All’inizio la morte di Alberto Muraro, che precipita dal terzo piano, dove vive il neofascista Massimiliano Fachini, viene archiviata come un incidente a cui ha contribuito una ringhiera troppo bassa e dunque insicura. Così si autorizza la tumulazione senza che venga disposta l’autopsia. Nel 1973, però, quando la pista nera dello stragismo italiano prenderà corpo, i giudici Emilio Alessandrini e Gerardo D’Ambrosio riapriranno le indagini e accuseranno Massimiliano Fachini e Franco Freda di omicidio premeditato. I due, però, saranno prosciolti in istruttoria nel febbraio 1977. Nonostante non si sia mai dato un nome agli assassini del portinaio di Padova, oggi viene ricordato come una «vittima preventiva di piazza Fontana».
Pasquale Juliano, il commissario accusato dagli eversori veneti di accanimento investigativo nei loro confronti, impiegherà dieci anni per dimostrare la correttezza della sua condotta: sarà assolto in via definitiva il 23 maggio 1979. Nato ad Ostuni nel 1932, in quel decennio vedrà dimostrata più volte la sua innocenza, ma tra i vari gradi di giudizio e l’annullamento di sentenze precedenti, dovrà ripartire ogni volta da zero nella sua difesa. Quando a fine degli anni Settanta le sue traversie giudiziarie si concluderanno, si congederà dalla polizia e si darà alla professione di avvocato fino al 1998, anno in cui muore. Avrebbe potuto evitare la strage di piazza Fontana, gli verrà chiesto nel 1996 da un cronista dell’Avvenire dopo aver raccontato la sua storia al giudice Guido Salvini? «Non lo so – risponderà –, ma stavo andando nella direzione giusta. E questo non andava bene. Non voglio certo quel monumento che mi promisero, ma almeno qualcuno potrebbe ricordarsi di me e dirmi “Juliano, ci scusi, lei aveva ragione”».
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