Immigrati, rom e giornalisti: pretesti per una surreale realtà

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Marco Bavaglio di VauroAttenzione: questo non è un racconto di Lansdale, accade. Anche se sembra assurdo. Tanto i problemi starebbero tutti nelle parole di un giornalista. Infatti, mentre il quotidiano Europa scrive che, sull’affaire Travaglio, “non ci sono in ballo né la lotta alla mafia (che prosegue con buoni successi e alterni governi), né il buon nome di politici e cariche istituzionali [ma] la pretesa di una fazione intellettuale e giornalistica di condizionare e orientare l’agenda dell’opposizione ai governi della destra, ricattando apertamente il Pd perfino sui suoi stessi giornali, come capita alla povera Unità”, dice Furio Colombo ad Articolo21:

Nell’Italia di oggi un solo giornalista che ha citato fatti pubblicati e finora non contestati si è trovato contro tutta la RAI, la presidenza del Senato con tutto il suo peso, e il capo dell’opposizione al Senato, presumibilmente in rappresentanza dei sentori di tutta l’opposizione. Ora, si può star tranquilli che nessuno ci riproverà, perché è stata confermata con forza l’idea che in RAI si va solo per fare quattro chiacchiere, grati dell’invito e attenti ad evitare quell’imperdonabile maleducazione che è avere un’opinione o proporre una citazione […]. Mi scandalizzano le parole usate da Luciano Violante che chiama “pettegolezzo” ciò che ha scritto un giornalista che è scortato per minacce di mafia, ovvero Lirio Abbate, il cui frammento di libro è stato citato da Travaglio. Chiamare pettegolezzo una testimonianza di mafia, mi pare inconcepibile e sta allargando in modo allarmante il “livello Bondi”, che sta diventando il parametro a cui una parte di dell’opposizione aspira ad omologarsi.

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Violazioni del diritto d’autore: foto di rei confessi

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Open Source Cinema – Remix The media chiede ai “criminali del diritto d’autore” di palesarsi e inviare la propria foto. E si scrive:

The current copyright climate makes us all copyright criminals. From trading music between friends, making backup copies of DVDs, an iPod party, a youtube mashup – its all copyright infringment, and it’s all against the law. So – are you a copyright criminal? We’ll edit together these photo mug shots into the movie. Download and print the photo plate below, take a picture with it, then upload it back here using the image submit form.

Il tutto sotto licenza Creative Commons Attribution-Noncommercial 3.0 e via BoingBoing.

Travaglio, Schifani e i pregressi che non vanno raccontati

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Via Voglio Scendere, il video del (pretestuosamente) contestato intervento di Marco Travaglio di ieri sera durante la trasmissione Che tempo che fa (oltre a quello sopra, ci sono altri due spezzoni). Qui la scheda completa (in pdf) dedicata a Renato Schifani, neo presidente del senato, che peraltro ancora di recente ha rilasciato dichiarazioni pubbliche a favore di personaggi che qualche rapporto con uomini di cosa nostra ce l’hanno avuto, dice una sentenza di primo grado. Per lo meno, tra tutte le condanne giunte a Travaglio, una voce a sostegno c’è.

La biopirateria interpretata dall’arte e dalla letteratura

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Documenta 12 - Biopiracy in Art and LiteratureLa biopirateria è, per citare l’articolo riportato da PeaceLink, “una nuova forma di colonialismo perpetrata ai danni delle popolazioni native e una colossale rapina che le multinazionali euro-americane, con in testa le grandi industrie farmaceutiche, avide di nuove fonti di guadagno, commettono ai danni delle comunità autoctone del Sud del mondo”. In proposito, sul sito Worldchanging, viene pubblicato il reportage Biopiracy in Art and Literature di Régine Debatty. È il resoconto di quanto esposto a Documenta 12, a Kassel, per destare attenzione su temi come i brevetti sulle sementi, la strumentalizzazione del materiale genetico o le speculazioni sulle popolazioni indigene.

Su Flickr le immagini delle installazioni e delle opere d’arte presentate in Germania (e rilasciate con licenza Creative Commons). Inoltre, per leggere ancora in tema: Andean farmers pick potato fight with Syngenta e Bolivian Farmers Demand Researchers Drop Patent on Andean Food Crop.

Omissis e il racconto dei fatti “tralasciati”

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OmissisOggi a Bologna si inaugura la mostra Omissis, curata dalla gallerista Laura Ramoino e dallo storico dell’arte Giorgio Di Genova. L’idea che ha portato alla realizzazione dell’esposizione è quella della scomparsa dei fatti, dei nomi e degli eventi storici e qui è stata pubblicata la galleria di immagini delle opere d’arte realizzate su questo tema. Nel catalogo che accompagna la manifestazione, si trovano poi racconti e testi a proposito di alcuni dei fatti di cui sopra, scritti da Paolo Bolognesi (presidente dell’associazione familiari delle vittime della strage di Bologna del 2 agosto 1980), Stefano Bonaga, Daria Bonfietti (presidente dell’associazione parenti delle vittime della Strage di Ustica la senatrice), Simona Mammano, Maurizio Matrone e Nanni Menetti. Qui una descrizione più estesa di Omissis e di seguito il testo scritto sulla vicenda della banda della Uno bianca per il catalogo.

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Uno bianca: le ombre su sette anni di terrore
Finché non si fa una distinzione tra quello che è avvenuto prima e quello che è avvenuto dopo, le idee non saranno mai chiare. Non è che il prima provochi e determini sempre il dopo, assolutamente no, però non si capisce come è nato il dopo se non si accerta l’esatto succedersi degli eventi. Poi ci sono le coincidenze che non sono mai da scartare […]. Una coincidenza è una coincidenza. Due coincidenze sono due coincidenze. Tre coincidenze sono un indizio.
Marco Nozza, Il Pistarolo

Pensare di poter raccontare qui per intero una vicenda come quella della Uno bianca è velleitario. Per due motivi. Da un lato, una storia che dura oltre sette anni – dall’ottobre del 1987 al novembre del 1994 – è sterminata, se si tiene conto dei numeri che quantitativamente la connotano. Vediamoli un attimo, questi numeri. Abbiamo una banda composta da sei persone. Cinque sono agenti di polizia in servizio tra la questura di Bologna e la Romagna e un sesto invece non appartiene alle forze dell’ordine, anche se avrebbe voluto: ci prova in gioventù a vestire una divisa, ma incassa un rifiuto a causa di un difetto di vista. Tre di questi sei individui sono fratelli: il vincolo di sangue, nel loro caso, si trasforma in condivisione di una carriera criminale che, con la complicità della parte restante del gruppo, li porta a colpire 103 volte, a uccidere ventiquattro persone e a ferirne 102. Per cosa? Poco più di due miliardi di lire che, tornando a una logica matematica bilanciata da una media aritmetica, si può tradurre così: 83 milioni per ogni vittima, poco più di 19 milioni per ogni azione e una cifra analoga per ogni ferito. Se ci aggiungiamo poi che, dei sei componenti della banda, mediamente erano in quattro a partecipare alle azioni, non è difficile comprendere quanto, in tutto quel tempo, il denaro di cui si appropriano i malviventi sia davvero roba misera.
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“Morire di carcere”: indagine da dietro le sbarre

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Via Pino Scaccia, segnalo un articolo pubblicato da PeaceReporter e scritto dalla giornalista Barbara Carcone, Morire di carcere in Italia:

Dall’inizio dell’anno più di trenta detenuti sono morti nei penitenziari italiani. Di questi, undici si sono suicidati. Sono i dati raccolti nell’ambito del monitoraggio “Morire di carcere”, consultabile sul sito Ristretti. Aggiornate al mese di aprile, queste stime si basano su informazioni raccolte dai giornali e agenzie di stampa, ma più spesso da comunicazioni di volontari e parenti dei detenuti. Informazioni faticosamente costruite, non ufficiali, né certamente complete. I decessi dei detenuti tendono a sfuggire all’attenzione pubblica e, non di rado, vengono trascurate più o meno distrattamente dalle autorità competenti. (…) Overdose, scioperi della fame, violenze, pestaggi, malattie curate male o non curate affatto, stati di degenza mentale e fisica: così si muore nelle prigioni italiane per “cause naturali”. Oppure ci si impicca con un lenzuolo. I decessi in carcere sono per buona parte suicidi, quelli che Adriano Sofri ha descritto come la “forma di evasione più diffusa e subdola”: un terzo dei 1.200 casi di decesso rilevati dal dossier “Morire di carcere” dal 2000 ad oggi.

Il giudizio universale e la questione femminile

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Giudizio UniversaleL’immagine di copertina è piuttosto esplicita. Il Giudizio Universale, mensile dedicato alle recensioni e diretto da Remo Bassetti, esce con uno speciale su “Volere/Violare” incentrato sulla “questione femminile” da diversi punti di vista. Gli articoli di cui si nutre il dossier sono stati scritti da Loredana Lipperini (Quote rosa nei consigli di amministrazione), Lella Costa (Cronaca e Storia raccontate solo dalle donne), Chiara Zocchi (Un nuovo vocabolario senza differenze di genere), Melissa P. (Cintura di castità e terapia psicologica per gli aggressori), Manuela Dviri (Matrimonio a termine, da rinnovare ogni dieci anni). Online non è disponibile molto del materiale pubblicato sulla rivista cartacea, a eccezione del pezzo La patente domestica di Alessandra Montrucchio, e di quello già sopra linkato di Melissa P. Per il resto, sarà una lettura interessante per le tradotte dei prossimi giorni.

Intanto, però, su tutt’altro argomento ma sempre sullo stesso sito, articolo divertente è quello di Francesca Bissatini, Mi hanno beccata:

Speciale governi animali. Secondo alcuni quello che sta per entrare a Palazzo Chigi è un esecutivo disumano. Secondo noi è meglio guardare altrove, andando a scoprire chi comanda nelle società non umane. I moderni pollai, ad esempio, sono caratterizzati da un bombardamento di notizie contrastanti proprio come le moderne società. Così le galline non capiscono più a chi tocca mangiare per prima.

MilanoNera: il primo numero è arrivato

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MilanoNera Web PressSe n’era accennato un po’ di tempo fa del progetto di passare da blog alla carta di Milano Nera. Ed è accaduto, Paolo Roversi ha mandato in rete e la rivista, che sarà distribuita gratuitamente in veste fisica, in sembianze virtuali può essere scaricata da qui (file pdf). Ecco come viene presentato il primo numero:

Un numero d’eccezione, da conservare, con interviste esclusive a Carlo Lucarelli, Massimo Carlotto, Joe Lansdale, Leonardo Padura Fuentes solo per citarne alcuni. Ospiterà rubriche fisse come Taxi Blues, tenuta dalla scrittrice taxista Raffaella Piccinni, anteprime di romanzi, ed una trentina, fra interventi e recensioni di libri, redatti da importanti scrittori come Giampaolo Simi, Nicoletta Vallorani, Paolo Bianchi, Paolo Grugni, Valeria Palumbo, Adele Marini, Daniele Biacchessi e molti altri ancora. Dal 15 maggio la rivista sarà disponibile in tutte le librerie italiane con una particolare presenza nelle librerie Feltrinelli. La rivista uscirà ogni due mesi con una tiratura base di trentamila copie, in concomitanza con i principali eventi letterari italiani (Salone del Libro, Festivaletteratura, Courmayeur Noir Festival, ecc).

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Peppino Impastato: un’onda pazza che non muore mai

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Onda pazza a cura di Guido Orlando e Salvo VitaleTra pochi giorni (il 9 maggio prossimo, lo stesso giorno del ritrovamento del corpo di Aldo Moro) saranno trascorsi trent’anni dall’omicidio di Peppino Impastato e un bel modo per ricordarlo è il libro Onda pazza – Otto trasmissioni satirico-schizofreniche (Stampa Alternativa, 2008) curato da Guido Orlando e Salvo Vitale della redazione storica di Radio Aut. A prefazione del volume, Vauro ha scritto che Onda pazza non muore mai. Un bel pezzo sulla società e sulla ribellione alla mafia nel 1978. E oggi-

Ho provato a immaginare che quella per Peppino, a distanza di trent’anni dal suo assassinio, potesse essere una “commemoriazione”: invece non può che essere un ricordo. Non solo perché Peppino certamente non avrebbe gradito di essere considerato un eroe, da commemorare, appunto. Ma anche perché le “commemorazioni” si fanno per i vincitori e la battaglia contro la mafia non è stata vinta. Anzi, in questi trent’anni, nonostante molti altri siano caduti nel tentativo di contrastarla, quella battaglia non si è mai voluta combattere.

Non hanno voluto e non vogliono combatterla i potenti della finanza e della politica. Così chi è morto come Peppino è morto solo, sia che indossasse una sciarpa rossa, sia un’uniforme o una toga. E se per i fedeli servitori dello Stato caduti ogni tanto si fa qualche cerimonia in pompa magna è solo per nascondere le complicità dietro l’ipocrisia di uno sdegno inesistente. Per gente come Peppino poi non vale la pena di fare nemmeno quello: perché lui all’impegno dello Stato contro la mafia non ci aveva mai creduto.
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Parabola di un campione: quando lo sport distrugge

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Era mio figlio di Tonina Pantani e Enzo VicennatiDue libri per raccontare la storia di quella che a buona ragione può essere definita una leggenda del ciclismo italiano. Una leggenda che inizia a nutrirsi di un’ascesa folgorante, apparentemente inarrestabile, ma che, dopo il 5 giugno 1999, giorno in cui Marco Pantani viene escluso dal Giro d’Italia, si alimenta anche della caduta, irrefrenanile e sempre più rapida, di un uomo che aveva fatto sognare i tifosi. I libri, usciti a poche settimane di distanza, sono Gli ultimi giorni di Marco Pantani, scritto dal giornalista francese Philippe Brunel, ed Era mio figlio, realizzato da quattro mani dalla madre del ciclista, Tonina Pantani, e da Enzo Vicennati, caporedattore centrale della rivista Bicisport.

Non si sovrappongono, questi due volumi, nel raccontare la storia dello sportivo di Sala di Cesenatico, provincia di Ravenna, ma presentano aspetti complementari di una medesima vicenda. Che non è solo una sfortunata parabola conclusasi in un anonimo residence di Rimini il 14 febbraio 2004 con la morte del campione romagnolo. È anche un resoconto dal dietro le quinte dello star system sportivo: un ambiente fatto sì di grandi soddisfazioni, ma anche di invidie, di denaro abbondante e di trucchi sia da parte degli sportivi che di coloro che dovrebbero evitarli, questi trucchi.
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