Le testimonianze dirette come strumento per cercare di rispondere a interrogativi rimasti inevasi. È la tecnica adottata dai giornalisti Salvatore Lordi e Annalisa Giuseppetti per scrivere il libro Fiumicino 17 dicembre 1973 – La strage di Settembre Nero, uscito lo scorso novembre per i tipi di Rubbettino. Partiamo dai fatti: erano le 12.50 di quel giorno di fine ’73 quando un gruppo dell’organizzazione creata da alcuni fedayn palestinesi lanciò due bombe al fosforo contro un aereo della PanAm, in sosta a Roma. Furono trentadue le vittime e diciassette i feriti e non finì qui perché di seguito venne dirottato un veivolo della Lufthansa e i conti vennero resi solo il giorno successivo, a Kuwait City.
Dopo la prefazione scritta da Sandro Provvisionato, una premessa curata da Daniela Stanco, un’introduzione e una serie di capitoli che contestualizzano storicamente gli eventi di quei giorni, la seconda parte inizia le interviste. Il primo a parlare è il giudice Rosario Priore che della strage di Fiumicino si occupò e che torna a parlare dei rapporti tra fedayn e Brigate Rosse. Su cui dice: «[L’appoggio delle Br] non è accertato, ma possiamo ritenere che sia probabile. […] È difficile che questi signori abbiano potuto attraversare il valico di frontiera […] con le armi addosso; l’appoggio doveva essere qui in Italia». E poi la parola passa al superstite Luigi Peco, a Mario Berardinelli, ai tempi trentunenne capitano della guardia di finanza in servizio a Fiumicino, a Nello Ceccarelli, vicebrigadiere sempre delle Fiamme Gialle, e all’ex vigile del fuoco Giuseppe Denaro (che commenta: «Secondo me le bombe non sono state lanciate all’interno, ma qualcuno le ha messe precedentemente»). Quindi ci sono le parole di altri – loro malgrado – protagonisti e/o testimoni di quei fatti.
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