“Il brevetto” di Andrea Capocci: e fu così che l’invenzione cessò di essere bene comune per diventare una merce

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Il brevettoSi parla di smartphone ma anche di Ogm, di computer e di farmaci, di cibo e di fumetti. Il tutto nel libro Il brevetto di Andrea Capocci in uscita per i tipi di Ediesse:

Grazie al brevetto, un’invenzione cessa di essere un bene comune per diventare una merce da scambiare sul mercato. Secondo alcuni, il brevetto rappresenta uno stimolo fondamentale all’attività di innovazione tecnologica, ma, come tutti i monopoli, esso limita la competizione tra le idee innovative e può rallentare la diffusione del progresso. Per farsi un’opinione sui brevetti, dunque, occorre esaminarne costi e benefici sulla base di dati oggettivi e senza pregiudizi ideologici.

Il dibattito sul brevetto dura sin dal Rinascimento e ha visto prevalere ora l’una ora l’altra posizione. Le nazioni e i gruppi sociali che dai brevetti traggono vantaggio o ne subiscono le conseguenze mutano continuamente. Gli Stati Uniti, l’Europa e il Giappone, che hanno scritto le regole del sistema brevettuale globale, devono ora fronteggiare la competizione della Cina, dell’India e degli altri paesi emergenti, che chiedono regole nuove. Gli sviluppi della tecnologia, dall’informatica alla genetica, spingono questo dibattito in territori finora sconosciuti e pongono nuove domande alla politica, al diritto e all’economia.

Pubblicato nella collana Fondamenti, un estratto del libro è disponibile qui.

La rete e i lucchetti: dal software ai brevetti fino a oggi, con l’informazione sui social media. Ma il passato insegna che non funzionano

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Viene segnalato l’intervento di Fabrizio Goria su L’Inkiesta. Argomento: Ma davvero Reuters voleva mettere il bavaglio ai miei tweet? Scrive Goria:

Twitter sta rivoluzionando il mondo del giornalismo. Con la sua velocità e la sua capillarità, riesce a raggiungere qualsiasi angolo. Ma può capitare che un colosso come Thomson Reuters decida di prendersela con i reporter, come me, che citano l’agenzia stampa per diffondere news, minacciando azioni legali. L’agenzia di stampa poi, per fortuna, fa marcia indietro dopo che i suoi stessi giornalisti si mostrano sorpresi per l’iniziativa. Ma la storia evidenzia i problemi che hanno i media tradizionali a muoversi nell’innovazione tecnologica e soprattutto in Twitter, che a differenza di Facebook, è un social media e non un social network.

Spunti interessanti che riprongono una questione affrontata con i brevetti sul software (e dunque sulle idee, ma bon solo, si ricordi per esempio quelli sulle pratiche yoga di diverso tempo fa), l’irrigidimento delle norme sul diritto d’autore e anche le recentissime proteste anti-Acta. Sarebbe da formulare un lungo discorso sull’innarestabilità dell’innovazione (e sull’inutilità dei lucchetti: riuscirono per esempio negli anni Novanta ad impedire la diffusione della cifratura di PGP? Pare di no). Ma rimane il discorso che, per quanto impedimenti si possa porre, la diffusione delle informazioni in Rete è qualcosa a cui non si può porre sbarramento. E deve essere così.

L’assurdo giuridico: la tradizione dello yoga difesa a colpi di brevetti

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Old School YogaNegli Stati Uniti da tempo ci si stava provando, ma gli indiani devono aver pensato che, se qualcuno deve detenere brevetti (sì, proprio quel titolo che conferisce un monopolio temporaneo sulle invenzioni) sulle posizioni dello yoga, quelli devono essere loro. Così, riferisce il britannico Telegraph:

l’India ha creato un team di diversi guru hindu e di 200 scienziati per individuare tutte le antiche posizioni yoga o asanas. Lo scopo è quello di registrarle per fermare i “pirati dei brevetti” che rubano la “conoscenza tradizionale”.

Il giro d’affari, del resto, non è indifferente. Ancora dalle colonne del giornale inglese si legge che a partire dagli anni sessanta, con l’introduzione dello yoga in Gran Bretagna e negli Stati Uniti a opera di George Harrison dei Beatles, si è creato un circuito che a oggi vale 225 milioni di dollari. Dunque, con il tempo, nei soli USA, sono stati concessi 130 brevetti e sono stati registrati 2300 marchi in tema mentre in oriente le stesse pratiche vengono ancora esercitate come disciplina pubblica che i maestri insegnano nei parchi e in luoghi aperti. E l’obiettivo che si è data la Traditional Knowledge Digital Library indiana è quella di arrivare entro il 2009 ad almeno 1500 brevetti.

Lo sfruttamento delle conoscenze e delle culture tradizionali a scapito di chi questo patrimonio lo possiede non è argomento nuovo. Ne ha approfonditamente parlato Philippe Aigrain per esempio nel suo Causa Comune (qui il link per scaricare il pdf del libro, che è rilasciato con licenza Creative Commons), rilevando come, nel mondo del biologico e dell’agroalimentare, sia guerra aperta in fatto di brevetti e modalità di coltivazione popolare. Nel libro di Philippe si legge per esempio a proposito delle guerre del riso:
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