Quando si dice che le parole possono ferire, non si sta affermando un’ovvietà. E il fatto che nel romanzo L’estate di Montebuio il male che ferisce e uccide si concentri intorno a una macchina da scrivere, una Continental nera, è il trait d’union tra un’estate del 1962 (un anno maledetto, per Danilo Arona) e un inverno di oggi, tra un bambino affascinato dai suoi meccanismi e uno scrittore ormai avviato alla maturità che per affrontare ricordi ed errori sceglie il suicidio come forma per saltare indietro. E anche tra un carabiniere e un anatomopatologo che indagano sul ritrovamento del corpo intatto di una ragazzina scomparsa da oltre quarant’anni e una comunità montana trincerata dietro un’apparente tranquillità.
Sono questi alcuni degli elementi che si ritrovano nel libro, a cui vanno aggiunti la musica rock (immancabile nei libri di Arona), la superstizione, la contaminazione delle credenze, un satana che non è mai il simbolo cristiano ma un caleidoscopico filtro per un male più complesso, e la violenza quotidiana, che sia consumata all’interno di un carcere o a pochi passi da un sentiero d’alta quota. L’estate di Montebuio è un crocicchio dove si intersecano alcuni dei temi più ricorrenti dell’autore, che più che uno scrittore è un ricercatore, uno che setaccia le tre dimensioni note e alcune altre meno tangibili. Le sue, come le definisce lui stesso, sono “storie ai confini della realtà” che rievocano la Twilight Zone di Rod Serling, Richard Matheson e Ray Bradbury proprio perché dal reale partono.
In altre vicende da Arona narrate, troviamo infatti il musicista che vorrebbe suonare come Jimi Hendrix. Quando ci riuscirà, la circolazione intracranica gli esploderà nella testa e lui perderà anche una mano, troncata dall’invidia di un demone che in vita non raggiunse mai lo stesso risultato. Oppure c’è l’autostoppista ignota, travolta e uccisa sull’autostrada Bologna-Padova e mai reclamata da alcun familiare che la piangesse. Così, come se fosse una leggenda metropolitana, ricompare e svanisce solo dopo aver urlato la sua eterna solitudine. E proprio il concetto di leggenda metropolitana non è casuale nelle opere di Danilo Arona: la leggenda metropolitana è un confine sociale tra il vero e l’immaginato, tra una concreta paura condivisa e quell’elemento fantastico che l’allontana dal vissuto quotidiano. È il concetto del mostro che si deve tenere fuori, lontano da sé, ma che poi è fin troppo vicino. In proposito, ben scriveva Ira Levin in un romanzo strepitoso, I ragazzi venuti dal Brasile, quando metteva in bocca a uno dei suoi personaggi questa affermazione:
Un giorno, pensò, mi piacerebbe incontrare un mostro che abbia l’aspetto di un mostro.
E qua si parlava di nazismo, non di paranormale.
L’estate di Montebuio di Danilo Arona (Gargoyle Books, 2009) — 538 pagine — € 13,50 — ISBN 978-88-89541-32-6
(Questa recensione è stata pubblicata sul terzo numero della rivista Tracce di eternità. Per scaricare in pdf la pubblicazione: questo è il link)