Omicidio Bruno Caccia, quando il “mistero italiano” poteva non essere tale

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Gli arresti per il delitto caccia

Due fascicoli. Uno ha già dato vita a un processo in Corte d’Assise. Dunque il reato non è nemmeno per idea bagatellare, ma è grave, un omicidio premeditato, e in questo caso c’è un imputato. E poi ce n’è un altro, di fascicolo, in cui l’imputato di cui sopra, sempre lo stesso, è ancora “soltanto” indagato. E sempre lo stesso è il pubblico ministero. Anche il delitto – l’omicidio di Bruno Caccia – non è che possa cambiare più di tanto. Roba da rompicapo giudiziario o, poco poco, da stress test del codice penale e di procedura penale con tanto di giurisprudenza citata.

Eppure la vicenda – l’omicidio del procuratore di Torino, consumato il 26 giugno 1983 – avrebbe dovuto essere trattata diversamente. Come dovrebbe essere trattata ogni vicenda giudiziaria in cui ci sono vittime, parenti delle vittime e persone sottoposte a giudizio che sono innocenti fino a sentenza definitiva. Un insieme di umanità che, partendo dalla specificità della propria posizione, merita tutta l’attenzione possibile perché il carcere è il carcere, un’accusa è terribile e un innocente in galera non serve a nessuno. Come a nessuno serve la scarcerazione – richiesta e stoppata – di un sospetto colpevole contro cui si può usare ormai poco.

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Piazza Fontana, Salvini: quei pezzi di verità mancanti che non si stanno cercando abbastanza

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Piazza Fontana: nessuno e' statoDue settimane fa, in occasione del quarantaduesimo anniversario della bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, è stata presentata la quinta edizione del libro Piazza Fontana: nessuno è stato di Fortunato Zinni, nel 1969 assessore al bilancio del Comune di Bresso e commissario della commissione interna centrale dell’istituto di credito in cui alle 16.37 esplose l’ordigno che uccise 17 persone e ne ferì 88.

Nel volume è riportato anche un saggio di Guido Salvini, il giudice istruttore che riaprì le indagini su quell’attentato. Il testo del magistrato si intitola Piazza Fontana o della perseveranza e si concentra su tre eventi. La fine del lavoro di digitalizzazione degli atti del processo di Catanzaro, una “fotografia insostituibile della storia dell’Italia contemporanea”. E – sottolinea Salvini – “i nove cd, per una incomprensibile resistenza, sono ancora considerati dal ministero copie di atti giudiziari e non atti pubblici” vanificandosi così, per adesso, il senso dell’iniziativa.

Inoltre a tutt’oggi non c’è ancora traccia di un’altra iniziativa: la rimozione del segreto di Stato dando piena attuazione alla legge 124 del 2007 che riforma i servizi segreti e ciò che deve rimanere riservato. Come già ribadito altrove, sono ancora molti gli archivi da declassificare e rendere, se non pubblici, almeno fruibili al ricercatori. “Per rendere realizzabile la proposta”, scrive Salvini, “basterebbe poco. Sarebbe sufficiente che il ministero della cultura […] potesse nominare una commissione formata da storici, studiosi ed esperti di ricerche d’archivio, autorevoli e indipendenti […]. Sarebbe uno strumento semplice […] e un passo importante per la ricerca di ‘più verità'”.

Infine un riferimento alla richiesta presentata nel 2009 alla procura di Milano dai familiari delle vittime di piazza Fontana per la riapertura delle indagini. “Nuovi documenti”, dice ancora il magistrato, “e nuovi testimoni sono infatti apparsi e altri, anche in modo spontaneo, sono emersi anche di recente. Nuove piste investigative percorribili si sono delineate, che non possono sfuggire a chi ha esperienza di queste cose”. Ma nulla è avvenuto. “Una scelta [che] sembra la continuazione di quanto avvenuto negli anni Novanta, quando le nuove indagini […] furono considerate meritevoli di poca attenzione […] incidendo non poco sull’esito finale” e allontanando “frammenti di verità” che invece devono ancora oggi essere cercati.

Il saggio completo di Guido Salvini è scaricabile in formato pdf (2,8MB) da qui.