Maurizio Minghella: i delitti di un assassino seriale (seconda parte)

Standard
Spread the love

Maurizio Minghella

(Qui la prima parte) “Non sono stato io”. Maurizio Minghella, nemmeno dopo l’ergastolo per i primi quattro delitti, quelli del 1978, ammise di aver ucciso. Continuò a proclamare la sua innocenza dal carcere di massima sicurezza di Porto Azzurro, all’Isola d’Elba, e nel 1995 la sua condizione cambiò in meglio quando venne trasferito alle Vallette di Torino ottenendo la semilibertà. Sembrava rigare dritto e andò a lavorare come falegname per la cooperativa “Piero e Gianni” del Gruppo Abele.

A chi lo seguiva, il passato infarcito da difficoltà scolastiche, piccoli furti e pose da playboy appariva un capitolo chiuso. Addirittura aveva conosciuto una donna e nel 1997 era arrivato un bambino. Due anni dopo aveva una nuova compagna, ma i guai erano dietro l’angolo.

Sospettato di una rapina a una prostituta albanese, a breve di problemi ne avrebbe avuti di più gravi. Il 17 febbraio 2001, all’uscita della tangenziale di Collegno-Pianezza, era stato infatti scoperto il corpo di una donna uccisa otto giorni prima. Era Florentina Motoc, Tina, 21 anni. E consultando i database della polizia ecco che saltò fuori un nome: Maurizio Minghella. Che all’inizio sembrò avere un alibi (era al lavoro fuori città), ma si scoprì che quando Tina fu uccisa si era dato malato. A quel punto il Gruppo Abele cominciò ad avere dubbi sul suo falegname e si fece carico delle spese per riportare in Romania il corpo di Tina, rimasto per l’anno successivo in una cella frigorifera dell’obitorio perché la famiglia non aveva soldi.

Ancora una volta l’uomo si dichiarò innocente, ma gli investigatori, coordinati dal pubblico ministero Roberto Sparagna, andarono a rispolverare altri delitti irrisolti. C’era quello avvenuto il 20 agosto 1996, vittima una giovane resa irriconoscibile al punto da essere chiamata “la donna col corpetto rosso”. Poi c’era l’omicidio di Fatima H’Didou, 27 anni, strangolata il 24 maggio dell’anno successivo. Sulla coscia aveva un preservativo usato e gli esami dissero che il materiale biologico era compatibile con il profilo genetico di Minghella. E ancora c’era Cosima Guido, chiamata Gina, 66 anni, assassinata all’interno dell’appartamento in cui si prostituiva. Qui furono trovati altri tre preservativi e 26 pezzi di carta assorbente usati dai clienti. Uno, avrebbe confermato il dna, era Minghella.

Assolto per il delitto della sconosciuta, per gli altri fu condannato e si aggiunsero ulteriori 131 anni per le aggressioni e le rapine compiute tra il 1996 e il 2001. Prima del verdetto, riuscì a evadere simulando un malore, minacciò il dottor Sparagna e in seguito, prima dei sospetti per la morte di Floreta Islami, l’ultima che gli è stata contestata, nel 2014 la procura di Torino ha riaperto altri tre “cold case” degli anni Novanta, gli omicidi di Loredana Maccario, Carolina Gallone ed Ebe Musso.

(Questo articolo è stato pubblicato sul settimanale In famiglia)