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— Antonella Beccaria (@abeccaria) 15 Febbraio 2016
stragi nazifasciste
A settant’anni dall’eccidio di Marzabotto, la memoria e la storia passano dal web (e dai familiari delle vittime)
StandardSettant’anni fa iniziava l’eccidio di Marzabotto. Un sito, realizzato dai familiari delle stragi nazifasciste anche di Grizzana Morandi e Monzuno, ne ricostruisce la storia e ne conserva la memoria.
Dal Fatto Quotidiano: Sant’Anna di Stazzema, le voci delle vittime da “ascoltare” per affrontare il presente
StandardOggi è un giorno particolare. Per scovarne il motivo, la memoria deve tornare indietro di 70 anni, al 12 agosto 1944, quando i tedeschi della 16ma SS-Panzergrenadier-Division Reichsführer SS e i loro italianissimi collaboratori fascisti fucilarono 560 persone – di cui 130 bambini – a Sant’Anna di Stazzema per emularsi nei giorni successivi via via che raggiungevano le località limitrofe. Moltissimo tempo dopo – correva già da qualche anno il primo secolo del nuovo millennio – uno scampato a un’altra strage disse a un avvocato: “Vedi quel fiore, senti il suo profumo? […] Avevo sei anni quando vidi uccidere la mia famiglia. Spararono anche a me ma, non so come, sono sopravvissuto. Sono rimasto però dentro un rovo di spine ed è solo raccontandotelo che posso uscire dal ricordo”.
Alle vittime – 15 mila – degli eccidi nazi-fascisti del biennio 1943-1944 a lungo è stata negata la verità. Lo si è fatto addirittura inventando una formula giudiziaria che nell’ordinamento italiano – militare o civile che fosse – non esisteva, quella dell'”archiviazione provvisoria” che faceva il paio con la “secretazione” della verità su quanto accadde in quegli ultimi anni della seconda guerra mondiale. I fascicoli d’indagine che si sarebbe voluto soffocare, zittire forse per sempre, erano 695, nutriti da centinaia di faldoni e a loro volta composti da talmente tanti documenti da sembrare impossibili da contare. Tutti insieme – fascicoli, faldoni e documenti – sono stati chiusi nell'”armadio della vergogna”, le cui ante si sono dischiuse solo nel 1994 in una stanza del romano palazzo Cesi-Gaddi.