Lsdi pubblica un’intervista realizzata da Valentina Barbieri (foto di Paolo Barbuio) a Vera Politkovskaja, figlia di Anna Politkovskaja, la giornalista uccisa il 7 ottobre del 2006 a Mosca. La giovane russa, che fa lo stesso mestiere della madre, ha partecipato lo scorso 14 maggio a un incontro che si è tenuto a Vittorio Veneto (Treviso) e intitolato Libera stampa!, organizzato dall’associazione Mondo in Cammino e patrocinato dalla stessa Lsdi. Di seguito il testo completo dell’intervista.
Pensa che il giornalismo russo sia cambiato dopo la morte di Sua madre? Se sì, in che modo?
Sì, è cambiato e non certo in positivo. Già prima della morte di mia madre si notava una tendenza generale al peggioramento, anche in seguito è proseguito nella stessa direzione. Nel nostro paese la libertà di stampa è un problema grave. Ogni giornalista si trova di fronte ad un bivio: può scegliere la carriera e scrivere quello che gli dicono oppure può fare una scelta diversa, scrivere quello che trova giusto e occuparsi di quello che gli interessa. Le conseguenze sono diverse: nel primo caso guadagnerà un posto di prestigio (ovvero statale), nel secondo caso potrebbe finire male.
L’ultima antologia di Anna Politkovskaja è intitolata “Vale la pena morire per il giornalismo in Russia?” Se oggi dovesse dare una risposta a questa domanda, quale sarebbe?
Non posso rispondere di sì, che ne vale la pena, perché lo vivo come una figlia a cui è mancata la madre. Per quanto riguarda il mio vissuto di giornalista, cerco di evitare qualsiasi confronto tra l’esperienza di mia mamma e la mia. Non ho la sua ricchezza professionale, trent’anni di attività, la sua grande esperienza. Lei lavorava a modo suo, in una maniera personale, io lavoro in un altro modo, il mio.
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