Marocco: il martirio di Mouhcine Fikri e la storia di un Paese a cui continuare a guardare

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Khalid Moufid è ben più dell’interprete che ha dato un contributo fondamentale al libro Morire al Cairo. È un profondo conoscitore della situazione mediorientale e interviene con una replica agli articoli dello scorso 31 ottobre in cui si scrive della “nuova ondata della cosiddetta primavera araba in Marocco dopo la tragica morte del pescatore Mouhcine Fikri” (se ne parla anche qui). Ecco cosa scrive in proposito Khalid.

Dopo che in tutti i Paesi arabi si è spenta la candela della libertà, c’è ancora la Tunisia che ha proprio un autunno e stiamo tutti aspettando la fine della caduta delle foglie per capire se diventerà un altro amaro, rigido, freddo e agghiacciante inverno o no. Da semplice cittadino marocchino, vedo che da tante parti si soffia sul fuoco e altri strumentalizzano questa morte per colpire la stabilità geopolitica del Marocco o semplicemente per creare l’ennesima occasione per vendere armi e aprire la strada ai servizi segreti occidentali, oltre a mettere l’ultima zampa sul nord Africa, a pochi passi dello stretto di Gibilterra, dopo che hanno messo gli artigli su Egitto, Libia e Tunisia.

Ho visto tante volte il filmato in cui Mouhcine prova invano a impedire alla polizia di sequestrare la sua merce. Perché, per lui, morire significava difendere il suo secco pezzo di pane e buttarsi dentro la pressa del camion dell’immondizia. Da kamikaze, Mouhcine decide di farla finita scegliendo di sacrificarsi e far consumare il suo corpo mentre si sente una voce robusta affaticata e autoritaria: “Than mou, than mou” (“Pressalo, pressalo”).

Il giorno dopo il monarca del Marocco, atterrito da questo gesto, decide di mandare in fretta il suo ministro dell’interno ad el Housaima, la città del nuovo kamikaze, ma non per oscurare l’immagine dell’accaduto. Lo fa invece per porgere le sue condoglianze, per calmare le anime e soprattutto per punire tutti quelli che hanno portato Fikri a fare quello che ha fatto.

Mouhcine Fikri non è Mohamed Bouazizi e non potrà mai esserlo. È vero che i due uomini hanno protestato contro l’ingiustizia delle autorità, ma Bouazizi ha contestato tutto il regime che comunque aveva compiuto il suo ciclo ed era destinato a cadere. Il povero Fikri, invece, ha compiuto un semplice gesto di disperazione contro un poliziotto povero lui stesso per merce pescata fuori legge e destinata a essere venduta irregolarmente agli angoli delle strade di el Housaima promettendo tanti guadagni.

La storia continua, le proteste vanno avanti e viene pure vista la bandiera del Rif (catena montuosa dove è ubicata la città di el Housaima, tra il mare e il Mediterraneo). Questa zona nord-orientale del Marocco ha una lunghissima storia di guerre e resistenza contro il colonialismo spagnolo e vuole avere il suo statuto territoriale che le riconosce la sua identità berbera e soprattutto la sua lingua e cultura Amazigh.

Tanti sanno solo che il Marocco è un deserto che ha 3.500 chilometri di mare e poche città imperiali, come Marrakesch e Fez. Ma è soprattutto una nazione che manda tanti ma tanti immigrati arabi e africani. In pochi tuttavia sanno che questo Paese qualche anno fa ha festeggiato 12 secoli di regno ed è l’unico Paese arabo che i sultani ottomani non hanno potuto conquistare. Un Paese che, nel Medioevo, ha governato tutto il sud dell’Europa arrivando fino a Marsiglia mentre il Maghreb antico si espandeva dal fiume del Senegal passando dallo stretto di Gibilterra per arrivare alle oasi dell’attuale Cirenaica e della Libia. È stato anche il primo Paese a riconoscere l’indipendenza degli Stati Uniti nel 1777 e che ha un mosaico etnoculturale che raccoglie i Hassani nel sud e berberi sulle montagne del Atlas centrale passando per gli arabi nel centro nord del Marocco.

Quindi, per giudicare bene un regime e per essere obiettivi, bisogna sempre tenere in considerazione tutto questo. Purtroppo la potenza economica e politica e la sola visione che da qui viene fornita di un Paese moderno, sviluppato e liberale, ma bisogna anche mettere in considerazione la ricchezza della cultura e il passato glorioso che sicuramente rinascerà come la fenice da sotto la cenere.