Fino al 7 ottobre. Tanto dovranno ancora attendere i 17 ex dipendenti campani di Unicoop Tirreno che, “ceduti” a una società locale nel 2009 insieme ai punti vendita in cui lavoravano, non hanno mai ripreso servizio e che, dopo essere stati licenziati, dell’ultima mensilità e della liquidazione non hanno visto traccia.
Della loro vicenda si sta adesso occupando il tribunale di Napoli in una causa che, partita nell’autunno 2010, non si sta rivelando rapida a giungere a conclusione. Eppure ci sarebbe già una sentenza, anzi due, pronunciate dal tribunale del lavoro di Avellino, che impongono al colosso toscano della grande distribuzione il reintegro di due ex lavoratrici, Lucia Di Maio e Margherita Molinari, fino a due anni fa in forza alla Coop di Solofra.
Ma da Piombino, la cittadina in provincia di Livorno dove ha sede Unicoop Tirreno, si era fatto sapere che a ciascuna delle due donne che “la scrivente cooperativa [non] ha la possibilità di adibirla presso altre unità produttive alle medesime mansioni da quelle […] svolte in precedenza. Non sussiste quindi alcuna
opportunità di […] utile impiego”.
Questa è una storia di disoccupazione nel Mezzogiorno d’Italia. Una storia che ha coinvolto una sessantina di persone, parte delle quali uscita di scena in oltre due anni. E che al momento vede ancora con un destino incerto, segnato dalla percezione di un impossibile impiego futuro, per 17 lavoratori. “Noi rivogliamo solo il nostro posto di lavoro”, dice Carlo Vuolo, delegato a rappresentare gli ormai disoccupati di Nocera Inferiore e i colleghi di altri negozi.
E Vuolo, quarantasettennne di Sarno, tre figli e senza nemmeno più l’ammortizzatore della cassa integrazione, ribadisce, a conclusione dell’udienza dello scorso 30 giugno: “Non accettiamo i 10 mila euro di Unicoop Tirreno, tanti ne sono stati offerti ai lavoratori campani perché la questione fosse chiusa una volta per tutte. L’unico risarcimento che pretendiamo è il posto di lavoro. I soldi non ci interessano, altrimenti avremmo agito diversamente e magari avremmo presentato noi per primi una richiesta economica, senza attendere che ci venisse sottoposta”.
Una storia di cooperazione finita senza nemmeno più la cassa integrazione. La vicenda di questi lavoratori inizia nel 1999 quando Unicoop Tirreno acquisisce i punti vendita di Solofra, Castellammare di Stabia, Soccavo e Nocera, prima di Unicoop Campania dopo essere transitati per breve tempo attraverso Coop Toscana-Lazio. Un riassetto che dovrebbe garantire posti di lavoro a una sessantina di persone e buone pratiche di cooperazione. E così in effetti accade per qualche anno: i negozi lavorano, i tassi di taccheggio sono tra i più bassi d’Italia e la clientela sembra soddisfatta.
Tra il 2008 e il 2009 però arriva qualche avvisaglia di problemi. Dalla Toscana si lamentano questioni di bilancio che potrebbero far cedere come ramo d’azienda i quattro supermercati campani e il 19 aprile 2009 viene recapitata ai dipendenti una lettera di licenziamento, passaggio necessario al riassorbimento nella nuova azienda.
All’inizio la candidata a rilevare i negozi è Cavamarket di Antonio Della Monica, che in Campania gestisce i punti vendita a marchio Despar. Ma la cessione viene contestata dalla Filcams Cgil perché si teme il non rispetto dei contratti. E in effetti l’opposizione dei sindacati aveva ben ragion d’essere dato che la storia di Cavamarket si conclude il 7 giugno 2011 con un crac da 300 milioni di euro e 12 arresti firmati dal gip di Salerno su richiesta della procura locale. A finire in carcere per bancarotta fraudolenta sono lo stesso Della Monica, oltre a Raffaele, Salvatore, Marcello, Massimo, Giovanni, Roberto e Vincenzo D’Andrea, Raffaele Capasso e Marco Senatore.
Prima di arrivare però a questo punto, i quattro negozi campani trovano un altro acquirente, un imprenditore di Castellammare di Stabia, Michele Apuzzo, che gestisce il marchio Sunrise e che, visure camerali alla mano, risulta proprietario della Immobilmare Srl (dalla cui compagine societaria la Cavamarket è passata uscendone però quasi subito rientrandone di recente). È un’azienda nata nel 2003 e con un capitale sociale di 95 mila euro interamente versati, ma che fino al 2009 non risultava aver gestito attività economiche né aver avuto fatturato.
Anche questa soluzione non piace ai lavoratori, ma nulla riesce a fermare la cessione, per quanto nell’estate 2010 la Immobilmare subisca qualche aggiustamento aziendale. Apuzzo rimette il suo incarico di amministratore delegato e il suo ruolo viene assunto da Renzo Iannattone, di Pignataro Interamna, provincia di Frosinone. Nel frattempo la sede legale viene spostata a Pompei, ma quando i lavoratori vi si recheranno per parlare con i vertici dell’azienda troveranno solo un’abitazione privata.
Nel frattempo sessanta lavoratori sono per strada. Perché voler conferire con l’azienda? Perché intanto i dipendenti si sono trovati senza lavoro. Per tramite sindacale, a tutti era stato chiesto se fossero disposti ad andarsene di propria sponte. Per chi non avesse accettato, invece, si prospettava lo stato di mobilità per un periodo tra i 3 e i 4 anni, variabile a seconda dell’età.
“Il suggerimento del sindacato è stato quello di accettare la proposta perché, in caso contrario, i dipendenti avrebbero potuto fare una brutta fine con la nuova azienda”, spiega ancora Vuolo. Con lui altre 16 persone che si riuniscono in un comitato sindacale di base con cui l’Immobilmare però non vuole trattare perché non fa parte delle sigle che hanno firmato gli accordi collettivi. E intanto i guai sono iniziati.
Se a Nocera i lavoratori all’inizio riprendono a lavorare, a giugno 2010 arriva il licenziamento mentre il negozio di Soccavo, ufficialmente in ristrutturazione, non riaprirà mai perché gli addetti alle vendite sono stati messi in cassa integrazione. A Solofra – dove si trova il magazzino per il quale lavorano le due dipendenti a cui il tribunale di Avellino ha dato ragione – un incendio devasta il locale. Per tutti, insomma, l’unica possibilità è ricorrere alle vie legali, a oggi senza risultati (o con risultati che non sono stati tenuti in considerazione).
La rabbia dei lavoratori monta al punto che, nel dicembre 2010, quando viene aperto un superstore Coop ad Arenaccia (Napoli), oltre 2 mila metri quadrati con 150 posti auto, i lavoratori organizzano una manifestazione per sensibilizzare azienda e clientela sulla loro condizione. Ma a parte qualche trafiletto sulla stampa locale, altri risultati non se ne ottengono.
“Siamo disponibili a trasferirci, ad andare al Nord, in Croazia o dove vogliono metterci”, ha detto ancora Vuolo a nome anche dei colleghi. “In cooperativa ho lavorato per oltre 25 anni e anche gli altri hanno più o meno la mia stessa esperienza nel settore. Un bagaglio che però sembra non valere niente, in barba a qualsiasi dichiarata solidarietà sbandierata in campagne pubblicitarie”. E se segue qualche contatto privato con vari centri Coop che assicurerebbero una soluzione al problema, di fatto al momento non sembra esserci altra possibilità, da parte dell’azienda, che accettare i 10 mila euro per apporre una pietra tombale alla vertenza. Da parte dei lavoratori, invece, si attende il 7 ottobre prossimo quando ci sarà la nuova udienza di fronte al tribunale del lavoro di Napoli.
Sembra un paradosso mai e poi mai mi sarei aspettata che Coop l’azienda “diversa dalle altre”come si definiscono per antonomasia avrebbe adottato comportamenti cosi camorristici nei confronti di noi lavoratori ;l’indifferenza l’incoerenza il mobbing nei nostri confronti la fanno da padrone ,e con la crisi economica e i’alto tasso di perdita di lavoro che c’e’ oggi a livello nazionale ,restiamo emarginati ,facciamo ormai parte del popolo degli invisibili.
Nonostante tutto la Coop continua i suoi investimenti ,continua anche al Sud a seguire iter di rilancio dei superstore aprendo nuovi punti vendita ed ovviamente facendo assunzioni ,ma anche questo per loro e’ un comportamento razionale ,non vi e’ collocazione per 15 persone a fronte di 600 assunzioni avvenute nel corso del 2010,e’ evidente la disparita’ dei trattamenti nei nostri confronti trattati come criminali da sopprimere ;nulla emerge nel mondo dei midia ,tutto viene recepito anche dai grandi dirigenti nazionali coop ,ma non uno ad oggi ha voluto interessarsi a noi ,come dire la sovranita’ del potere va avanti ,con sempre piu’ indifferenza altro che solidarieta’ e lo slogan non e’ piu’ “la coop sei tu”ma in coop vince chi ha piu’ potere::::::::::::::
Cara Lucia tutto quello che scrivi e’ vero, i vertici di Unicoop Tirreno , stanno distruggendo i nostri sogni, i nostri ideali ma soprattutto i sogni dei nostri figli. “Noi rivogliamo solo il nostro posto di lavoro” !!!