In procura a Napoli ne sono certi. Per i pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia Paolo Itri e Sergio Amato e per il procuratore aggiunto Sandro Pennasilico la strage di Natale del 23 dicembre 1984 fu targata cosa nostra. E della solidità del quadro investigativo ne è convinto anche il gip Carlo Modestino, che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare notificata questa mattina in carcere al boss Toto Riina, il leader dei corleonesi accusato di essere il mandante di quella strage.
Il cui obiettivo – stando agli inquirenti partenopei – non sarebbe stato quello di “destabilizzare per stabilizzare” lo status quo politico italiano e internazionale, come nel caso della strategia della tensione degli anni Settanta. Ma avrebbe avuto un altro scopo: intimidire Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che, sulla scia del sangue versato con la cosiddetta “seconda guerra di mafia”, avevano iniziato con le attività investigative che avrebbero portato due anni più tardi al maxiprocesso di Palermo, iniziato il 10 febbraio 1986 e conclusosi il 16 dicembre 1987.
I magistrati assassinati nel 1992 non si fecero però impressionare dall’attentato del 1984 tanto che all’apertura delle udienze, nell’aula bunker dell’Ucciardone, portarono 475 imputati sui quali pendevano 438 capi di imputazione (di cui 120 per omicidio). E a sentenza, pronunciata dopo 35 giorni di camera di consiglio (e le cui motivazioni richiesero 8 mesi di lavoro a Pietro Grasso, dal 2005 procuratore nazionale antimafia), vennero comminati 19 ergastoli e migliaia di anni di carcere.
Continue reading