Gli zombi, rappresentazioni fantastiche per leggere la realtà e le sue paure

Standard

Soccer Mom Zombie - Illustrazione di JucoLa società americana (ma non solo, direi), le paure contemporanee scandite dall’alternarsi delle emergenze (più o meno pretestuose) presentate all’opinione pubblica, il consumismo come verbo, gli scontri politici freddi e caldi. Di tutto ciò parlano due lunghi articoli scritti dall’opinionista e critico culturale Mark Dery per la rivista elettronica True Slant. Ed entrambi prendono a simbolo e rappresentazione di questi concetti una figura utilizzata dal cinema e dalla letteratura: quella dello zombi. I pezzi si intitolano Dead Man Walking: What Do Zombies Mean? e Dead Man Walking: What Do Zombies Mean?, Part 2 e fanno un’ampia retrospettiva sia dei contesti socio-economici e politici in cui questa figura fantastica si cala che delle opere di fantasia diventate simbolo e metafora per l’interpretazione del reale. Vi si legge infatti:

Lo zombi è un ritornante polivante, una rappresentazione pregna di significati che ha dato forma, in modo alternato, ai ricordi repressi degli orrori della schiavità raccontando sia l’alienazione bianca che l’Altro più oscuro. Ma anche gli incubi della Guerra Fredda generati dai funghi atomici e dagli stermini di massa, le ricadute post-traumatiche dell’Aids e le estese ansie derivanti da minacce virali e bioingegneristiche (come accade in 28 Days Later e Left 4 Dead, sogni disturbati da un’epoca di influenza aviaria e H1N1, quando gli agenti patogeni superano le barriere delle specie e si diffondono, attraverso i viaggi aerei, diventando, da una notte all’altra, pandemie globali […]).

Nei decenni postbellici, mentre estese aree suburbane e culture commerciali di metastatizzavano nella nazione, Hollywood lancia lo zombi presentandolo come il volto decadente dell’ambivalenza popolare scivolata verso uno scatenato consumismo. Implacabili macchine consumistiche, i morti di George Romero, quelli che strisciano nel centro commerciale di Dawn of the Dead (1978), rappresentano letteralmente la psicologia infantile della cultura del consumo, con la sua fissazione orale, la sua insistenza per la gratificazione istantanea e il suo autogratificante “compro-quindi-sono”. E danno anche una misura di quanto costosi siano i totem dello status […]. L’oralità insaziabile ha portato a una ridefinizione commercial-capitalistica del cittadino che diventa consumatore, una specie con il “portafogli in bocca” […].

Adesso che l’apocalisse economica ha lasciato milioni di persone senza lavoro […], lo zombi […] incarna le paure americane che sbandierano glorie ormai passate […]. Gli zombi sono il male contenuto in un’economia moribonda che ci mette a confronto ovunque guardiamo con un paesaggio costellato da centri commerciali, “scatole fantasma” e “negozi zombi”, ridotti a liquidazioni per ridurre i magazzini all’osso, con l’ironica conseguenza che i loro emaciati stock e i loro clienti assenti accelereranno questa spirale mortale.

Questo e altro viene raccontato nei due articoli di Mark Dery facendo notare che il virus che dilaga in 28 Days Later si chiama “Rabbia. Il sonno della ragione del resto genera mostri”.

Torna a Bologna il Festival delle culture antifasciste per la sua seconda edizione

Standard

Festival delle culture antifasciste

Seconda edizione del Festival sociale delle culture antifasciste a Bologna. Si svolgerà dal 28 maggio al 6 giugno 2010 e quest’anno sarà all’interno del parco di viale Togliatti. Il programma definitivo sarà pubblicato entro i primi giorni del mese prossimo mentre sulla home page del sito sono riportati gli indirizzi mail a cui scrivere per partecipare agli ambiti tematici già definiti. E per intanto, ecco perché organizzare (e partecipare) a una manifestazione di questo tenore:

Il fascismo è prima di tutto una “cultura”, un modo di essere, di comportarsi, è la volontà di dominio sulle persone, la natura, il territorio, è l’arroganza, la negazione di ogni diritto, la repressione del dissenso, la negazione e il disprezzo per le diversità. Il fascismo di ieri ha lasciato viva la sua “cultura”, si è trasformato e trasfigurato mutando le sue organizzazioni e le sue rappresentanze e continua ancora a fare il suo sporco lavoro. Questo è il fascismo di oggi, questa è la cultura da combattere. Con queste premesse, intendiamo rilanciare il progetto del festival sociale delle culture antifasciste, come progetto dal basso, aperto e partecipato, con l’obiettivo di fare rete, tessere relazioni e darsi gli strumenti per costruire progettualità comuni.

Per dare un’occhiata a cos’è accaduto nel 2009, qui ci sono i materiali d’archivio.

Ada Lovelace, l’incantatrice dei numeri e la scienza spiegata ai bambini

Standard

Ada Lovelace - BrianPOP

Cari Tim e Mobi,
potete per favore parlarmi di Ada Lovelace?
Sean

Chi sia Ada Lovelace, soprannonimata l’incantatrice dei numeri, si può vedere qui. La scienza spiegata in questo modo ai più piccoli è invece opera di BrianPOP, progetto educativo nato dieci anni fa da un’idea di un immunologo e pediatra, Avraham Kadar.

Arte di strada: un documentario la racconta attraverso l’esperienza diretta

Standard

Un documentario che dura meno di venti minuti per raccontare approccio e tecniche dell’arte di strada attraverso l’esperienza di sei dei principali artisti (singoli o collettivi) statunitensi: Faile, Skewville, Mike De Feo, Dan Witz, Espo e Tiki Jay One. Si intitola Open Air, Street Art – Graffiti Documentary, rientra all’interno delle attività del Public Arts Studies Program dell’Università della California ed è stato selezionato per il Coney Island Film Festival e il Freewave International Film Festival.

(Via WoosterCollective.com)

Nel giorno della memoria, per conoscere e dunque ricordare

Standard

A volte, per sapere e dunque per ricordare, non occorre compiere chissà quali viaggi. Accade per esempio con il Prinsengracht 263 e per vedere qualcos’altro basta un click. Intanto, nel giorno della memoria, si provi a dare un’occhiata ad alcune riflessioni sui rischi degli stereotipi, per quanto possano essere involontari, e su chi cerca pace. E anche sulla memoria da trasformare in qualcosa di vivo.

L’OIC e i dieci anni di studi sulla comunicazione di crisi

Standard

Observatoire International des CrisesDieci anni di comunicazione di crisi. Li festeggia il francese OIC (Observatoire International des Crises), organismo indipendente nato appunto a inizio 2000 con lo scopo di “occuparsi più specificamente delle crisi legate a internet, tema assente dal panorama sociale”. Per vedere quanto, in questo arco di tempo, il materiale dell’osservatorio si sia arricchito, si provi a dare un’occhiata all’elenco degli articoli e delle pubblicazioni, consultabili in rete e scaricabili in formato pdf.

Per quanto mi riguarda, ho conosciuto telematicamente l’osservatorio nel 2003 e ai tempi avevo tradotto Il ruolo di Internet nella condivisione del sapere in situazioni di crisi di Didier Heiderich, a cui è seguito qualche mese fa L’influenza su Internet, come si segnalava al momento dell’uscita. Ma per chi legge il francese di tematiche interessanti ce ne sono. Oltre ad atti e interventi a conferenze per mezzo mondo, si veda per esempio quello che accadde nel 2007:

Le prese di posizioni dell’OIC, per quanto moderate, sui pericoli legati agli investimenti in Cina ci sono valsi una censura […] e un periodo di osservazione e un’audizione da parte delle autorità in Francia. La notizia di questa censura farà il giro del pianeta.

Ora chissà che nel prossimo decennio non decidano di sbarcare anche in Italia. Che un lavoro come quello del team dell’OIC sarebbe senz’altro utile anche da questa parte delle Alpi. Intanto, per capire cos’è accaduto nei dodici mesi appena conclusi, è stato messo online un bilancio delle crisi del 2009:

Accelerano, vengono banalizzate e la memoria delle crisi passate si dissipa a causa della condanna mediatica inflitta dall’irrompere [di nuovi eventi] e dalla conseguente dimenticanza quasi immediata [dei precedenti]. Dietro questa accelerazione, le crisi cambiano volto e ciascuna lascia insegnamenti che le sono propri.

Il testo, scritto da Thierry Libaert e Christophe Roux-Dufort, entrambi docenti universitari, comprende – tra gli altri fatti – il disastro dell’Airbus AF 447, la crisi economica, la catena dei suicidi a France Telecom e l’influenza A. E, oltre a caratterizzare ciascuno degli eventi affrontati, si chiude con una serie di interrogativi lasciati in eredità al nuovo anno.

Un villaggio fantasma scozzese torna a vivere attraverso l’arte

Standard

The Ghostvillage Project from Agents Of Change on Vimeo.

Questo video racconta la storia del Ghostvillage Project:

[…] creato nell’arco di 3 giorni sulla costa occidentale della Scozia, [vede coinvolti] 6 artisti – Timid, Remi/Rough, System, Stormie Mills, Juice 126, Derm – che sono stati liberi di dipingere in un villaggio abbandonato negli Anni settanta. Lavorando insieme o singolarmente su grandi pareti, angoli nascosti e fessure […] hanno dato forma a sogni a lungo custoditi e si sono fatti ispirare dalla solitudine e dalla desolazione di quel luogo. Attingendo alla storia del villaggio, lo scopo degli artisti era di popolare il “villaggio fantasma” con l’arte e i personaggi che gli si addicevano.

(Via WoosterCollective.com)

A Belgrado un museo di cultura rom per raccontare arte e letteratura di un popolo

Standard

Juna ciganino - Foto di Dimitrije JanicicSe ne parla sulla versione italiana del sito di una radio serbia e la notizia viene ampliata su Peacereporter. Ed è una bella notizia, di quelle che si vorrebbe leggere in relazione anche al proprio, di Paese:

Otto diverse traduzioni rom della Bibbia, il primo libro sui rom dal 1803, i primi scritti trovati in lingua rom ed altri interessanti pezzi della cultura rom saranno esposti nei prossimi sei mesi nell’ambito della mostra “Alave e Romengo” (“Parola dei rom”), nel primo museo di cultura rom inaugurato solennemente a Belgrado alla fine di ottobre.

L’autore della mostra e al contempo fondatore del museo è Dragoljub Ackovic, vicepresidente del parlamento mondiale dei rom. Il quale, in tema canali d’espressione del suo popolo, dice a Francesca Rolandi di Peacereporter:

Purtroppo i media sono pochi. Esiste una trasmissione radiofonica bilingue, in serbo e in lingua rom, di cui io sono redattore e che viene trasmessa da Radio Belgrado e una trasmissione televisiva a Novi Sad. Abbiamo una casa editrice a Belgrado che si chiama Rominterpress e che ha stampato diverse monografie, tra le quali l’opera in più volumi “I rom a Belgrado” [di cui Acković è autore]. Fino a qualche anno fa esisteva un’altra casa editrice a Novi Sad, che si è spenta con la morte del suo animatore Trifun Dimić. Direi che la maggior parte dei media sono dipesi dall’iniziativa personale di alcuni singoli. In ogni caso sono felice del fatto che abbiamo una nostra casa editrice, unica nel suo genere, e ci lavoreremo molto in futuro. I rom a Belgrado avevano due televisioni e una stazione radio, ma sono state oscurate due anni fa. La motivazione addotta era che mancava un’autorizzazione necessaria ma lo stato non si è neppure sforzato di fare in modo che ricevessero questa autorizzazione. Perché non si vuole sentire la voce dei rom, si vuole sentire solo quello che altri dicono di loro.

Per vedere qualche immagine del museo dedicato alla cultura rom di Belgrado si veda qui (gli scatti sono di Dimitrije Janicic).

Newsweek: la storia del controllo delle nascite per immagini

Standard

Estelle Griswold e Ernest Jahncke

L’evoluzione del controllo delle nascite: è una galleria di quindici immagini e brevi testi che pubblica Newsweek. Si parte del XV secolo e si arriva fino ai sistemi adottati negli USA tra il 2000 e il 2002. Nello specifico della fotografia riportata sopra (archivio Bettman-Corbis):

Nella causa Grisworld v. Connecticut (1965), la Corte Suprema degli Stati Uniti abolì la legge del Connecticut che proibiva il ricorso a contraccettivi. Il caso stabilì il “diritto dalla privacy” delle coppie sposate nella gestione della propria vita intima e familiare. Questa fotografia raffigura Estelle Griswold, consulente medico e direttrice esecutiva della clinica Planned Parenthood di New Haven, ed Ernest Jahncke, presidentessa della Parenthood League del Connecticut, che festeggiano la decisione della corte.

Per sapere qualche dettaglio in più di quella causa, si veda qui. Qui invece un articolo di American Progress che racconta la storia (anche successiva) di Estelle Griswold mentre di entrambe si parla nel libro The judicial branch of federal government: people, process, and politics di Charles L. Zelden disponibile in anteprima su Google Books.