Pentiti di niente: “Un memoriale cosparso di frasi dubitative”

Standard

Carlo SaronioÈ a fine ’79 che in questa vicenda dunque Carlo Fioroni si presenta come protagonista, sulla scia di quanto sta già facendo un altro ex-compagno, Antonio Romito, che ha fatto partire l’indagine padovana. Nei primi giorni del dicembre 1979 Fioroni chiede di poter essere ascoltato nell’ambito dell’indagine “7 aprile” e inizia un racconto che calza a pennello con quanto i magistrati stanno delineando: mette in relazione infatti il nome di Toni Negri con quello di altri 149 militanti della sinistra extraparlamentare, indicati tutti come complici in moltissime azioni che vanno dal sequestro Saronio a una serie di delitti commessi quando Fioroni era già in carcere e che dunque non può conoscere. Almeno non di prima mano. In merito alle accuse che piovono copiose prima e durante il processo di secondo grado per la morte di Carlo Saronio e che vengono credute malgrado l’imprecisione della fonte, scrive in proposito il giornalista e scrittore Pasquino Crupi:

Tutto il memoriale di Fioroni è cosparso e, nei punti delicati, sorretto (diciamo demolito) da sospensioni di memorie, incisi dubitativi, impressioni, opinioni, deduzioni, sensazioni, locuzioni cautelative, allargamenti, estensioni e generalizzazioni. Li trascriviamo, mettendo in parentesi le frequenze d’onda. Non so (6); Non ricordo se (12); se ben ricordo (2); non mi sovviene il nome (1); non ricordo il nome (7); se non ricordo male (1); non ricordo (3); ho il vago ricordo (1); a quanto ricordo (1); di cui non so il nome (1); mi pare (16); mi sembra (8); avevo l’impressione (1); non sono sicuro (1); non sono sicurissimo (1); sono quasi sicuro (1); ritenni (1); ritengo (6); sono intimamente convinto (1); mi convinsi (1); ho sempre ritenuto (1); non escludo (3); se non erro (6); se non m’inganno (1); se non vado errato (7); se non sbaglio (1); mi posso sbagliare (2); mi riferì (7); mi fu riferito (2); che io sappia (1); a quanto seppi (1); a quel che seppi (2); per quanto io ne sappia (1); come seppi (3); da quanto appresi (1); a quanto appresi (2); come m’informò (1); come mi raccontò (1); mi risulta (4); non sono in grado (4); mi domando ancora (1); nessun dubbio (1); non ebbi dubbi (1); mi fece intendere (1); io intesi (1); solo in via d’ipotesi posso pensare (1); mi fece pensare (1); attribuii successivamente nella mia mente (1); trassi il sospetto (1); non posso precisare (1); si può affermare (1); poco prima o poco dopo (1); dopo un giorno o due (1); a mio avviso (1); forse (7); probabilmente (3); quasi sicuramente (1); quasi certamente (2).

Continue reading

Processo 7 aprile: il bilancio di Toni Negri trent’anni dopo

Standard

Ancora sull’argomento di cui si parlava ieri. Circa 300 anni di carcerazione preventiva nel complesso, la demolizione di un pugno di intellettuali che puntavano su un “modello di ‘insegnamento partecipato'”, lo smantellamento dell’asse studenti-professori-operai nel portare avanti istanze di lotta sociale. Di questo e di molto altro ha scritto lo scorso 25 febbraio Toni Negri a proposito del processo 7 aprile. Il tutto riportato integralmente sul blog BlankReg.Net all’interno di Via 8 febbraio? No: “via 7 aprile”.

Nicotri: il 7 aprile, i teoremi e i pseudoracconti in tempi di affarismo

Standard

Spettacolare post di Pino Nicotri sul blog Arruotalibera. Il testo si intitola 7 aprile 1979, la lezione è ancora valida: troppo spesso il giornalismo è servile, specie quando mancano gli editori puri e abbondano invece quelli affaristi e sostanzialmente suggerisce un’evoluzione – o una nuova età – della strategia della tensione attraverso l’uso dei media. Se in questo post il processo 7 aprile è predominante non solo per questioni di anniversari (domani saranno trascorsi esattamente trent’anni), ma anche perché il giornalista ci venne tirato dentro con l’accusa di essere il telefonista delle Brigate Rosse (“confondendolo” però con Valerio Morucci), Nicotri fa anche altri esempi: quello raccontato in modo ottimo in questo libro (peraltro finito ieri: aiuta a ben comprendere quelle che sono state balle e omissioni spacciate in tutti questi anni sul caso di Emanuela Orlandi) ma anche ciò che si legge ogni giorno sui giornali, emergenze varie comprese. O, aggiungerei, la non verifica della veridicità di determinati allarmi, per i quali ci si accontenta delle denunce penali e degli epiteti istituzionali (salvo poi, in caso di disastro ricredersi o far finta di nulla). Infine racconta anche un’epoca straordinaria in cui, se un giornalista veniva accusato di reati pur gravissimi, trovava la solidarietà di (almeno) alcuni degli editori suoi committenti che scendevano in campo per primi. Ha ragione Nicotri, oggi sarebbe impensabile.

E in chiusura alcuni passaggi del post uscito su Arruotalibera

Ma veniamo ora al vero problema, che si ripete sempre: il caso 7 aprile fu in realtà un sequestro e un processo di massa a mezzo stampa. A tenere gli imputati in galera era il baccano dei mass media, che avvaloravano man mano le balle più colossali rifilate dagli inquirenti che non sapevano più come tenere in piedi una montatura tanto mostruosa quanto vacua […]. Il giornalismo pessimo, però, non quello degno del nome […].

Appena quattro anni dopo il 7 aprile ’79, lo stesso uso vergognoso dei mass media è dilagato alla grande con il caso della scomparsa della cittadina vaticana Emanuele Orlandi, che ancora oggi, a 25 anni di distanza, si insiste a dire sia stato un rapimento, quando invece perfino il giudice Severino Santiapichi, lo stesso che a Roma ha presieduto il collegio giudicante del caso 7 aprile e poi anche del caso Moro, ha dichiarato a più riprese che si è tratto di un “rapimento mediatico”: cioè di balle rifilate ai mass media e da questi ingordamente avvalorate per nascondere i veri motivi della scomparsa della ragazza. Motivi che nulla hanno di politico, ma molto devono avere a che vedere con gli obbrobbri del Vaticano se dobbiamo giudicare dalla ostinata e documentatissima volontà della “Santa Sede” di tacere e sabotare l’inchiesta dei magistrati italiani. Il culmine dell’uso violento e politicamente finalizzato dei mass media è stato senza dubbio l’invasione dell’Iraq, avvenuta grazie alla campagna di stampa a base di panzane sulle “bombe atomiche” e altre armi di distruzione di massa […].

La strategia e l’uso del capro espiatorio è vecchia più del cucco, ma ha sempre funzionato. La gestione del potere costituito e di quello arrembante per perpetuarsi, per poter fare e giustificare le guerre, ha bisogno di costruire società percorse dalla paura e dalle paure. Che portano immancabilmente alla costruzione del capro espiatorio di turno, per scoprire solo dopo che si trattava di un nemico è fasullo.

Processo 7 aprile: un libro a trent’anni di distanza

Standard

Processo 7 aprileA distanza di trent’anni dall’inizio dei fatti, dal 3 al 7 aprile prossimi ci sarà a Padova una serie incontri per raccontare quello che fu il processo 7 aprile, giustamente definito da Emilio Vesce il “prototipo dell’emergenza” giudiziaria. Per il dettaglio degli eventi, si veda quanto pubblicato da Radio Sherwood, ma qui invece ci si vuole soffermare sul libro collettivo attorno a cui ruota la tre giorni veneta, pubblicato dal Manifesto Libri e in uscita proprio nel giorno del trentesimo anniversario: si tratta di Padova trent’anni dopo: processo 7 aprile, voci della città degna nella cui prefazione si legge:

La piccola sperimentazione che abbiamo condotto per produrre questo testo […] ci dice che il tempo è relativo rispetto a principi basilari, fondati su un’idea di mondo che, allora come ora, non coincide per niente con quella che ci viene imposta. Non troverete capitoli titolati in questo testo, ma tanti nomi di persone. I loro nomi, il loro racconto orale trascritto o lo scambio epistolare, sono la forma che abbiamo scelto. Sono i nomi di uomini e donne che, in forme diverse, sono stati attraversati, segnati profondamente, nel corpo e nella mente, da quegli avvenimenti. Sfidando il tempo e la storia ve li consegnamo trasformandoli da imputati, accusati, arrestati, toccati a vario titolo, in testimoni d’accusa contro la rimozione e la falsificazione delle tante storie che ci appartengono. Le loro voci compongono il tessuto di una “città degna” che esiste, oggi come ieri.

“Il Mattino di Padova” a libro ed eventi ha dedicato un articolo ripreso da Global Project. Inoltre all’interno del volume ci sono le testimonianze di e su alcuni dei (loro malgrado) protagonisti di questa lunghissima vicenda giudiziaria, per la quale si mobilitò nei primi anni ottanta anche Amnesty International e non una sola volta. Altra fonte su questa storia è il lavoro di Luca Barbieri che viene pubblicato a puntate a Carmilla, “I giornali a processo: il caso 7 aprile”, e riunito all’interno della sezione Controinformazione. Ciò che accadde prima, a partire dal 1975, dopo il sequestro di Carlo Saronio – involontaria scintilla che contribuirà a innescare anni più tardi il processo 7 aprile attraverso false accuse contro gli ex militanti di Potere Operaio – viene invece narrato in Pentiti di niente (qui per il download del libro).