Gli ultimi mesi hanno hanno portato con sé novità di non scarso rilievo per la strage di Ustica del 27 giugno 1980. Prima fra tutte la sentenza pronunciata in settembre dalla terza sezione civile del tribunale di Palermo che accorda ai familiari delle vittime un maxi risarcimento – 100 milioni di euro, più interessi e oneri accessori – a causa delle “omissioni e negligenze” dei ministeri dei Trasporti e della Difesa nell’accertamento dei fatti.
Se la parola sul procedimento civile rimane aperta (a febbraio è partito l’appello dopo il ricorso dello Stato), nelle scorse settimane si è delineato un ulteriore fronte: quello che richiama un causa una sciagura aerea di qualche anno dopo. È quella della pattuglia acrobatica delle Frecce Tricolori avvenuta in Germania, a Ramstein, il 28 agosto 1988. Tra le 70 vittime (3 militari italiani e 67 civili a terra), ce ne sono due che la sera del 27 giugno 1980 stavano sorvolando i cieli del Mediterraneo alla guida di un biposto, un TF104G. A un certo punto diramarono un allarme, un “codice 73”, per segnalare qualcosa di anomalo che però – data la tipologia dell’allarme – non riguardava il loro mezzo.
I due militari si chiamavano Mario Naldini e Ivo Nutarelli e morirono insieme a un terzo ufficiale, il capitano Giorgio Alessio, nel corso dell’esibizione all’Airshow Flugtag ’88, che si stava svolgendo presso la base Nato tedesca. Non fecero in tempo quindi a raccontare perché più di otto anni prima lanciarono del sos. Inoltre se la loro morte è stata messa spesso in relazione a informazioni che avrebbero custodito sul disastro aereo di Ustica, oggi c’è chi torna a chiedere la riapertura delle indagini.
Tra chi lo fa compare in prima linea un avvocato siciliano, Daniele Osnato, colui che – insieme ai colleghi Alfredo Galasso e Vanessa Fallica – ha rappresentato una cinquantina delle famiglie delle 81 vittime di Ustica consentendo loro di vedersi riconosciuto, in primo grado, il maxirisarcimento di Palermo. In base a quanto ha detto prima a un mensile, Il Sud, e poi confermato ad altri organi di stampa, Osnato sospetterebbe un sabotaggio all’origine della sciagura tedesca.
Il sospetto sarebbe supportato da due elementi. Da un lato, l’Aermacchi Mb-339 che pilotava il tenente colonnello Naldini avrebbe avuto freno aerodinamico e carrello d’atterraggio aperti. Un’anomalia meccanica che, da un punto di vista tecnico, non avrebbe dovuto essere riscontrata con il mezzo che viaggiava alla velocità tenuta nel corso dell’esibizione. Inoltre sarebbero stati assenti i quattro blocchi in acciaio ai serbatori del carburante, chiamati in termini specialistici “riscontri”.
Si tratta di elementi sufficienti per chiedere la riapertura delle indagini e collegare in via ufficiale Ustica a Raimstein? Se sarà la magistratura a doversi esprimere su questo punto, immediata è stata la reazione dell’aeronautica militare, in base alla quale le affermazioni giunte dalla Sicilia a proposito di un sabotaggio in Germania “sono smentite da obiettive risultanze investigative e processuali. Dopo l’incidente aereo di Raimstein sono state costituite due commissioni di investigazione. Inoltre il giudice istruttore del tribunale di Udine, il dottor Roberto Paviotti, ha concluso l’indagine evidenziando che l’evento di Ramstein non è ascrivibile a responsabilità penale di alcuno”.
Una dichiarazione data per scontata dall’associazione vittime di Ustica che in queste settimane rimane concentrata sul secondo grado del procedimento civile di Palermo. Il primo processo, presieduto dal giudice Paola Proto Pisano, si era concluso il 12 settembre 2011 stabilendo che la sicurezza del volo Itavia 870 non era stato garantito soprattutto in una tratta, il cosiddetto “Punto Condor”, ritenuto di particolare rischio per via delle attività militari che in quel punto si concentravano.
Ma un altro elemento torna nel pronunciamento di fine dell’estate scorsa: la negazione del diritto alla verità per i familiari delle vittime. I quali, nel corso degli anni, nel frattempo trasformatisi in decenni, sarebbero stati sottoposti a quella che è stata chiamata la “tortura della goccia cinese”. In altre parole uno stillicidio di omissioni, segreti, documenti sottratti o alterati che si è aggiunto al lutto per chi non sopravvisse a quel volo, partito da Bologna e diretto a Palermo.
Rimane in ultimo, in tema Ustica, un discorso su cui la cautela è d’obbligo. Riguarda i documenti che sarebbero emersi dagli archivi libici alla caduta del regime di Muammar Gheddafi. Documenti che darebbero la versione d’oltre Mediterraneo sugli accadimenti del 27 giugno 1980, ma che non sarebbero ancora stati visionati da autorità diplomatiche, politiche o militari italiane. Conservati a Tripoli, il loro ritrovamento era stato annunciato qualche mese fa da Peter Bouckaert, direttore del settore emergenze di Human Rights Watch, che opera nel Paese. Occorre però attendere che la confusione nel Paese scemi abbastanza per capire se esistono e se in effetti possano aggiungere conferme agli elementi di conoscenza contenuti fin dal 1999 nella sentenza-ordinanza del giudice Rosario Priore.
(Questo articolo è stato pubblicato sul numero di marzo 2012 del mensile La voce delle voci)
L’ impressionante massa di falsità e di invenzioni diffuse sul caso Ustica, di cui la teoria dell’attentato di Ramstein ai due piloti è solo l’ultimo capitolo, ha fatto perdere ogni interesse per una ricostruzione oggettiva dei fatti. Per qualche dettaglio v. il sito http://www.claudiopizziit.wordpress.com.