«Ma non vede quel che succede nel nostro Paese? I nodi vengono sempre al pettine.»
«Quando c’è il pettine», disse malinconicamente Rogas.
Leonardo Sciascia, Il contesto
Questo libro non è una novità editoriale, anche se è stato riproposto più volte (l’ultima quest’anno in versione tascabile). A mano armata – Vita violenta di Giusva Fioravanti (Baldini e Castoldi Dalai) è uscito per la prima volte nel 1992 e il suo autore, il giornalista Giovanni Bianconi, ha tracciato forse uno dei più efficaci ritratti di un periodo, quello a cavallo tra gli anni settanta e gli ottanta con estensioni al precedente boom economico e alla successiva stagione dei processi all’eversione neofascista. Se Giuseppe Valerio Fioranvanti, il bambino prodigio del piccolo schermo che recita nello sceneggiato “La famiglia Benvenuti” per poi diventare leader nero dell’eversione made in Italy, è la figura che accompagna tutta la narrazione, il focus dell’autore si amplia e comprende alcuni dei personaggi, allora giovanissimi, che dal Movimento sociale italiano e dalle sue organizzazioni giovanili saltano la frontiera dell’azione politica e passano al terrorismo.
Carabinieri, poliziotti, rossi, traditori, camerati troppi furbi finiscono sotto il piombo dell’organizzazione che si battezzerà Nar, Nuclei armati rivoluzionari. Che, officiato il battesimo dell’omicidio un po’ come si prova una nuova droga con annessa delusione per un eccitamento che non arriva così potente come immaginato, decide che tutti possono essere nemici. E al pari tutti possono essere alleati. Anche i “compagni”, gli antagonisti per antonomasia, perché quando la guerra è aperta e lo Stato rappresenta in ogni sua forma l’obiettivo da colpire e da abbattere, anche alleanze apparentemente inconciliabili diventano possibili. E se, tra improbabili cessati il fuoco e rappresaglie per un anniversario deriso da una radio libera, queste posizioni possono apparire i deliri di ventenni esaltati, andando ad ampliare ancora il raggio di osservazione, queste alleanze assumono maggiore concretezza e una luce più sinistra. Come accade per esempio con l’omicidio di due militanti del Fronte della Gioventù, Franco Bigonzetti, diciannovenne studente di medicina, e di Francesco Ciavatta, liceale che di anni ne aveva diciotto, di cui scrive Bianconi:
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