La sostenibilità in città e il paradigma vegetale di Oscar Marchisio

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La forma dell'urbanoOscar Marchisio se n’è andato da un mese e mezzo, ma il suo lavoro continua a creare momenti di dibattito. Domani, alle 18, alla Festa dell’Unità di Bologna si discuterà di La sostenibilità in città. Il paradigma vegetale, incontro con Andrea Segrè e Daniele Ara che partirà del libro La forma dell’urbano. Per intanto qui un suo ricordo.

Per settimane, dopo la sua morte, molte testate nazionali hanno dedicato in sua memoria, articoli e testimonianze firmate da autorevoli figure del grande mondo della sinistra. Amici. E compagni. Come Oscar Marchisio. Da questa pagina, anch’io, nel mio piccolo spazio, di metalmeccanico, di fabbrica, voglio scrivere. E di quell’ultima volta che lo sentii al telefono. Su tutte le prime pagine di fine luglio, si scriveva di un lavoratore che si era suicidato per un imminente perdita del posto di lavoro. Oscar Marchisio mi telefonò subito.

“Giuliano, dobbiamo fare qualcosa. Non possiamo permettere che queste cose accadono. Capisci, è tutto un sistema che non funziona”. In realtà, Oscar Marchisio di cose ne aveva già realizzate tante. E tante ancora erano nei suoi infiniti progetti. E così vorrei che tutti sapessero di quella cooperativa in pieni USA, dove il dramma delle torri gemelle aveva causato anche perdita di posti di lavoro. E Oscar Marchisio aveva costituito una cooperativa di gestori di un ristorante. Nel paese più democratico del mondo, non sapevano cosa fosse una cooperativa. E allora li portò in Italia a fare un corso sul mondo della cooperativa. E così vorrei dire anche di quando propose di creare una grande centrale fotovoltaica che rendesse l’Emilia Romagna autosufficente sul piano energetico.
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Considerazioni su un operaio suicidato

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Barricata di Francesco De VincenziIncidente a Massa nelle prove in Ungheria, la foto sequenza e i soccorsi, la TAC è positiva. Massa sta bene. Vince Hamilton, Raikkonen secondo. Primo, Luca Disarò, suicidato impiccandosi il 22 luglio 2009. Per te non ci sono parole. “Manca l’aria. Manca un grido, manca un Dio” da Il ghetto, di Alberto Radius, 1977.

Tra questa merda che ci inonda la vita, dove le congiunzioni parademocratiche ci indicano la strada, ti abbiamo perduto di vista per un attimo. Noi, già dispersi ma ignari, credevamo averti al nostro fianco. Manca l’aria di quegli anni. Manca un grido di lotta. Dio c’è. Invece. Dio c’è sempre. A rakkogliere i nostri morti, la nostra morte. Non chiedere cosa faremo per te. Noi non faremo niente. La TAC è positiva. Non chiedere cosa diremo a tuo padre. Vince Hamilton. Per te non ci sono parole. Non chiedere come sopravviverà tua madre. Le porteremo la foto sequenza e i soccorsi. La tua korsa è terminata. Non chiederci dove andremo domani a lavorare.

Torneremo alla Chloride. Dove le Ronde chiedevano a te di andartene via. Dove le Ronde chiedevano a te quello che domani chiederanno a noi. Dove le Ronde pregano Dio. Dio non manca mai. Per te non ci sono parole. Questa è una situazione che non possiamo combattere. Dio è forte. Loro sono figli di Dio. Figli di puttana. Ma se un giorno troveremo barrikate davanti ai nostri kancelli, sapremo che Dio è morto. Allora combatteremo ad armi pari. Allora sì. Allora sì, che faremo qualcosa per te. E non sarai più il ragazzo che si è suicidato. Allora sì che faremo qualcosa per tutti quelli come te. Taglieremo forse in ritardo la corda che ti ha ucciso. Ma la taglieremo.

Torneremo ancora alla Chloride. Ma sarà solo per combattere una battaglia. Faremo qualcosa per te. Io non andrò da tuo padre. Non andrò da tua madre. Ma andrò a combattere ciò che avrei dovuto fare prima della tua morte. Noi tutti dovremo andare nelle piazze a chiederti perdono. Io non andrò da tuo padre. Non potrei guardarlo. E non inseguirò la mia colpa cercando tua madre. Perché avrò vergogna. Voglio dirtelo. Queste cose devo dirtele. Ma tu dovrai dirmi che mi hai perdonato. E solo così potrò vincere il loro Dio. Non andrò nella tua casa. Io forse non arriverò mai primo. Forse non vincerò mai. Forse non avrò mai soccorsi e fotosequenze. Ma forse mi ricorderai, quando avrò tra le mani quella corsa che avresti dovuto correre insieme a me. Ma non potrò mai andare nella tua casa. In questo maledetto paese, dove i padri seppelliscono i figli.

Presidente, sono qui davanti a te, tuo kamikaze

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Kamikaze colorzCampo, a me, squarcio, campo santo, di me, maceria interrata, campo militare, esperimento fascista, campo tenda, per me, urina, davanti a membra aperte, cronica Cadorna, tua Caporetto, scientifica voce, Prefettura, macelleria rusticana, a grande voce, noi si resta, in case sicure, fino alla morte, fino alla morte, fino alla morte, tuo prefetto esce, di scena, a grande voce, ogni cosa, esce, da tua Prefettura, ma noi si resta, in case sicure, fino alla morte, fino alla morte, che notte spalanca ogni utero, io aborto, io morte, io fetido, qui, sotto le tue colpe, attendo carri, funebri, carri, militari, carri, necrofili, carri, presidenziali, tuo Presidente, scientifico mediatico, necrofilo, esperimento post democratico, questo campo, fianco a Studentato, precipitato, tuoi morti, Presidente, accerchiati, popolo a tempo determinato, esperimento socialmilitare, futuro vicino, come bambina curva, sepolta, spina dorsale conficcata, faccia schiacciata, cranio divelto, guardala, Presidente, il tuo esperimento necromilitaresco, non riesco, non grido, io cadaverina, dal nido di Aquila, volava questo popolo, e aveva un sogno, e parlava di montagne, e cantava di nevi e fiumi, e alte le parole, e volava alta l’Aquila, e ancora avrebbe scritto poemi e verità, e poi disse di domani e domani ancora, e noi non sapevamo, in case sicure, fino alla morte, abbracciati, i nostri occhi piangono i morti, non più poemi, non più parole, non più sogni, non più, non più, ma verità ucciderà ancora, io so, io so, tuo esperimento NATO lontano, occasione vitale, sopravvivenza del delirio, necrofilia iniettata in schermo sedicinoni gi otto, trecento morti, no, molti più ancora, là nel nido dell’Aquila, mai censiti, tra cingoli e catene, recisi, dilaniati, scomparsi, come torri gemelle, non c’è bandiera qui, solo mia voce, umiliata, sterco, merda, crocifissa, e tu ancora incidi tua Presidenza, pretendi onore, io soffio, gas nervino, in bocca Tua, addio Caporetto, veleno massonico, ordine mondiale, da nucleo operativo, campo caserma, addio Cadorna, che sempre ritorna, democrazia sospesa, napalm, noi nella notte, nelle nostre sicure case, sicure case, tornate a casa, ma non il tuo Prefetto, Prefettura deserta, tornate, a casa, ci dicono voci termobariche, io muoio, noi adesso si muore, Presidente, sono qui davanti a te, tuo kamikaze.

La krocifissione dell’Aquila: questa è per te, dottor Jekill

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Terremoto in Abruzzo - L'Aquila 6 aprile 2009(E con questo post è ufficiale che anche da queste parti si ha un ospite: è il giornalista, documentarista, poeta e operaio Giuliano Bugani, già intervenuto poco tempo fa con il post La Costituzione: chi l’ha vista? Con il testo di seguito si inaugura il suo spazio qui dentro. Benvenuto, Giuliano. AB)

Non aspetterò tre giorni. Resusciterò ora. Ognuno di noi resusciterà ora. Non aspetteremo la fine dei giorni loro. Non aspetteremo il ballo di mezzanotte. E nemmeno la scarpetta di Cenerentola, caduta nella crepa di un terremoto annunciato. Noi non balleremo la loro kanzone. Noi non prenderemo a braccetto le loro Maria, le loro puttane. Noi non andremo sui loro karri. Dottor Jekill, quale cura mi stai propinando: kokaina? Il tuo antidoto. Un buco nel cuore mi dice che non posso fidarmi di tua madre. Ci sono quattro strade che portano alla città distrutta.

Quattro, perpendicolari. Come una kroce. E su quella kroce, avete inkiodato l’Aquila. Ha le ali spalancate. La testa china sul suo petto smagrito. È una grande kroce. Sulla montagna del mio cranio. Un ragazzo si è suicidato, poche settimane fa. Aveva perduto tutto. Non aveva più niente. Nemmeno più sé stesso. Non aveva più niente. E tu mi dici che devo aspettare. Ci stiamo avvicinando alla kroce. E non sono solo. Qui. Ad aspettarti. Dottor Jekill, mi dici che devo aspettare. Ma io ho puntato il mio coprifuoco sulla tua bocca. Non ci sono spade adesso. Non avere paura. C’è soltanto una cosa che posso aspettare. Le tue ceneri. Perché brucerai nel mio inferno. L’inferno che è dentro il mio cranio.
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