Danger: un libro su crimini e criminalità dal 1886

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Danger! A True History of a Great City's Wiles and TemptationsSi intitola Danger! A True History of a Great City’s Wiles and Temptations, è stato scritto da William Howe e Abraham Hummel ed è un libro su crimini e criminalità che risale al 1886 e che, pubblicato sul sito del Project Gutenberg, è stato reso disponibile per il download in diversi formati. Segnalato da BoingBoing che riprende un thread sui forum di Rorta, il libro viene presentato in questi termini:

In 1888 [note that, as aforementioned, an edition of the same tome was actually first published two years prior], Howe and Hummel published In Danger; or Life in New York. A True History of a Great City’s Wiles and Temptations, a purported exposé of the New York City underworld. Giving explicit and detailed information about how pickpockets, shoplifters, thieves, and even murderers conducted business [emphasis added], their “exposé” was essentially a how-to manual for would-be criminals. Their book attempted to drum up business by flaunting their success at thwarting the courts and returning their criminal clients to the streets, claims that many Americans believed.

Per chi ha una particolare passione per le stampe antiche, da qui si possono scaricare le scansioni della versione originale.

Dalla rete: forme differenti per la ricerca di spazi liberi

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  • Benedetto Vecchi, Trovare una nuova via al politico:

    La lettura retrospettiva dei curatori ha però il pregio di guardare all’esperienza di Rosso attraverso la crisi dell’operaismo, sintetizzata dalla frase di Mario Tronti che invitava a fare i conti con il problema tragico del «politico». E se per l’autore di Operai e capitale il nodo da sciogliere era quello del partito, per i militanti e i redattori di Rosso era di immaginare una forma organizzativa che riflettesse una mutata «composizione della forza-lavoro». E non è un caso che, a un certo punto, i testi che circolavano erano di Gilles Deleuze, Felix Guattari. E di Michel Foucault, la cui lettura tuttavia lasciava l’amaro in bocca, perché appariva come una trascrizione ragionata su ciò che i movimenti radicali già facevano, ma che certo aiutava ben poco a dare risposta al tragico problema del politico.

    Il discorso si riferisce al libro Avete pagato caro. Non avete pagato tutto – La rivista Rosso (1973-1979) curata da Tommaso De Lorenzis, Valerio Guizzardi e Massimiliano Mita e pubblicata da poco da DeriveApprodi.

  • Luca Galassi, La “petroliocrazia”:

    I partiti liberali si uniscono, si sciolgono, poi tornano insieme. È sempre così. Non ho un’opinione precisa su quali effetti avrà, ma sicuramente non molti, e non a breve termine. Finché in questo Paese la struttura economica non cambierà, sarà difficile cambiare la società. E finché la nostra economia sarà basata sul petrolio, finché ci sarà questa “petroliocrazia” credo che anche populismo e autoritarismo continueranno a esserci. Per esempio, perché in Ucraina, Paese molto simile al nostro, con gli stessi problemi di corruzione e di burocrazia, si è sviluppato un movimento democratico? Perché non c’è petrolio. Altrove, se non c’è petrolio si usa il cervello. Qui che di petrolio ce n’è anche troppo, il cervello l’abbiamo dimenticato chissà dove.

  • Bernardo Parrella, Se il click è facile, la democrazia è lontana:

    Le strade della politics restano cioè caratterizzate da enormi capitali e sperperi diffusi, nonostante (o grazie a) Internet. Ecco perché ha sempre più senso la battaglia anti-corruzione avviata da Lawrence Lessig, inclusa la sua recente decisione di non candidarsi al Congresso Usa (pur se, eventualmente, per soli sei mesi), dopo una decina di giorni ricchi di riflessioni e rilanci che avevano entusiasmato parecchi fautori della libertà di cultura. L’opportunità si era presentata all’ideatore delle licenze Creative Commons per il seggio parlamentare lasciato vacante dal democratico californiano Tom Lantos, 80 anni, spentosi l’11 febbraio scorso per cancro all’esofago. Motivi della rinuncia di Lessig: la quasi certa elezione di Jackie Speier, già senatrice statale e assai apprezzata un po’ da tutti per il suo impegno civile, Lessig incluso; e lo scarso periodo di tempo (30 giorni) atto a preparare una decente campagna che spiegasse la questione al pubblico elettorale, ben oltre gli addetti ai lavori o il seguito raccolto da tempo sul web.

Libri senza pace: parlare per evitare ancora i roghi

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Libri senza paceDalla Madrid del 1939 alla Bagdad del 2003 per l’iniziativa Libri senza pace. Organizzato dalla biblioteca di Cologno Monzese, la stessa che ha dato un contributo determinante alla nascita della campagna Non pago di leggere contro il prestito bibliotecario a pagamento, l’incontro è fissato per il prossimo 7 marzo e si presenta con queste parole:

Dai giorni della guerra civile spagnola, in cui una generazione bibliotecaria difese palmo a palmo ogni metro di scaffale ancora integro, a quelli del saccheggio della Biblioteca nazionale di Bagdad, passando per il fuoco etnico che mandò in cenere le collezioni di Sarajevo, sembra essersi compiuto un ulteriore passo nella direzione di una violenza che non è più possibile definire semplicemente cieca. Per chi ha a cuore le biblioteche, i beni culturali e la pace, questa iniziativa è l’occasione per pensare a una strategia di protezione che sia anche un’opera di prevenzione.

Parteciperanno lo scrittore venezuelano Fernando Báez (Storia universale della distruzione dei libri), Blanca Calvo, direttrice della biblioteca spagnola di Guadalajara e curatrice della mostra Biblioteca en guerra, e Marco Capolupo, responsabile del progetto La casa dei libri di Bagdad, promosso da Un ponte per. A coordinare il dibattito sarà Massimo Belotti, direttore di Biblioteche Oggi.

Sorveglianza di regime: l’evoluzione delle leggi antiterrorismo

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Dall’intervista Sorveglianza di regime a Jean-Claude Paye pubblicata su VoltaireNet:

Silvia Cattori: Una persona che nella sua posta elettronica manifesta simpatia per un gruppo iscritto nelle liste dei “terroristi” potrebbe essere perseguita per collusione con il terrorismo?

Jean-Claude Paye: Sì, perché c’è stata un’evoluzione delle leggi antiterrorismo. Manifestare simpatia nei confronti di gruppi etichettati come “terroristi” costituisce già una violazione della legge. In Gran Bretagna affermare per esempio che «Hamas o Hezbollah sono movimenti legittimi di resistenza» potrebbe, secondo la legge inglese “Terrorist Bill of 2006”, costituire un atto di sostegno indiretto al terrorismo. In Gran Bretagna le leggi antiterrorismo sono le più palesemente liberticide. Nel 2006 la Gran Bretagna ha introdotto i reati di “glorificazione” e “sostegno indiretto” al terrorismo.

Le incriminazioni cui danno origine non si fondano su fatti, ma si basano sulla resistenza al potere semplicemente espressa per mezzo della parola, o su rivelazioni di fatti che sono in contraddizione con la politica del governo. Per esempio, dei militanti sono stati posti sotto inchiesta con l’accusa di “incitazione indiretta al terrorismo” perché avevano pubblicato i nomi dei soldati inglese morti in Irak. Il potere ritiene che chi enuncia fatti di tal genere pubblicizza atti catalogati come “atti di terrorismo” (le azioni di resistenza) e così facendo crea un “clima favorevole” al terrorismo.

Anche azioni o espressioni di sostegno alla resistenza palestinese potrebbero servire da base per azioni giudiziarie analoghe. Del resto, non è necessario che si tratti di conflitti contemporanei: anche parole o scritti che inneggiano ad attentati del passato potrebbero essere perseguibili se una persona, che compie un atto come mettere una bomba nel metro, dichiara di essere stata indotta a farlo da parole o scritti incriminati. C’è un effetto retroattivo che non ha un limite temporale oggettivo.

(Via Information Guerrilla)

Abu Ghraib, la prigionia e l’effetto Lucifero

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Faces of the EnemyPhilip Zimbardo è lo psicologo che nel 1971 a Stanford diede vita a un celebre esperimento (qui ulteriore materiale in proposito): un gruppo di studenti doveva immedesimarsi nel ruolo di detenuto e un altro in quello di carceriere. Lo scopo era quello di studiare gli effetti determinati da stati di prigionia su entrambi, ma venne interrotto per il rapido crescendo emotivo e comportamentale che ha caratterizzato quell’esperienza. Negli anni, comunque, le ricerche in materia non si sono interrotte e il docente californiano ha presentato al Ted 2008 alcune delle conclusioni contenute nel suo ultimo libro, The Lucifer Effect: Understanding How Good People Turn Evil (Random House, 2007).

Se il volume fa il bilancio di trent’anni di ricerca, il suo intervento dei giorni scorsi si è focalizzato principalmente sul trattamento riservato ai prigionieri di Abu Ghraib (partendo dal materiale raccolto nel 2006 da Salon.com) e Wired ha pubblicato uno speciale che contiene il video della conferenza, le slide utilizzate e un’intervista che tocca diverse esperienze di brutalità e tortura (il nazismo in Europa, i genocidi del Rwanda, i khmer rossi in Cambogia). E a proposito della scelta di chi utilizzare nel famigerato carcere iracheno, si legge:

Wired: Do you think it made any difference that the Abu Ghraib guards were reservists rather than active duty soldiers?

Zimbardo: It made an enormous difference, in two ways. They had no mission-specific training, and they had no training to be in a combat zone. Secondly, the Army reservists in a combat zone are the lowest form of animal life within the military hierarchy. They’re not real soldiers, and they know this. In Abu Ghraib the only thing lower than the army reservist MPs were the prisoners.

Satisfiction e un racconto inedito di Joe R. Landsdale

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Satisfction, il free press culturale diretto da Gian Paolo Serino, e Menstyle.it devono aver preso carta e penna (o, più plausibilmente, il loro corrispettivo elettronico), contattato Joe R. Landsdale e chiesto un racconto inedito. Lui ha risposto che, sì, glielo mandava. Ed ecco ora pubblicato Buono a nulla, la storia (inedita) di Miller che viaggia su una Cadillac trasportando il cadavere della moglie la quale, anche da morta, gli procura un mare di problemi.

Il movimento di autodeterminazione per Ceppaloni

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Mentre si moltiplicano le tendenze centrifughe in politica internazionale, il giornalista Alessandro Ursic racconta del processo movimento di Autodeterminazione per Ceppaloni:

Italia. Effetto Kosovo nel Belpaese: cresce il sostegno per l’autodeterminazione della repubblica separatista di Ceppaloni, popolata al 90 percento da mastelliani e al 10 percento da italiani, due popoli che conducono da tempo vite parallele e si guardano in cagnesco, in un rapporto logorato dalle reciproche recriminazioni. Crescono invece le tensioni separatiste padane nelle valli bergamasche e nel Trevigiano, dove alcuni pizzaioli napoletani vivono ormai in un’enclave sotto la protezione di una forza di pace internazionale. Nel calderone politico italiano finisce anche l’abbattimento del satellite fuori controllo da parte degli Usa. Proteste del centrosinistra, che contava su un rinvio dell’operazione sperando nel frattempo di obbligare Rete4 a trasmettere solo da quel satellite, in modo da risolvere il problema Emilio Fede una volta per tutte. Apprezzamenti invece dal centrodestra, secondo cui la facilità con cui il satellite si è fatto distruggere dimostra ancora una volta che la tecnologia del futuro è il digitale terrestre. Nel frattempo milioni di italiani, esasperati per l’attuale livello della tv pubblica, hanno scritto a Bush pregandolo di far fuori anche qualche ripetitore della Rai.

Dalla rete: reportage di Jasmina Tešanović sul “giorno dopo”

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  • Jasmina Tešanović, The Day After / Kosovo:

    No visas for bad Serbs, who shun the world to be swiftly shunned in turn. Police have arrested 190 people. The impressive damage to the town is still being estimated: burned cars, destroyed traffic lights, burned apartments, smashed shops. Five hundred people were hurt, mostly Serbian riot policemen. One Czech citizen is in critical condition. Last night during the escalating violence my friends from Italy, Norway and Kosovo phoned me: Nora from Kosovo offered me her own home if I don’t feel safe within Belgrade. Nora admitted that it sounded nonsensical, but it was a sincere offer.

Lessig, la riforma della politica e la candidatura al Congresso

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Draft LessigAlcuni mesi fa il fondatore di Creative Commons lo aveva in qualche modo annunciato e da pochissimo è nato Lessig 08 – Change Congress. Se sulla candidatura l’ultima parola arriverà il prossimo primo marzo, intanto ne parla Bernardo Parrella partendo da quanto scritto sul New York Times e su Wired e dice:

Lawrence Lessig, the Web legal scholar, said Wednesday that he was mulling a campaign for the House of Representatives, a move that could pit the Internet icon in a race against a Democratic loyalist. Mr. Lessig would run for the seat left vacant by the Feb. 11 death of Representative Tom Lantos, who represented the 12th District of California for nearly 14 terms. The district, south of San Francisco, runs straight through the heart of Silicon Valley, where Mr. Lessig is considered a celebrity, though one who wears glasses and uses phrases like “net neutrality”.

Belgrado, ricordi dal passato e incertezze sul futuro

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L’errore, oggi come negli Anni Novanta, sarebbe quello di credere che tutti i serbi la pensano e agiscono così. Quella che segue è un’intervista che risale a qualche tempo fa ormai e che ben rende ciò che sono stati gli ultimi due decenni da quelle parti.“Milosevic? Ha deviato un percorso di risveglio nazionale verso un autoritarismo nazionalista”
Ricordi dal passato e incertezze sul futuro
Parla Djordje Ristic, giornalista di Belgrado che, da uomo libero di esprimere la sua opinione, traccia un bilancio degli anni della dittatura e della ricostruzione in corso

“Quanto Tito morì, si diffuse un’ansia generalizzata, un’ansia sul nome del successore che fu una presenza costante tra la gente. Questo accadeva anni prima che Milosevic si insediasse al potere e trascinasse il paese in un incubo”. Djordje Ristic ha sessantatré anni ed è un giornalista in pensione che, non rassegnato a lasciare una redazione, ha fondato una rivista automobilistica che ora è il suo orgoglio. Oggi vive giornate tranquille, cadenzate dal numero mensile da chiudere e dal circolo nautico sulla Sava, il “Jedrilicarski Klub Gemax”, di cui è presidente e che vanta una delle più forti squadre di vela dei Balcani. Sicuramente più tranquille di quando, professionista dell’informazione, si era trovato suo malgrado a fare i conti con la censura, le pressioni che arrivavano dall’alto, dall’impotenza di fronte a una situazione nazionale e internazionale che si andava deteriorando anno dopo anno.

Al momento della successione, qual era l’opinione su Slobodan Milosevic?

Suscitava diffidenza sia all’interno che all’esterno del partito. Non era ritenuto al livello di Tito che, nonostante i limiti della sua applicazione del socialismo reale, garantiva ai cittadini la loro dignità sociale. Su Milosevic si può formulare solo una considerazione: ha avuto una grande abilità sostanziale che è stata quella saper cavalcare il risveglio di un grande movimento nazionale serbo. Un movimento che serpeggiava un po’ ovunque e che era particolarmente vivo in Kosovo. Ma si trattava appunto di un movimento nazionale, che si concretizzava in un’atmosfera di libertà, nella voglia di manifestare, nel reclamare i propri diritti. Non aveva una connotazione nazionalista. Il dittatore si dichiarava comunista, ma non era neanche questo. Riuscì a farsi capofila del nascente sentimento di ripresa culturale e politica serba per imbrigliarlo verso posizioni autoritarie sempre più soffocanti.
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