Testimoni di giustizia: “È il momento che il loro valore venga riconosciuto e che possano tornare a vivere”

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Questo testo è stato scritto da Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia contro la camorra. E dato che lui sa cosa significa denunciare le mafie, merita che il suo scritto venga letto e diffuso. Eccolo.

Che emozione vedere tanta gente unita contro quella mentalità mafiosa e omertosa che rende i criminali sempre più invisibili. Quelle voci dei tanti giovani presenti, il rivedere amici che mi sono stati vicino in questo duro e tortuoso percorso è stato come rinascere. Che bello aver incontrato Claudio, Giovanni, Enza, Ilaria, Francesco, Beppe, Luigi e tanti altri, l’aver potuto riabbracciare Don Luigi ed ascoltare le parole di Rodotà che come sempre lasciano il segno.

Esserci non era un capriccio, esserci per me era l’espressione di libertà, di quella libertà di cui troppo spesso sono privato, il rivivere quella vita normale, il poter riassaporare il gusto della libertà, che non ha prezzo. Io ero presente a Contromafie 2014, lì immerso nella platea, sereno, e quando Don Luigi Ciotti ha voluto con forza ricordare nelle sue parole che dei testimoni di giustizia non sarebbero stati autorizzati a venire all’evento, il mio pensiero è subito andato a chi non ha potuto esserci, a chi, vittima della negazione, ha subito l’ennesima umiliazione che fa parte di quel modus operandi che troppo spesso è regola fissa e che prende le forme di un ricatto.
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“Pizza, sangue e videopoker”: in un libro la scalata della ‘ndrangheta a Vigevano e alla Lombardia. E la storia (vera) del vicequestore Giorgio Pedone

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Pizza, sangue e videopokerLo hanno scritto tre giornalisti – Andrea Ballone, Carlo E. Gariboldi e Simone Satta – e si intitola Pizza, sangue e videopoker – Come la ‘ndrangheta si è strutturata al Nord, da Vigevano in Lombardia (edizioni La Barriera). Racconta una storia, complessa e articolata, che per tanto tempo si è pensato potesse esistere solo al sud. E invece no, anche la provincia di Pavia, per quanto non si sia voluto vederlo per tanto tempo, è infiltrata. Forse ormai lo è al punto che, come racconta Giacomo Di Girolamo, è diventata una Cosa grigia (dal titolo del suo libro) dove l’infiltrazione non esiste più perché ormai uno stadio superato, un livello completato per passare al successivo.

Ma il merito del libro, per il quale è stato creato anche un blog, è quello di raccontare anche un’altra storia. È quella del vicequestore Giorgio Pedone, morto apparentemente suicida il 14 agosto 1991. Era nato a Foggia 53 anni prima e 14 li aveva trascorsi a Vigevano, dopo esserci arrivato il 1 febraio 1977. Per lui si approssimava il trasferimento, con la partenza per l’ufficio passaporti della questura di Trieste. Inoltre, prima della sua morte, i giornali avevano scritto non poco della presunta professione della figlia Gilda, descritta in termini troppo hard – si disse – perché un servitore dello Stato potesse sopportarlo. E invece Pedone, trovato nel cortile dell’abbandonata cascina Dojola, nel comune di Gambolò, a poca distanza distanza dal santuario del Crocifisso, potrebbe essere stato ucciso con un colpo di pistola alla fronte perché, da quasi dieci anni, indagava e mappava le mafie che avevano preso possesso di quel pezzo di territorio della Lombardia meridionale. Scriveva infatti il 5 marzo 1984:
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“Urla a bassa voce” a cura di Francesca De Carolis: riflessioni su carcere, ergastolo e 41 bis

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Urla a bassa voceEsce il prossimo 29 agosto il libro curato da Francesca De Carolis e intitolato Urla a bassa voce – Dal buio del 41 bis e del fine pena mai. Attraverso trentasei testimonianze di detenuti con condanne all’ergastolo, questo è il sunto di ciò che si vuole raccontare:

A trent’anni dall’introduzione del reato di associazione mafiosa e dopo 20 anni dall’inasprimento delle leggi per combattere la criminalità organizzata, tra cui il 41 bis, questa è la prima testimonianza collettiva di ergastolani, condannati per reati legati alla criminalità organizzata, che hanno scelto di non essere collaboratori di giustizia. In un momento in cui con sempre maggiore drammaticità si pone il problema dell’affollamento delle carceri italiane e delle condizioni di chi vi è detenuto, i loro racconti aprono una riflessione sulla condizione fisica e morale di chi è condannato a morire in carcere. Una riflessione sul senso della pena e sulla necessità del rispetto dei diritti che la nostra Costituzione garantisce per tutti, indipendentemente dalla configurazione dei reati commessi.

La prefazione è stata scritta da don Luigi Ciotti del Gruppo Abele e Libera.