Il generale Maletti e il tempo dei fatti declinati a rate

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Domani di Maurizio ChiericiC’è un altro personaggio della recente storia italiana che nei giorni scorsi è tornato a far parlare di sé. Anzi, più precisamente, che ha preso la parola. Si definisce un esiliato per ragioni politiche, ma la verità è che il suo trentennale soggiorno in Sudafrica deriva da una condanna, divenuta definitiva, per i depistaggi alle indagini sulla strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969.

Si tratta del generale Gianadelio Maletti, classe 1921, ex capo del controspionaggio del Sid (Servizio informazioni difesa), che da Johannesburg continua a guardare ai fatti italiani e talvolta a ricevere compatrioti per raccontare il suo pezzo di storia della strategia della tensione (lo ha fatto con vari giornalisti, magistrati e con i componenti della commissione stragi).

Ma iniziamo dalla fine. Come probabilmente molti sanno, da un anno ormai è in corso a Brescia il nuovo processo per la strage di piazza della Loggia del 28 maggio 1974. Imputati sono Maurizio Tramonte, Carlo Maria Maggi, Pino Rauti, Francesco Delfino e Giovanni Maifredi (la posizione di quest’ultimo, lo scorso maggio, è stata congelata per ragioni di salute). Ed è proprio in relazione a questo procedimento che torna in scena il generale Maletti. Il quale è in attesa di un salvacondotto che gli consenta di presentarsi, nei primi mesi del 2010, ai giudici lombardi per deporre.

In attesa di sapere se l’ex militare potrà rientrare nel Paese schivando qualsiasi conseguenza penale a suo carico, occorre fare una considerazione. E la considerazione è che la memoria – intesa in questo caso come “facoltà della mente di fare proprie esperienze e nozioni e di richiamarle al momento opportuno” (dizionario della lingua italiana Sabatini Coletti) – è una capacità curiosa. Pensate un po’ a questo generale che, mentre erano in corso i fatti a cui ha contribuito direttamente, ha parlato sempre a mezza bocca, usando termini marginali, e oggi – a quarant’anni di distanza da piazza Fontana a trentacinque da piazza della Loggia – ripesca ricordi che penseresti irrecuperabili.
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Piazza Fontana: ridare a una nazione la sua storia

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Alle 16.37 del 12 dicembre 1969, esattamente quarant’anni fa, si consumava la strage di piazza Fontana, conosciuta come la “madre di tutte le stragi”, che inaugurò dal punto di vista operativo (quello ideologico si era formato già anni prima) il cupo e sanguinoso periodo della strategia della tensione. A quattro decenni di distanza, chi sostiene che i fatti di piazza Fontana sono un mistero dice il falso o è male informato. Di quell’attentato si conoscono la matrice (Ordine Nuovo), i capri espiatori (gli anarchici e in primis Pino Pinelli e Pietro Valpreda), gli addentellati con l’intelligence nostrana e atlantica, le menzogne della politica e i tentativi di coprire le evidenze che emergevano dalle indagini a partire dal 1972.

Il lavoro che si deve fare oggi è invece quello di lavorare sui dettagli. È ciò che Simona Mammano e io abbiamo cercato di fare con Attentato imminente raccontando la storia di Pasquale Juliano, il poliziotto della questura di Padova che pagò durissimo il suo aver indagato con mesi di anticipo sulla strage sugli ordinovisti veneti. Juliano poteva evitare, forse, quei morti, ma lo fermarono. Non venne assassinato, come accadrà ad altri funzionari onesti dello Stato negli anni a seguire, ma fu fatto fuori professionalmente, gli venne impedito di fare ancora il suo lavoro mentre il lavoro già fatto veniva coperto di infamie.

I dettagli, si diceva. Ed è ciò che a tutt’oggi chiede Guido Salvini, adesso Gip a Milano e a partire dal 1989 giudice istruttore dei dibattimenti milanesi sui fatti del 12 dicembre 1969. Se la Cassazione nel 2005 ha posto fine all’iter giudiziario che vedeva imputati gli ordinovisti veneziani assolvendoli perché non era dimostrata la loro partecipazione alla strage (e aggiungeva che gli autori di quel massacro erano Franco Freda e Giovanni Ventura, però assolti per gli stessi fatti quasi vent’anni prima e dunque non più processabili), oggi si potrebbe tornare a indagare su qualche ulteriore tassello che aiuti a comporre un mosaico di cui già si vedono bene disegni e figure.
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Scala di grigio, terza puntata. Un normale eroe in divisa: Pasquale Juliano e piazza Fontana

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Domani, nel quarantesimo anniversario della strage del 12 dicembre 1969, alle 16.37 inizia su GNUFunk Radio la terza puntata di Scala di grigio – Ritratti di storie (rilasciata con licenza Creative Commons BY-SA). Si intitola Un normale eroe in divisa: Pasquale Juliano e piazza Fontana. Qui la puntata su Archive.org.

Fonti audio e brani musicali

Credits

Un ringraziamento a MSound.org e GNUFunk Radio per il supporto tecnico nella realizzazione di questa trasmissione.
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Il 12 dicembre 1969 di Andrea Comotti: altra strada verso piazza Fontana

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12 dicembre 1972Cosa accadde il 12 dicembre 1969 lo racconta Vibrisse scrivendo di un libro parte da questa data:

Nicotrain è uno scrittore. Scrive gialli che sono storie di cui ha «assaporato dal di dentro umori e colori e dolori anche». I suoi libri danno soluzioni reali a casi non ancora risolti. Uno scrittore che è un po’ investigatore e un investigatore che vuole raccontare. Nicotrain realizza il suo sogno quando si compra una casa sul lago. Apre porte, esplora, misura. In un’intercapedine trova uno scatolone di fotografie. Guarda. Riconosce. Il luogo, l’occasione, persino alcune facce: Piazza Fontana. Quel 12 dicembre. C’era anche lui quel giorno, arrivato sul posto subito dopo l’esplosione, richiamato dalle voci che già correvano. Di bocca in bocca. Di sirena in sirena, per le vie di Milano. Primi piani. Dal passato riemergono quei personaggi strani che lui stesso aveva notato.

L’autore di questo romanzo è Andrea Comotti (qui la scheda completa del libro) e per leggerlo è sufficiente scaricarlo in versione integrale da qui (in formato pdf, 3,2 MB).

Alberto Muraro e Pasquale Juliano, coloro che vennero prima di piazza Fontana

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Pasquale JulianoAll’inizio la morte di Alberto Muraro, che precipita dal terzo piano, dove vive il neofascista Massimiliano Fachini, viene archiviata come un incidente a cui ha contribuito una ringhiera troppo bassa e dunque insicura. Così si autorizza la tumulazione senza che venga disposta l’autopsia. Nel 1973, però, quando la pista nera dello stragismo italiano prenderà corpo, i giudici Emilio Alessandrini e Gerardo D’Ambrosio riapriranno le indagini e accuseranno Massimiliano Fachini e Franco Freda di omicidio premeditato. I due, però, saranno prosciolti in istruttoria nel febbraio 1977. Nonostante non si sia mai dato un nome agli assassini del portinaio di Padova, oggi viene ricordato come una «vittima preventiva di piazza Fontana».

La voce delle vociPasquale Juliano, il commissario accusato dagli eversori veneti di accanimento investigativo nei loro confronti, impiegherà dieci anni per dimostrare la correttezza della sua condotta: sarà assolto in via definitiva il 23 maggio 1979. Nato ad Ostuni nel 1932, in quel decennio vedrà dimostrata più volte la sua innocenza, ma tra i vari gradi di giudizio e l’annullamento di sentenze precedenti, dovrà ripartire ogni volta da zero nella sua difesa. Quando a fine degli anni Settanta le sue traversie giudiziarie si concluderanno, si congederà dalla polizia e si darà alla professione di avvocato fino al 1998, anno in cui muore. Avrebbe potuto evitare la strage di piazza Fontana, gli verrà chiesto nel 1996 da un cronista dell’Avvenire dopo aver raccontato la sua storia al giudice Guido Salvini? «Non lo so – risponderà –, ma stavo andando nella direzione giusta. E questo non andava bene. Non voglio certo quel monumento che mi promisero, ma almeno qualcuno potrebbe ricordarsi di me e dirmi “Juliano, ci scusi, lei aveva ragione”».
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Alberto Muraro, la vittima “preventiva” di piazza Fontana

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Alberto Muraro, la vittima preventiva di piazza FontanaAlle 7 del mattino, nello stabile di piazza dell’Insurrezione, a Padova, l’attività della coppia di custodi è già iniziata e a quell’ora le pulizie dovrebbe essere concluse. Eppure il 13 settembre 1969 la signora Onorina non ha ancora visto il marito far rientro in guardiola. Strano, deve aver pensato. E così lascia il piccolo locale che affaccia sul portone e va a controllare che sia tutto a posto. Esce, dunque, e l’altra stranezza che nota è la pattumiera, abbandonata all’ingresso. Suo marito, invece, quando spazzava e i pavimenti dell’edificio, se ne portava dietro due, sempre insieme.

Pochi passi ancora e la signora Onorina trasecola. Alberto Muraro, suo marito, ex carabiniere e poi portinaio di quello stabile, giace in fondo alla tromba dell’ascensore. E la donna capisce subito che è morto dopo essere volato da chissà quanti metri. «Ecco, è successo, Alberto l’aveva detto». È vero. La morte di Alberto Muraro è una profezia che si avvera. Solo qualche giorno prima si era confidato con un amico. «Va a finire che mi troverete precipitato dentro la tromba dell’ascensore o delle scale dopo che mi hanno dato una legnata in testa». Anche la legnata fa parte della profezia avveratasi perché la botta c’è davvero e non nel punto in cui il capo ha impattato con il pavimento.

Ma chi può voler morto un uomo tranquillo che, congedatosi dalla vita militare, si ritira a fare un lavoro certo faticoso, ma in genere privo di avventure? Alberto Muraro non è solo un portinaio, è anche un testimone. L’unico testimone di un fatto all’apparenza banale, ma che avrebbe forse potuto cambiare il corso degli anni a seguire, quelli che vanno sotto la definizione di strategia della tensione.

Due giorni dopo la sua morte, il 15 settembre 1969, avrebbe infatti dovuto presentarsi al procuratore della Repubblica di Padova, Aldo Fais, per raccontare di nuovo l’episodio a cui aveva assistito. Risaliva al 16 giugno precedente. Verso le 7 di sera, mentre Muraro era seduto in guardiola, di fronte a lui era passato un giovane. Entrava e con fare disinvolto, come se conoscesse l’edificio, si era diretto verso i piani superiori. Proprio perché sembrava conoscere la sua destinazione, il portinaio non l’aveva fermato e forse non si sarebbe nemmeno ricordato di lui se non fosse stato per la camicia a fiori che il ragazzo indossava senza giacca. Tre quarti d’ora dopo circa lo aveva visto di nuovo. Stava uscendo, questa volta, e in mano teneva un pacco avvolto nella carta.
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Piazza Fontana: un appello per la trasparenza degli archivi

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E sempre in tema Piazza Fontana, riporto qui di seguito l’appello per il 12 dicembre e il relativo manifesto per l’accessibilità e la trasparenza degli archivi nell’interesse dei cittadini che mi ha inviato Daniele Biacchessi. Per aderire va inviata una mail all’indirizzo di Daniele, dbiacchessi[at]retedigreen.com.

Premessa

Il 12 dicembre 2009 ricorre il 40° anniversario della strage di piazza Fontana. Di questa storia, oggi non esiste ancora una narrazione consolidata e condivisa. Così come non esiste per tantissime altre pagine dolorose della storia del nostro Paese. L’Italia, purtroppo è stata segnata da fenomeni eversivi di diversa matrice. Di questo passato tragico, esistono memorie divise e in conflitto tra loro. La ricerca storica è un terreno essenziale su cui impostare un confronto civile superando antiche divisioni.

Per scrivere la storia, servono i documenti, ossia le “tracce” concrete dell’attività delle istituzioni, delle forze dell’ordine, dei servizi di sicurezza e di tutti i soggetti protagonisti della vita democratica. Questa ricostruzione passa necessariamente attraverso la buona gestione degli archivi. In Italia dal 2007 il segreto di Stato è limitato a un massimo di trent’anni. Ma questo non ha risolto il problema: molti armadi in teoria sono aperti, ma non per questo sono accessibili.

L’accesso ai documenti necessari alle ricostruzioni storiche resta in moltissimi casi assai difficoltoso. Spesso ci si scontra con un segreto di stato “strisciante”, anche se, formalmente, il segreto non c’è. Esiste un nesso profondo tra la conoscenza della verità e la convivenza civile: costruire onestà intellettuale attraverso la memoria storica è essenziale per una Nazione se vuole avere cittadini attivi e consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri. La conoscenza non formale della storia recente della nostra Repubblica è uno degli elementi portanti del nostro diritto di cittadinanza.
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“Un attentato in una banca milanese. Altre esplosioni a Roma”. Voci dal 12 dicembre ’69

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Questo video mi è servito come pezzetto di documentazione per un lavoro di cui si parlerà più avanti. E riguardandolo devo dire che fa un certo effetto ascoltare e vedere la ricostruzione di un fatto in quel momento appena accaduto e dal quale ormai sono trascorsi quasi quarant’anni.