“E rimasero impuniti”: sotto il ponte un corpo con i piedi immersi nell’acqua del Tamigi

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E rimasero impunitiIl 18 giugno 1982, il primo ad accorgersi di un cadavere fu un dipendente della Daily Express. Si chiamava Anthony James Huntley e alle 7,25 stava camminando lungo la riva del Tamigi, sul lato nord del fiume. Percorrendo quella strada, sarebbe passato sotto il ponte dei Frati Neri al quale era fissata un’impalcatura che finiva nell’acqua. Quella mattina, all’impalcatura, c’era attaccato qualcosa di strano e Huntley si sporse per vedere di che si trattasse. Era il corpo di un uomo. I piedi erano immersi nell’acqua fino alle caviglie e intorno al collo passava una corda annodata a uno dei tubolari.

L’istinto del passante fu quello di scappare e come un dannato fece il suo ingresso al lavoro. Stephen Edwin Pullen, un collega, si accorse che qualcosa non andava e nel giro di qualche minuto aveva avvertito la polizia per poi trascinare Huntley di nuovo verso il ponte. Così, venticinque minuti più tardi, i due erano già lì a indicare il corpo dello sconosciuto agli agenti John Palmer e Gerald Saint. Che si misero ad appuntare i primi particolari della scena. La corda che a cappio passava intorno alla gola del cadavere era in fibra sintetica arancione ed era stata legata intorno a un occhiello di metallo del secondo tubo dell’impalcatura, allestita il 10 maggio 1982 per alcuni lavori di manutenzione a un canale di scolo. La struttura, in base alle annotazioni della polizia metropolitana, era stata agganciata una ventina di centimetri sotto il parapetto del ponte e scendeva per otto metri. Vi si poteva accedere usando una scala a pioli di metallo che arrivava a lambire la superficie del fiume e gli ottanta centimetri che la separavano dall’impalcatura erano colmati da un’asse di legno.

Intanto era arrivata anche una motolancia della polizia fluviale con altri tre agenti, Michael Stewart, John Johnston e Donald Bartliff, che slegarono la fune senza rimuovere il cappio dal collo. Dopodiché, tutti e tre adagiarono il corpo sull’imbarcazione lottando contro i suoi 85 chili e i flutti della marea crescente. Infine raggiunsero la banchina di Waterloo, dove il morto venne disteso in attesa del medico legale, che arrivò alle 9,40.
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Calvi, il processo di secondo grado e gli impuniti: a breve la sentenza d’appello

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E rimasero impunitiA proposito di coloro che rimasero impuniti, si può leggere oggi su Calvi [e il suo] processo dimenticato:

Piazzale Clodio, Roma, in un’aula semivuota della palazzina A si svolge da mesi il processo per l’omicidio di Roberto Calvi, l’ex presidente dell’Ambrosiano trovato impiccato il 18 giugno 1982 sotto il ponte dei Blackfriars a Londra. Sono trascorsi 28 anni da quel giorno e questa potrebbe essere l’ultima occasione per fare luce sull’oscura fine dell’ultimo “banchiere di Dio”. In primo grado i quattro imputati sono stati tutti assolti dall’accusa di aver ucciso il presidente dell’Ambrosiano che – a dire del pm Luca Tescaroli – sarebbe stato eliminato per vendetta dalla mafia siciliana che nel crac aveva perduto centinaia di miliardi di dollari. Gli imputati sono Pippo Calò, Ernesto Diotallevi, Flavio Carboni e Silvano Victor. Ognuno di loro rappresenta un pezzo della storia criminale di questo paese, la mafia, la Banda della Magliana, la P2. La sentenza d’appello è prevista a giorni ma l’ipotesi che capovolga il verdetto assolutorio di primo grado appare lontana in quest’aula dove si consumano gli ultimi passaggi del processo più dimenticato di questi anni. Anche se ci aiuterebbe a capire quale eredità ha lasciato nell’Italia di oggi quel cadavere penzolante tra i grattacieli della City.

Da alcune fonti la sentenza di secondo grado è prevista entro i primi dieci giorni di maggio (per cui a brevissimo). E leggere dispositivo e motivazioni sarà utile per capire (o avere conferma di?) un pezzo di questo Paese e dei suoi livelli di impunità.

“E rimasero impuniti”: crimini legati al delitto Calvi il 19 maggio in libreria e in download

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E rimasero impunitiSi intitola E rimasero impuniti – Dal delitto Calvi ai nodi irrisolti di due Repubbliche e uscirà in libreria per Socialmente Editore il prossimo 19 maggio (contestualmente il pdf integrale sarà scaricabile da Internet). Il libro si pone in continuità con Il programma di Licio Gelli (in download da qui), uscito un anno fa, e può essere considerato come un secondo capitolo di una storia tutt’altro che chiusa. Per sommi capi, ecco ciò di cui si parla:

La sentenza che chiude il processo di primo grado per la morte di Roberto Calvi, il banchiere di Dio, manda assolti tutti gli imputati, qualcuno con formula piena e quasi tutti gli altri con la vecchia insufficienza di prove. Tra questi ci sono Flavio Carboni, Pippo Calò, Ernesto Diotallevi e Silvano Vittor. Nomi che, nella recente storia italiana, significano imprenditoria disinvolta, affarismo, cosa nostra, banda della Magliana, terrorismo, stragi e contrabbando. Ripercorrere questo pezzo di passato prossimo significa addentrarsi in angoli di una Repubblica che, tra Prima e Seconda incarnazione, non ha ancora fatto i conti con quanto ha vissuto negli ultimi decenni.

La prefazione è stata scritta da Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione tra i familiari delle vittime della strage di Bologna del 2 agosto 1980. Ed è dedicato a Oscar Marchisio, amico ed editore scomparso lo scorso agosto. Mi aveva proposto meno di due anni fa di scrivere Il programma di Licio Gelli e dunque anche questo secondo lavoro non sarebbe in pubblicazione se non fosse stato per lui.