Graffiti: nella fregola di pulire, via quello dedicato a Carlo Giuliani

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No Justice No Peace 2007 - Foto di zibe_tsoVia mail giunge un appello per una petizione. Fenomeno, questo, che si sta facendo sempre più frequente. Ma nel caso specifico, credo che abbia una certa importanza. Per due ragioni. La prima è perché la via alla “legalità”, come accade a Bologna o a Milano, che passa attraverso la pulitura dei muri delle città non è che una campagna pretestuosa. Almeno condotta con le modalità attuali. La seconda – e più bruciante – è che uno dei graffiti che si vuole cancellare è quello realizzato per ricordare nel capoluogo lombardo Carlo Giuliani.

Nel testo della sottoscrizione, che si intitola Petizione per salvare il graffito dedicato a Carlo Giuliani sito a Milano, Italia e che è stata lanciata da Urban Vision Crew, si legge infatti:

Il 29 Settembre 2007 il vicesindaco di Milano Riccardo De Corato ha dichiarato che questo graffito deve essere eliminato, dopo aver provveduto già nei giorni precedenti alla cancellazione di numerosi altri graffiti tra i quali due storici graffiti dedicati a Dax-Davide Cesare e Mumia Abu Jamal. È inaccettabile che con tanta leggerezza si pensi di poter eliminare un pezzo di memoria storica, è vergognoso che il Comune di Milano attraverso la campagna antigraffiti, utilizzata per ristabilire un finto ordine e decoro, vada invece ad attaccare quello che è stato e tutt’ora è un prezioso patrimonio artistico e di memoria per l’intera città e per molte persone in tutto il mondo.

Per quanto riguarda la street art, è vero che non tutto ciò che si trova sui muri è artistico, ma i capolavori esistono e per rendersene conto basta farsi un giro su Wooster Collective.

Contenuti online: avvocati che si battono contro le major

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In merito ancora alle dispute tra industrie discografiche ed utenti, può essere interessante il blog Recording Industry vs The People. Creato e mantenuto dagli avvocati Morlan Ty Rogers e Ray Beckerman dello studio Vandenberg & Feliu di New York, prende le mosse dalle attività dei due legali che, per conto di Electronic Frontier Foundation, rappresentano persone trascinate in cause legali dalla Recording Industry Association of America. Sul blog è a disposizione una buona documentazione raccolta per atti, modalità di funzionamento di questo genere di cause, una lista di avvocati statunitensi ed europei che difendono gli “accusati” e di procedimenti attualmente in corso negli USA.

Intanto, venendo alle questioni italiane, Massimo Mantellini scrive:

Pare che la polizia postale abbia ricevuto incarico di chiudere il blog “Mastella ti odio” un blog satirico sul Ministro della giustizia che per adesso e’ ancora online. Cosi’ che tutti vedano cosa si oscura in questo paese.

Doctorow: il nodo della soppressione dei contenuti online

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L'alternativa del copyleftIl plagio o la riproduzione non autorizzata di opere dell’intelletto saranno anche un problema. Ma fanno pur sempre parlare del lavoro di un autore, più o meno direttamente. La censura, invece, è ben peggiore perché a quel punto non riguarda più solo una fascia di popolazione dato non c’è più nessuno che parla. Esordisce così Cory Doctorow nell’articolo Online censorship hurts us all pubblicato dal Guardian. Nel testo mette a confronto i nodi legati alla violazione del diritto d’autore e quelli derivanti dalla soppresione parziale o totale del diritto d’espressione e dice:

Since 1995, every single legislative initiative on this subject in the UK’s parliament, the European parliament and the US Congress has focused on making it easier to suppress “illegitimate” material online. From libel to copyright infringement, from child porn to anti-terror laws, our legislators have approached the internet with a single-minded focus on seeing to it that bad material is expeditiously removed.

I dettagli sono quelli già noti da tempo: la promulgazione dell’americano DMCA o dell’europea EUCD o ancora gli attacchi di Viacom e della RIAA alla veicolazione di contenuti in rete (che, quando non sono equiparati al “furto”, sono comunque ostacolati malgrado spesso abbiano licenze che consentono la ridistribuzione). E conclude lo scrittore statunitense non senza una vena di sarcasmo:

It would be a great Sovietisation of the world’s digital printing presses, a contraction of a glorious anarchy of expression into a regimented world of expensive and narrow venues for art. It would be a death knell for the kind of focused, non-commercial material whose authors couldn’t fit the bill for a “managed” service’s legion of lawyers, who would be replaced by more of the same — the kind of lowest common denominator rubbish that fills the cable channels today. And the worst of it is, we’re marching toward this “solution” in the name of protecting artists. Gee, thanks.

In chiusura, altro argomento: una nuova segnalazione per il progetto a sostegno di Gramos. Morgan ha infatti pubblicato una prima lista delle donazioni. Lista che verrà man mano aggiornata con nuovi contribuiti.

Dalla rete: tra disinformazione e storie senza un epilogo

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  • Bernardo Parrella, La disinformazione (e le veline) di Repubblica.it:

    Elementi per supportare tale assunto? Nessuno. Citazioni o posizioni degli indagati in quest’azione dell’IFPI? Zero. Qualche battuta sulla complessità dei problemi, dalle imposizioni SIAE ai prezzi esorbitanti dei CD (in Italia ben più che altrove)? Macché. E basta forse quest’azione tutta italiana per sostenere che «l’offensiva delle case discografiche torna ai livelli del “processo Napster”»? Certamente no. Ma la ciliegina è l’aggancio tra tali supposte offensive anti-pirateria e il nuovo servizio Amazon. Intuizione stupenda! Sarà sicuramente così, no?

    Aggiornamento del 3 ottobre: sempre sul blog di Bernardo, in merito a questo argomento viene pubblicata una Lettera aperta a Pier Luigi Pisa (Repubblica.it) di Carlo Gubitosa dell’Associazione Peacelink.

  • Girolamo Grammatico, Le mosche volanti:

    Il 30 settembre del 1977 i fascisti, in un perverso connubbio con la polizia, attaccano un gruppo di ragazzi di sinistra uccidendo Walter Rossi. L’inchiesta sul suo omicidio è stata chiusa anni fa, dopo più di 2 decenni di inutile istruttoria, senza trovare l’assassino o i colpevoli […]. Noi di TN lo ricordiamo con questo racconto dedicato al giorno della sua morte.

iQuindici: cinque anni di letture e le difficoltà degli esordienti

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iQuindiciiQuindici, popolo della “repubblica democratica dei lettori” nata in seno alla Wu Ming Foundation, compie cinque anni e nel dodicesimo numero del periodico telematico Inciquid, si apre ricordando che:

Abbiamo dato un minimo di due pareri di lettura a circa 700 manoscritti, che non sono pochi, ma ce ne restano ancora circa 400, molti dei quali in attesa da un paio d’anni. Se da un lato siamo felici di avere ottenuto una così larga fiducia dai nostri lettori/scrittori, siamo però ovviamente dispiaciuti che sia stato impossibile leggere tutto in tempi più rapidi… Purtroppo (e per fortuna), intorno a maggio-giugno 2004, abbiamo avuto un’impennata di invii dovuta a una serie di articoli usciti su stampa e web “di peso” (Venerdì di Repubblica, Panorama, Repubblica online etc.) che ci hanno dato un’improvvisa notorietà. A questo si è aggiunta la lenta ma continua conoscenza di noi che i lettori/scrittori hanno avuto dai romanzi che abbiamo portato a pubblicazione. È tutto molto bello, ovviamente, anche se lo sarà ancora di più quando avremo smaltito l’arretrato e potremo quindi tornare ai nostri tempi di risposta iniziali, che erano di uno-due mesi. Il nostro obbiettivo è raggiungere il pareggio di letture entro 12 mesi. Ce la stiamo mettendo tutta! È diventato sempre più difficile poi portare a pubblicazione i romanzi promossi su INCIQUID. Dopo un periodo in cui l’editoria pareva essere più ricettiva a nuove proposte, sembra ora che il mercato sia decisamente più cauto, quasi fermo, e persino romanzi che noi sappiamo essere veramente buoni non riescono a trovare carta. È un vero peccato, non solo per gli autori, o per noi, ma per l’editoria italiana, che in questo modo perde grandi occasioni, mentre i frequentatori di librerie si continuano a lamentare che le nuove proposte letterarie che si trovano in giro non sono granché.

La scuola dell’integrazione cinquant’anni dopo

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The Integration of Little Rock Central
Cinquant’anni sono trascorsi da quando l’allora quindicenne Elizabeth Eckford, insieme ad altri otto ragazzi di colore, varcò per la prima volta la soglia della Little Rock Central High School, fino a quel momento frequentata solo da studenti bianchi. I giovani, soprannominati Little Rock Nine, assestarono così una batosta alla segregazione razziale che imponeva rigide divisioni fin dai banchi di scuola e quel gesto non fu indolore: una storica fotografia ritrae una coetanea che urla contro Elizabeth tutto il suo disprezzo all’inizio dell’anno scolastico.

In questi giorni, l’edizione inglese di Vanity Fair pubblica l’articolo Through a Lens, Darkly scritto da David Margolick che è tornato a vedere che accadde nei mesi successivi e che ne è stato dopo dei nove e della ragazza che urlava. Fino a oggi. Il tutto accompagnato da una galleria fotografica: The Integration of Little Rock Central.

Quella volta che Paperino bruciò sul tempo l’inventore

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The 'Donald Duck as prior art' case
Ecco come un papero disegnato ruppe le uova nel paniere di Karl Krøyer, che inventò un sistema per recuperare imbarcazioni inabissatesi. La storia viene raccontata su Ius Mentis con l’articolo The “Donald Duck as prior art” case:

In 1949 the Donald Duck story The Sunken Yacht (by Carl Barks) shows Donald and the nephews raising a ship by filling it with ping pong balls shoved through a tube, as can be seen below in the images cited from that story.

Since ping pong balls are buoyant bodies, and they were fed to the yacht through a tube, the Donald Duck episode discloses the same technique as that which is claimed in the patents. Consequently, the Duck story has to be considered novelty-destroying prior art: given the story, any Patent Office would have rejected Krøyer’s patent application.

MediaLens: i numeri nascosti delle vittime in Iraq

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Nei giorni della rivolta degli uomini scalzi, Information Guerrilla segnala che The Media Ignore Credible Poll Revealing 1.2 Million Violent Deaths In Iraq. Lo afferma MediaLens, organizzazione che lavora per andare a stanare le distorsioni della stampa, e aggiunge:

The point about the ORB [Opinion Research Business] study is that it provides strong supportive evidence for the findings of the earlier, far more detailed and rigorous 2006 Lancet study. The Lancet authors have been calling for exactly this kind of follow up study to help confirm or refute their findings. It seems clear that the Lancet figure of 655,000 deaths, although now a year out of date, was accurate.

For the media to ignore the ORB study is an authentic scandal. Doubtless the failure is in part rooted in simple ignorance of its significance. If so, this amounts to a form of criminal negligence in the face of vast war crimes. But, as discussed above, structural realities continue to apply – the media system is an integrated component of a system that benefits from the subordination of people and truth to profit and power.

Cultura Convergente: popolo, massa e altre sfumature

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Cultura Convergente di Henry JenkinsUn estratto della prefazione di Wu Ming al libro Cultura Convergente di Henry Jenkins:

La sfumatura di significato, invece, consiste in questo: cultura di massa indica come viene trasmessa questa cultura, vale a dire attraverso i mass media; cultura popolare pone l’accento su chi la recepisce e se ne appropria. Di solito, quando si parla del posto che la tale canzone o il tale film ha nella vita delle persone (“La senti? E’ la nostra canzone!”), o di come il tale libro o il tale fumetto ha influenzato la sua epoca, si usa l’espressione “popular culture”.

Il problema è che il dibattito italiano sulla cultura pop novanta volte su cento riguarda la spazzatura che ci propina la televisione, come se il “popular” fosse per forza quello, mentre esistono distinzioni qualitative ed evoluzioni storiche, altrimenti dovremmo pensare che Sandokan, Star Trek, Lost, il TG4 e La pupa e il secchione sono tutti allo stesso livello, o che Springsteen, i REM, Frank Zappa e Shakira vanno tutti nello stesso calderone, o che non esistono distinzioni tra i libri di Stephen King e quelli delle barzellette su Totti, dato che entrambi li ritrovi in classifica.

Ci sono due schieramenti l’un contro l’altro armati – e dalle cui schermaglie dovremmo tenerci distanti: da un lato, quelli che usano il “popolare” come giustificazione per produrre e spacciare fetenzie; dall’altra, quelli che disprezzano qualunque cosa non venga consumata da un’élite.

Sono due posizioni speculari, l’una sopravvive grazie all’altra. Le accomuna l’idea che a fruire della cultura pop siano le masse mute dell’Auditel, dei sondaggi di mercato, del botteghino.

Gramos: un ulteriore passo avanti

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Morgan interviene di nuovo sulla questione di Gramos procedendo nel tirare le prime fila sulle donazioni arrivate e “ripartite” in favore del bambino kosovaro. E lo fa con documenti alla mano (o, meglio, scansioni di documenti):

Nel frattempo trovate qui la lettera che Miriam ha inviato al medico dell’ospedale Bambino Gesù e qui la fotocopia dell’assegno trasferito a chi si occupa di Gramos.

Tradotto in altri termini, Gramos potrà contare su un anno della dieta ipoproteica di cui ha bisogno e su un paio di mesi di farmaco. A proposito del farmaco, poi, è ancora possibile firmare la petizione di cui si parlava la settimana scorsa, quella rivolta all’azienda produttrice, Orphan Europe, per sensibilizzarla sulla situazione del piccolo ricoverato a Roma. Infine, nelle prossime settimane via – sempre – Morgan (e gli altri che sostengono l’iniziativa, Sabrina, Pibua, Simone, Hermansji, Samuele, Piggio, Kinozen, Giulianissima) le novità sugli ulteriori passi avanti.