Un po’ di tempo fa si confermava quanto già si era detto: il 27 giugno 1980 sopra il Mediterraneo, più o meno all’altezza di Ustica, c’era la guerra. Ma per l’abbattimento del DC9 dell’Itavia, l’aereo civile partito da Bologna alla volta di Palermo che si trascinò dietro 81 persone, sono andati tutti assolti i vertici dell’aeronautica italiana. E ora sembra tornare d’attualità quella che era stata battezzata l’ipotesi Cossiga con una dichiarazione che il senatore a vita ha rilasciato a Sky Tg24: il missile sarebbe stato francese e l’obiettivo era Gheddafi. Che, in volo nei cieli italiani, era stato avvertito dal generale Giuseppe Santovito, ex capo del Sismi, e si era nascosto ai radar d’oltralpe deviando l’attacco sul velivolo di linea. Insomma, nulla di particolarmente nuovo per chi ha seguito la vicenda e nulla di particolarmente sorprendente per chi invece segue le dichiarazioni di Cossiga. Il quale ogni tanto “esterna” (“piccona”, si diceva ai tempi del suo settennato al Quirinale) senza che si innesti mai una qualche conseguenza. Del resto è stato sempre lui a sostenere la pista del gruppo di Carlos e quella libica per la strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna, incurante delle risultanze giudiziarie e dei familiari delle vittime.
Author: Antonella
Riconoscere un reato contro la persona, non contro la morale
StandardDi nuovo in tema di diritti delle donne, qualche giorno fa il blog Femminismo a Sud ha pubblicato un lungo e interessante post che ripercorre, attraverso un ventennio di diatribe parlamentari e giurisprudenza, la storia della legge sulla violenza sessuale. Una storia che tenta – non senza difficoltà – di scardinare la questione dal nodo della morale e di ascriverla alla sfera dei reati contro la persona. Ma l’articolo va oltre.
Presenta innanzitutto un elenco di sentenze che quella legge l’hanno interpretata e applicata in vario modo e poi allarga la visuale a una situazione correlata, lo ius corrigendi, “il potere di correzione e disciplina, ritenendo necessaria all’unità familiare la gerarchizzazione autoritaria, della massima autorità in seno alla famiglia, il capo-famiglia per l’appunto”, e il suo rapporto con la violenza domestica. Citando l’esperienza spagnola a tutela delle donne che lungimirante ed efficace sembra essere, il blog fa il paragone con un disegno di legge presentato dall’ormai ex ministro Barbara Pollastrini che:
tenta di regolamentare tutta la questione a partire da una maggiore attenzione per avviare campagne di sensibilizzazione. Nello stesso disegno di legge, che interverrebbe sul codice civile e penale, resta comunque prevista la querela di parte (e non la procedibilità d’ufficio) per il reato derivante dai maltrattamenti. Cioè: a fare la denuncia deve essere sempre la persona maltrattata.
Dalla rete: InfraGard, la Gladio di Bush
Standard- Alessandro Ursic, La Gladio di Bush:
Un’organizzazione pubblica ma protetta dal segreto, con oltre 23.000 membri selezionati nell’élite politica-economica del Paese che godono di informazioni riservate sui rischi di un attacco terroristico, lavorando in collaborazione con l’Fbi. E che, come ha rivelato uno dei suoi iscritti, in caso di proclamazione della legge marziale hanno licenza di uccidere per proteggere le loro proprietà. Si chiama InfraGard, e se non l’avete mai sentita è perché fino a qualche anno fa non superava il migliaio di iscritti. Ma dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 è diventata una struttura semi-massonica con ramificazioni in tutti gli Stati Uniti, e rappresenta oggi una prima linea di difesa degli Usa ai tempi della guerra al terrorismo.
Etica criminale: Vallanzasca, il bandito che disse no al terrorismo
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«Dio dei ladri, uccidimi prima che canti».
Renato Vallanzasca è il simbolo della certezza della pena: compirà cinquantotto anni a maggio e, tra riformatorio e carcere, ne ha trascorsi oltre trentacinque dietro le sbarre. Condannato a quattro ergastoli, per lui – a differenza di molti altri, stragisti compresi – le porte della galera non si riaprono, malgrado la richiesta di grazia recentemente respinta e i benefici di legge che non arrivano mai, tanto da aver fatto lievitare a sessantuno gli anni di reclusione del bandito milanese. La cui vita sembra segnata da un destino criminale fin dall’infanzia, racconta Etica criminale – I fatti della banda Vallanzasca di Massimo Polidoro, quando il Grande Circo Medini pianta le tende alla periferia del capoluogo lombardo, in zona Lambrate, e i fratellini Vallanzasca, Renato e Francesco, proprio non ce la fanno a vedere gli animali maltrattati dentro le gabbie. Così decidono di farli evadere, ma il futuro bandito finisce in questura e capisce, in attesa che i genitori vengano a recuperarlo, che «cinghiate o non cinghiate, ne era valsa la pena».
L’evasione è una costante nella vita del Vallanzasca criminale. Ogni volta che viene arrestato, ci prova e sorride, il “bel René”, perché sa che l’ostacolo tra lui e la libertà è solo temporaneo. Almeno fino all’Asinara, nel 1996, quando da un’ispezione nella sua cella trovano una pistola e un telefono cellulare. Forse è proprio quello il momento in cui finisce la carriera di un personaggio che ha attraversato la storia del crimine italiano facendo di sé una specie di leggenda: imprendibile, temerario, raffinato, spendaccione e passionale. Che ha rapinato e assaltato, si è dato alla macchia e sequestrato tenendo l’ostaggio – l’adolescente Emanuela – in prigioni d’oro perché roba come l’anonima non è neanche lontanamente concepibile. E si è assunto la responsabilità morale degli omicidi commessi dai suoi in azioni o conflitti a fuoco condotti autonomamente, al di fuori delle attività del suo gruppo.
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Aborto: la pacata violenza di Ferrara
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Ancora a proposito di legge 194, Francesca De Carolis mi invia un suo testo pubblicato anche sul sito di Articolo21, associazione per la libertà d’informazione, dal titolo Aborto: la pacata violenza di Ferrara. È un bel pezzo che introduce una serie di considerazioni interessanti. Prima di passare all’articolo di Francesca, una segnalazione: l’appello-petizione LberaDonna di MicroMega.
Solo una breve riflessione. A proposito di toni e di parole. Di garbi formali e di sostanziali violenze. Ascoltando l’intervento di Giuliano Ferrara in apertura della puntata dell’Infedele di mercoledì 13 febbraio. A proposito del suo manifesto “pro-life” con il quale mette l’aborto fra i temi della campagna elettorale. Un tono molto pacato quello di Ferrara. Introduce, spiega, argomenta, con voce piana e calma, inanella frasi e parole modulando con garbo, sembra, finanche i respiri. Senza mai uscire dai binari di una condotta di gentilezza estrema. Anche quando gli tocca, come è normale che accada, di dover sovrastare il tentativo di qualcuno degli ospiti di intervenire. Tono pacato, certo, se per pacatezza si intende che l’accoratezza non si è trasformata in fervore, che poi non è trasceso in urla, crocefissi branditi, o intemperanze del genere…
Eppure. La pacatezza a volte sa essere agghiacciante. Se è linguaggio formale che riveste una sostanziale violenza. E accanto alla violenza di irrompere nella campagna elettorale con una questione così dolorosa e delicata, ho avvertito, nelle parole di Ferrara, i termini di un infierire privato, per il mio sentire inaccettabile. Come era ovvio, il discorso è andato allo sciagurato episodio del blitz nell’ospedale Federico II di Napoli. Ho trovato di grande violenza il sentire descrivere con lucida dolcezza “il bambino che quel feto sarebbe stato”. Come questo non fosse già il pensiero dolente di una donna che si trova di fronte alla terribile scelta di abortire. Che è pensiero e dolore intimo, che non andrebbe straziato da altri davanti a una telecamera. Con l’aggravante, nel caso, che si parlava di una persona precisa, del destino particolare del suo bambino che non è stato.
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Donne in piazza a sostegno della legge 194
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Donne e uomini in piazza dopo il blitz di Napoli per difendere la legge 194. Le immagini del presidio davanti alla clinica ginecologica del policlinico Sant’Orsola di Bologna.
Ancora Genova 2001: “Noi della Diaz, sei anni dopo”
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Dal blog di Lorenzo Guadagnucci, Noi della Diaz, sei anni dopo:
È appena arrivata in libreria (e in molte botteghe del commercio equo e solidale) la nuova edizione aggiornata di Noi della Diaz, che uscì nel gennaio 2002, pochi mesi dopo i fatti di Genova. Questa nuova edizione contiene un’ampia introduzione, scritta da me: da un lato è un aggiornamento sugli sviluppi processuali, dall’altro un bilancio politico dei sei anni e più trascorsi dal tragico luglio genovese. E’ un bilancio non positivo, dia risvolti allarmanti, perciò ho voluto intitolare la prefazione “Democrazia umiliata”.
In appendice c’è l’altra novità rispetto all’edizione originaria: il “diario dal cercere” scritto da Paolo Fornaciari, che fu arrestato il 20 luglio 2001 in via Tolemaide senza alcun motivo, per essere poi pestato dai carabinieri (anche all’interno del Forte San Giuliano, la “Bolzaneto” dei carabinieri, cu sui però non c’è stata alcuna inchiesta della magistratura). il diario di Paolo rende bene lo stato d’animo di tanti cittadini arrivati a Genova per dare anima e corpo a un movimento di protesta e di proposta che pareva destinato a raccogliere grandi consensi, e sorpreso dalla inusitata violenza dello Stato.
Compagna Marilyn: il dossier dell’Fbi contro i Kennedy
StandardTra i “colleghi” di casa editrice (Stampa Alternativa), Mario La Ferla è uno degli autori che ho avuto modo di apprezzare. Per cui non posso che essere contenta del suo ultimo libro, in uscita in questi giorni, Compagna Marilyn – Comunista, spia, cospiratrice. I retroscena della vita e della morte di Marilyn Monroe in un rapporto segreto dell’Fbi:
Da 46 anni si continua a parlare di Marilyn Monroe, ma il suo ritratto appare ancora nebuloso perché manca un capitolo fondamentale della vita sua e dell’America. È il capitolo raccontato in questo libro: la storia della “bomba del sesso” che, grazie allo stretto legame con i Kennedy, conosce i segreti politici e strategici del suo Paese e li passa ai compagni comunisti rifugiati in Messico. Chi è stato a cucire addosso a Marilyn questo ruolo da novella Mata Hari rossa, bollata come “nemico pubblico dell’America”? Il famigerato Edgar Hoover che, in un dossier di oltre tremila pagine costruito come arma di ricatto contro John e Robert Kennedy allo scopo di conservare la guida dell’Fbi, non esita a dare in pasto ai carnefici la sua vittima sacrificale: Marilyn.
Sapevo che dopo aver lavorato al libro precedente – La biga rapita, incentrato sulla vicenda del carro etrusco “scippato” per una miseria dal banchiere americano JP Morgan e oggi esposto al Metropolitan Museum di New York e seguito da una specifica campagna – aveva messo le mani su un malloppo di documenti inediti a proposito dell’attrice americana e che ne avrebbe tratto un libro. Ricevuto nei giorni scorsi, si preannuncia una lettura più che interessante.
Macchie d’olio, d’intolleranza e delazione
StandardMarco Grazia ha ragione quando scrive che il modello Treviso si espande. E lo fa citando l’esempio di Azzano Decimo, di cui si può leggere qui: in sostanza si dice che gli stranieri che chiederanno sussidi sociali se li vedranno erogati “per il tempo necessario a coprire l’iter connesso alla revoca del permesso di soggiorno” con annessa segnalazione in questura e prefettura. E questa ordinanza che effetto dovrebbe avere se non inabissare ulteriormente i problemi di una parte dei cittadini con certe ripercussioni su ognuna delle componenti sociali?
In merito invece alla questione dei 162 docenti universitari di presunta appartenenza alla comunità ebraica, una segnalazione la merita l’articolo Dell’arte di compilare liste di proscrizione come preludio al fascismo del terzo millennio firmato da Girolamo De Michele:
Chi compila, insomma, sfoga il proprio rancore politico, e forse avanza una richiesta di attenzione verso i prossimi padroni in cerca di obbedienti e servili esecutori; insinua sospetto e minaccia, sperando forse in un effetto d’insicurezza e precarietà psicologica e sociale nelle vittime della propria attività: ma soprattutto, inizia un inavvertito (dalla propria coscienza prima ancora che da altri) gioco all’apprendista stregone, i cui esiti sono, sul medio periodo, imprevedibili – il che non significa che non si presenterà qualcuno, prima o poi, a raccoglierne i frutti.
World Press Photo: il soldato sfinito, ritratto di una nazione
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Il World Press Photo è una specie di leggenda tra i fotogiornalisti, il corrispondente del Pulitzer per chi scrive e quest’anno l’immagine dell’anno è stata scattata dal britannico Tim Hetherington per Vanity Fair a Korengal Valley, in Afghanistan, lo scorso 16 settembre. Qui la descrizione completa della fotografia, considerata la migliore con questa motivazione:
This image shows the exhaustion of a man – and the exhaustion of a nation. We’re all connected to this. It’s a picture of a man at the end of a line […]. I use all my energy to have people notice bad things. There’s a human quality to this picture. It says that conflict is the basis of this man’s life.
Oltre all’immagine di Hetherington, sono consultabili l’elenco dei vincitori per le singole categorie e la galleria