Declassificazione degli atti sulle stragi: ma quale disclosure? La direttiva Renzi, la trasparenza e la beffa

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La strage di piazza della LoggiaA fine aprile la direttiva Renzi sulla declassificazione degli atti sulle stragi veniva presentata come la più grande operazione di “disclosure” della storia italiana. A sette mesi di distanza, sembra invece un bluff. Ecco il testo di due articoli pubblicati oggi a pagina 24 dal quotidiano La Repubblica. Uno è a firma di Alberto Custodero e si intitola “Il giallo dei faldoni di Piazza della Loggia” mentre il secondo è il commento di Filippo Ceccarelli “L’armadio vuoto dei misteri d’Italia. Così la trasparenza diventa una beffa”. Eccone i testi in integrale.

Il giallo dei faldoni di Piazza della Loggia
Desecretati i documenti del ministero della Difesa: ma dentro ci sono solo vecchie carte sui rapporti internazionali del Pci Nessun riferimento a neofascisti e servizi segreti deviati. E nei dossier le stragi degli anni Settanta vengono definite “Eventi”
Alberto Custodero

Roma – Sorpresa. Tra i carteggi segreti del Ministero della Difesa (resi pubblici dalla direttiva Renzi) sulla strage di Piazza della Loggia, ci sono per la maggior parte documenti sul Partito comunista. Ma quella strage, come quella di “Piazza Fontana” e tante altre del periodo della “strategia della tensione”, non portavano forse la firma di estremisti di destra, ordinovisti in odor di servizi segreti?

All’Archivio Centrale dello Stato nei mesi scorsi erano stati desecretati i documenti del ministero degli Affari Esteri su Ustica. E quelli su Ilaria Alpi. Ora la discovery riguarda il dicastero di Roberta Pinotti. Ma aprendo quei faldoni delle Forze Armate, si scopre che sul frontespizio delle cartelline, le stragi a cavallo degli anni Sessanta e Settanta (Piazza Fontana a Milano. Piazza della Loggia a Brescia. Peteano in Friuli), sono state relegate a “eventi”. Mentre il disastro del Dc9 Itavia precipitato a Ustica, con ogni probabilità colpito da un missile, è stato relegato a “incidente”.

La cartellina sull'”Incidente aereo Dc9″ contiene un documento della “Commissione per gli esperimenti del materiale di guerra” che conferma che in mare, mentre il Dc9 volava sui cieli di Ustica, si trovavano navi militari italiane dotate di missili e razzi. Si tratta, infatti, dell’elenco di tutti gli «esplosivi potenzialmente presenti a bordo delle unità navali della Marina Militare Italiana coinvolte nelle operazioni di soccorso nel disastro aereo di Ustica». Si viene a sapere da questo elenco che le navi dei “soccorritori” della Marina erano dotate di razzi “105mm MRC” e “LRI”, di missili HT-R ed SM-1 (ER) per sistema Terrier. Di missili Aspide e Sparrow per sistema Nato Sparrow, e missili Teseo.

Il contenuto del faldone “Evento Piazza della Loggia” lascia sgomenti. Sfogliando le carte sull’attentato terroristico che il 28 maggio 1974 provocò a Brescia la morte di otto persone e il ferimento di altre centodue, si leggono solo decine di pagine contenenti informazioni sul Partito comunista a partire dal Dopoguerra. Documenti — viene spiegato — che furono richiesti alla Difesa nel febbraio del 2002 dall’allora procuratore della Repubblica di Brescia, Giancarlo Tarquini. Fra questi, un appunto del 27 luglio 1950 del servizio informazioni dell’Esercito, firmato generale Mario Pezzi (ex eroe dell’aeronautica durante il Fascismo), «notizie su vari enti commerciali stranieri in Italia in collegamento con i servizi segreti Polacchi e con il Pci». Poi un analogo appunto sulla «perequazione di quadri Pci». Quindi una nota sull’attività anti-Ced del Pci. Infine una relazione sulle «attività del Pci in direzione della Rai Tv». Il dossier contiene anche scambio di lettere del 1975 tra Moro, premier, e Forlani, ministro della Difesa, sulla opportunità di apporre il segreto politico militare sui «contatti con personaggi esteri» di un indiziato nel processo Valpreda (le cui generalità non sono note), in quanto «potrebbero suscitare, se rese pubbliche, notevoli complicazioni con le nazioni interessate».

Nelle cartellina intitolata “Evento Peteano” sono raccolte informazioni richieste alla Difesa nel 1990 dall’allora giudice istruttore di Venezia Felice Casson (oggi senatore Pd), sui depositi di armi dei servizi segreti nel Nord-Est. E su reti segrete post- belliche come l'”Organizzazione O” del Colonnello Olivieri. Nel fascicolo “Evento Piazza Fontana”, invece, c’è il carteggio della Difesa del 1970 che, in punta di diritto, non riteneva di doversi costituire parte civili nel processo contro gli imputati della Strage alla Banca dell’Agricoltura.

L’armadio vuoto dei misteri d’Italia. Così la trasparenza diventa una beffa
Il commento di Filippo Ceccarelli

L’apertura degli armadi segreti è una gran bella iniziativa e un doveroso tributo alla democrazia, tanto più se l’operazione trasparenza inaugurata dal governo riguarda la declassificazione degli atti segreti sulle stragi che insanguinarono l’Italia dal 1969 al 1984. L’annuncio venne dato personalmente dal premier Renzi il 22 aprile scorso in una conferenza stampa a Palazzo Chigi, seguirono una nota su Facebook e la foto della direttiva pubblicata su Twitter. Alla novità fu dato il giusto risalto, venne creata una specifica commissione e si crearono parecchie, legittime aspettative.

Il 15 maggio il sottosegretario della Presidenza del Consiglio Marco Minniti, Autorità delegata per la Sicurezza della Repubblica, spiegò che la mole di materiale era notevole assicurando che la sospirata « disclosure », più e più volte promessa da vari governi, avrebbe di certo «consentito al cittadino comune di andare all’Archivio di Stato non per trovare una verità giudiziaria, ma per ricostruire una storia politica del nostro paese ». Chiunque abbia lavorato sulle carte desecretate degli archivi americani o inglesi sa benissimo che è così: lì dentro si apprendono e si imparano molte cose, non di rado perfino sorprendenti.

Ma in Italia, evidentemente, no. A dispetto di qualsiasi proclama e impegno, una volta aperti gli armadi, viene quasi voglia di richiuderli. O almeno: come ha scoperto Repubblica, nel fascicolo finalmente consegnato dal ministero della Difesa sulla strage di Brescia (maggio 1974) si trova un materiale che può definirsi: preistorico, misero, quindi non solo inutile, ma anche grottesco nella sua misteriosa entità.

In concreto: cosa diavolo c’entreranno mai con piazza della Loggia le indagini effettuate dal Sifar tra il 1950 e il 1952 sulle sue iniziative commerciali del Pci con l’Est? Alcuni dei personaggi menzionati, oltretutto, Eugenio Reale e Spartaco Vannoni, futuro amico di Craxi e direttore dell’hotel Raphael, di lì a qualche anno uscirono pure dal partito.

Ancora. Quale sarà il nesso tra la bomba e una nota in cui il leggendario capo dell’Ufficio Quadri di Botteghe Oscure, Edo D’Onofrio, si diffonde sulla perequazione degli statali comunisti trasferiti per punizione (1952)? E la Commissione Europea di Difesa? Qui siamo al 1954: sulla Ced uscì dalla Dc Mauro Melloni, il futuro Fortebraccio. Viene da pensare: ma allora tutto! E infatti ecco un appunto del 1968 sul Pci che invoca la riforma della Rai. E poi un arcano e monco carteggio svoltosi nel 1975 e 1976 tra Moro e Forlani a proposito del segreto di Stato da apporre su qualcosa che si comprende ancora meno del resto.

Questa la sbandieratissima declassificazione all’italiana? La s’indovina in bilico tra caos, inerzia, cialtroneria, gelosia di burocrati, insipienza archivistica e/o spionistica, come se una mano avesse pescato e inserito a caso. Comunque una beffa o una truffa per chi abbia ancora nelle orecchie lo scoppio della bomba e le grida terribili dei feriti. Un rotolone polveroso e vano. Un cestino di cartacce. O forse un rebus, una lotteria. Si attendono i nuovi arrivi, magari nel dossier sui traffici del Pci si troverà qualcosa di interessante sul terrorismo a Brescia e dintorni.