C’è una propaggine bolognese nella vicenda dei diritti cinematografici e televisivi finita sotto l’etichetta di processo Mediatrade, una delle pendenze giudiziarie a carico del presidente del consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi. Si tratta della storia di Gino Agostini e del suo Consorzio Italiano Distributori Indipendenti Film (Cidif), finito ad anni Novanta tramontanti nelle fauci del fu Biscione e che ha segnato un pezzo dell’epopea del grande schermo italiano.
La vicenda viene rievocata in un recente libro pubblicato da Editori Riuniti, Filmgate – Come Berlusconi ha ucciso il cinema italiano, scritto dal giornalista Paolo Negro che ha intervistato il produttore cinematografico Silvio Sardi. Il quale è un insider.
Uno che ha lavorato all’interno del sistema dell’entertainment berlusconiano, che aveva costanti rapporti di lavoro con Paolo Berlusconi e Marcello Dell’Utri e che ha pure giocato la carta dell’investimento sulla società che editava l’edizione piemontese del “Giornale”. Senza dimenticare la ricerca di finanziamenti per sostenere le campagne elettorali dello schieramento di centrodestra. Con l’uscita di “Filmgate”, a inizio primavera 2011, Sarti è stato convocato dai magistrati romani per essere ascoltato come testimone informato sui fatti e il libro è stato acquisito agli atti della procura capitolina.
Marginale è rimasta la saga – perché questo è il termine con cui classificare la vicenda – di Agostini. Eppure l’imprenditore cinematografico – per tutti “il Gino di Bologna” – non è secondaria. Di origini romagnole (era nato a Lugo) e spentosi nel 2007 a 87 anni, negli ultimi anni della sua vita aveva capitanato il “Circuito Cinema”, network di sale che non afferiscono alle grandi catene, e aveva presieduto l’articolazione emiliano-romagnola dell’Agis (Associazione generale italiana spettacolo).
Ma tornando agli anni immediatamente successivi alla fine della seconda guerra mondiale, l’ex partigiano Agostini aveva prodotto film come “L’Agnese va a morire”, tratto dal romanzo di Renata Viganò. In quel periodo lavorava per il Crec (Consorzio regionale degli esercenti), ma è stato negli anni Sessanta, con il Cifid, che sono arrivati i grandi successi: dalla collaborazione con i fratelli Paolo e Vittorio Taviani alla scoperta di un giovane regista e autore destinato a una rigogliosa carriera, Nanni Moretti. Trecento le sale cinematografiche che erano affiliare al Cidif e le produzioni, da quelle più scalcinate ai colossi di Los Angeles, se volevano distribuire, si rivolgevano al “Gino di Bologna”.
Per Agostini, che pur seppe gestire efficacemente anche il molto denaro che girava intorno al suo mondo, non era però solo una questione di quattrini. Raccontano Negro e Sardi in “Filmgate” che, prima dell’avvento della televisione commerciale, comprava i diritti cinematografici dei film americani e poi, quando avevano terminato il giro nelle sale, i diritti venivano regalati alla Rai.
Poi però la storia iniziò a cambiare: le televisioni locali, impostate sulla raccolta pubblicitaria, iniziarono a federarsi intorno a (quasi) un unico soggetto, leggi compiacenti targate Psi in età craxiana aiutavano la loro crescita e agguerriti pool di avvocati giocavano già con le interpretazioni cavillose di Corte costituzionale e cassazione per consentire al nuovo tycoon del piccolo schermo di lasciare il cavo e di passare alle antenne.
Le politiche commerciali divennero così sempre più aggressive. Si pensi per esempio alla strana trattativa per la cessione dei diritti televisivi del Mundialito che si giocò in Uruguay tra il 30 dicembre 1980 e l’inizio del gennaio successivo. Fu una trattativa che in un sol colpo mise fuori Rai ed Eurovisione per l’importo della cifra richiesta (900 milioni di lire dell’epoca) e consentì per la prima volta alle tv berlusconiane di trasmettere quasi in diretta (la diretta vera era solo per la Lombardia; nelle altre regioni le partite andarono in onda con cinque minuti di differita”.
Tornando a Gino Agostini e al suo Cidif, a quel punto iniziano le difficoltà. Racconta in proposito Silvio Sardi a Paolo Negro: “Alla fine degli anni Ottanta, è iniziato il declino inesorabile. Anche qui l’avvento delle televisioni del Cavaliere ha infatti spazzato via di colpo la gloriosa Cidif e tutta la distribuzione cinematografica indipendente, perché per la prima volta si parlava di importanti cifre per accaparrarsi i diritti televisivi […]. Nel 1998, […] dopo avere incontrato un paio di volte il mitico Gino di Bologna, troviamo un accordo per poter rilevare il 100 per cento delle azioni della gloriosa società di produzione e distribuzione. Anche se la Triumph [Distributions, società londinese nata nel 1995 che vendeva diritti televisivi, ndr] venne mantenuta operativa ancora successivamente per permettere la comunicazione del passaggio alla Cidif dei diritti sui contratti precedentemente siglati”.
Da ciò che si sa allo stato attuale, in questa vicenda non ci sarebbe nulla dell’illegalità contestata al premier nella gestione delle sue televisioni. C’è però una vittima che ha rappresentato un pezzo della storia del cinema italiano, il “Gino di Bologna”, spazzato via da un vorace capitalismo dell’emittenza di cui ancora oggi vediamo i risultati.
(Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Domani diretta da Maurizio Chierici)