arriva fino al non fiction novel di Truman Capote o del nostro Roberto Saviano (uno dei pregi del libro, fra l’altro, è proprio quello di non tralasciare affatto il panorama contemporaneo italiano).

L’autrice insegna letterature comparate alla facoltà di scienze della formazione dell’università di Palermo e in questi termini si presenta il volume:

Letteratura e giornalismo presentano diverse antinomie: la letteratura ambisce alla durata, il giornalismo è per sua natura effimero, legato com’è alla contingenza del momento; la prima è basata sulla menzogna, intesa come rielaborazione della realtà, creazione di mondi alternativi, il secondo punta a descrivere puntigliosamente il reale. Eppure tra questi due mondi, all’apparenza antitetici, esistono contatti e contaminazioni. Il libro ne passa in rassegna alcuni: l’attività degli scrittori giornalisti e le forme sperimentali di cronaca o di narrativa che possono derivarne; le interferenze vere e proprie, create dalla contiguità materiale (il feuilleton, l’elzeviro) o dal ricorso a strategie e libertà letterarie (come nel caso del New Joumalism); la tematizzazione letteraria del giornalismo, dalle balzachiane “Illusioni perdute” fino al romanzo contemporaneo.

“The War on Words”: conferenza su terrorismo e media a Vienna

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The War on WordsPer chi avesse la possibilità di andarci, il 5 e il 6 ottobre prossimi, a Vienna, in programma c’è la conferenza The War on Words – Terrorism, Media and the Law organizzata dall’International Press Institute (IPI) e dal Center for International Legal Studies (CILS) di Salisburgo. Questa la sua presentazione:

In questa due giorni prominenti figure del mondo dei media, del giurisprudenza e dei diritti umani, così come esperti in sicurezza e antiterrorismo, discuteranno dell’impatto che la lotta al terrorismo ha sulle libertà civili, in particolare sulla libertà d’espressione e di stampa. Le sessioni si focalizzeranno sugli sforzi dei governi di estendere e rafforzare i loro poteri e di restringere l’accesso alle informazioni in nome della sicurezza, sul ruolo di cane da guardia dei media e sulla relazione fra libertà d’espressione e tolleranza religiosa. Nell’incontro conclusivo i partecipanti lavoreranno all’impostazione dei princìpi guida per la “dichiarazione di Vienna sul terrorismo, i media e il diritto” che potrà essere usata in giro per il mondo a sostegno della libertà d’espressione e di stampa.

Via mail, in questi giorni, arrivano gli aggiornamenti legati alla conferenza via via che si concretizzano. Tra gli ospiti, è confermata la presenza di Philip Zelikow, che faceva parte del dipartimento di Stato statunitense durante la presidenza di George W. Bush e della commissione sull’11 settembre (cosa ne pensi di argomenti attinenti a quelli trattati ieri si può leggere qui). Inoltre saranno presenti Manfred Nowak (United Nations Special Rapporteur on Torture), Raphael Perl (OSCE Action against Terrorism Unit) e Hamid Mir (della pakistana GEO TV, colui che intervistò per tre volte Osama bin Laden e la terza intervista fu la prima che il capo di Al Qaeda rilasciò dopo gli attentati di otto anni fa).

Per intanto da qui si può scaricare (in formato pdf) il programma della conferenza mentre per partecipare è necessario compilare e inviare un form di registrazione.

Antiterrorismo e attività d’oltreoceano tra attacchi e stralci

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2004 CIA Inspector General reportQua è la un po’ di righe nere a mo’ di omissis ci sono, ma il senso generale del discorso illustrato nelle centosessanta pagine del documento in oggetto è chiaro. Si tratta del rapporto datato 7 maggio 2004 e diffuso nei giorni scorsi su detenzione e interrogatori in attività di controterrorismo (file pdf, 10,2 MB) redatto dalla Central Intelligence Agency per il periodo settembre 2001-ottobre 2003. Tirato fuori dal Washington Post e ripreso all’interno di articolo in cui parla l’ex presidente Dick Cheney dichiarando di essere “molto orgoglioso di ciò che abbiamo fatto negli ultimi otto anni in termini di difesa della sicurezza nazionale”, il documento accompagna alcune considerazioni che, dal fronte repubblicano, emergono nei confronti di indagini a carico di alcuni agenti con trascorsi alterni (“Uno schiaffo contro la CIA”). Se oggi, con il cambio di vertice alla Casa Bianca, determinate pratiche sarebbero state dismesse (con evidenti malumori nella vecchia guardia: “[Obama] dovrebbe piuttosto venire a chiederci qual è la formula che abbiamo adottato per proteggere il Paese per tutto questo tempo”), il testo reso pubblico costituisce un utile strumento per capire la piega che ha preso la lotta al terrorismo dopo gli attentati del 2001. L’appendice D, a partire da pagina 142, qualche idea la dà.