“Dial M for Murdoch”: in un libro inglese la storia di “un potere enorme e arrogante usato per intimidire e coprire”

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Dial M for MurdochÈ uscito un mese fa in Inghilterra il libro Dial M for Murdoch – News corporation and the corruption of Britain scritto dal laburista Tom Watson e dal giornalista Martin Hickman (Allen Lane). La vicenda ricostruita è quella dello scandalo intercettazioni (e non solo) che ha coinvolto e travolto il tycoon australiano Rupert Murdoch. Il libro, non ancora tradotto in italiano, viene presentato così:

Questo libro svela quali fossero i meccanismi all’interno di una delle società più potenti al mondo e il modo in cui ha esercitato la sua velenosa e occulta influenza sulla vita pubblica della Gran Bretagna. È il racconto di un potere enorme e arrogante usato per intimidire e coprire. Un potere che, divenuto evidente, ha cambiato il modo di guardare ai politici, ai servizi di polizia britannici e alla stampa. I giornali di Murdoch hanno intercettato telefoni e fregato informazioni usate poi in modo fintamente casuale per distruggere vite per anni. Fu solo dopo un triviale reportage del 2005 sul principe William che gli investigatori si imbatterono in un esteso piano criminale fatto di cinque anni di insabbiamenti che hanno nascosto e intorbidito la realtà.

Per quanto riguarda qualche recensione (sempre in inglese), se ne può leggere su BoingBoing e sull’Indipendent, per il quale Hickman lavora.

Il Guardian, il giornalismo investigativo e la privacy: le intrusioni della stampa devono essere nell’interesse pubblico

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Mario Todeschini Lalli pubblica sul blog, Giornalismo d’altri, il post Privacy e giornalismo investigativo: ecco le regole del Guardian, argomento reso più interessante alla luce di recenti accadimenti. Mario riprende alcune considerazioni di Alan Rusbridger, direttore del Guardian, che declina alcune regole valide per il suo giornale:

Noi non paghiamo per ottenere le nostre storie. Ai cronisti non è consentito di usare investigatori privati senza la mia autorizzazione. Uno dei casi estremamente rari [in cui questo è avvenuto]: ho acconsentito di utilizzare persone esterne al giornale di fronte a evidenze di corruzione nei comportamenti di una multinazionale (…).

In termini generali, penso che tanto più ampia è la possibile intrusione da parte dei giornalisti, tanto più in alto deve essere posta la barra dell’interesse pubblico. Mi piacciono le linee guida proposte dall’ex agente segreto Sir David Omand per il suo ramo d’affari. Penso siano domande che potrebbe utilmente porsi qualunque testata giornalistica.

  • Ci deve essere una una ragione sufficiente: l’intrusione deve essere giustificata dalle dimensioni del danno potenziale che potrebbe risultarne.
  • Ci deve essere una integrità di motivazione: l’intrusione deve essere giustificata nei termini del bene pubblico che ne deriverebbe.
  • I metodi utilizzati devono essere proporzionati alla serietà della vicenda e alla sua rilevanza pubblica, usando il minimo di intrusione possibile.
  • Ci deve essere regolare autorizzazione: ogni intrusione deve essere autorizzata a un livello sufficiente alto ed essere tenuta sotto controllo [dall’autorità stessa] in maniera adeguata.
  • Ci devono essere ragionevoli prospettive di successo: non è consentita la pesca a strascico.

Il post completo è qui.

Bestie e fenomeni del circo mediatico: un Grande Fratello è uscito dalla “casa” e si è insediato ad Avetrana

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Domani di Maurizio ChiericiSi scorrono i giornali. Nei giorni scorsi è partito il Grande Fratello, edizione numero 11, e ha fatto il pieno di ascolti (sarà che funzionano le provocazioni del figlio del camorrista o dell’ex operaio licenziato trasformatosi in gigolò, in mezzo a bellone e bellini). Ma – tra le cariche di Terzigno, dove la brutalità fa passare un po’ sotto silenzio il motivo della gente in strada (le discariche e l’eterna emergenza rifiuti), divorzi multimilionari, contratti Rai difficoltosi o indagini che ben più spazio meriterebbero (come quella sullo Ior e sulla P3) – continua a esserci il caso diventato giallo d’autunno, l’affaire Avetrana.

Una storia in cui – faceva notare Natalia Aspesi su Repubblica – la vittima esce di scena, come in un thriller qualunque perché la ribalta vuole al centro gli assassini o quelli che si crede tali. E allora la cugina – quella comparsa così tante volte in televisione nei quarantadue giorni della scomparsa, quando ancora non si sapeva della morte di Sarah Scazzi, la quindicenne strangolata e gettata in un pozzo – si conquista il titolo di “novella Anna Maria Franzoni”. Si parte alla caccia delle espressioni del volto, come nel caso della madre condannata per il delitto del figlio di tre anni, assassinato nella sua casa di Cogne il 30 gennaio 2002. Saranno vere le lacrime? Tutta quell’apparente sicumera a telecamere accese nascondeva qualcos’altro? Il sorriso a mezza bocca, come in una qualsiasi conversazione un po’ formale e per nulla personale, non è indizio di colpevolezza?

Le telecamere, su quel ritaglio di Puglia, continuano a essere costantemente accese. Anche su fenomeni conseguenti e non diretta causa di questo delitto (e a tenere loro compagnia sono giunti pure gli immancabili “plastici” di Bruno Vespa, conduttore di una trasmissione ribattezzata in rete “Morta a morta”). Qualche anno fa, un giornale di provincia (questa volta era al nord, in Lombardia, zona di produzione dei vini) riportò, in un trafiletto degno di poco spazio e poca nota, la dichiarazione di un viticoltore: affermava di aver avuto un incontro ravvicinato del terzo tipo. Sì, proprio quello con il genere alieno. Un po’ di folclore che sui giornali di provincia trova sempre posto, per quanto trattato discretamente e con una vena di ironia. La “notizia”, se così si può chiamarla, venne ripresa non da testate assolutamente divertenti e avvezze alle “stranezze”, come il tabloid inglese “News of the World”, ma dalle pagine lombarde di un serioso quotidiano nazionale: mezza pagina in taglio basso.
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