Censura preventiva: il caso di Victor Marchetti e del suo libro

Standard
Spread the love

Cia - Culto e mistica del servizio segretoNei giorni scorsi mi hanno prestato questo libro, Cia – Culto e mistica del servizio segreto, volume pubblicato da Garzanti nel 1975 che proponeva in italiano l’originale The CIA and the Cult of Intelligence uscito l’anno precedente per le edizioni Alfred A. Knopf. Finora ho letto un terzo di questo libro, che risulta utile a capire meglio i retroscena di eventi come il golpe in Cile, la caduta di Mohammad Mossadeq in Iran, lo sbarco nella Baia dei Porci o gli interventi sub-politici in Indocina, Vietnam e Corea. Ma questo libro merita una nota prima della fine per la storia che precede la sua uscita.

Gli autori, Victor Marchetti e John D. Marks, sono degli insider dei servizi informazioni: il primo, esperto in materia di aiuti militari sovietici ai paesi del terzo mondo, è stato fino al 1969 nel team del direttore della Cia ricoprendo vari incarichi; il secondo invece fu prima consigliere civile per il programma di pacificazione in Vietnam e poi assegnato dal dipartimento di stato statunitense all’ufficio informazioni e ricerca. Quando all’inizio degli anni Settanta entrambi si sono congedati, ormai in rotta con i propri apparati di appartenenza, decidono (prima ognuno per sé usando anche la fiction, poi inizieranno a collaborare) di raccontare cosa significa lavorare come agenti dell’intelligence, conoscono il fenomeno della censura preventiva. Scrive in proposito Marchetti:

La Cia e il governo si sono battuti a lungo con grande decisione e con metodi non sempre corretti, prima per scoraggiare la stesura del libro, poi per impedirne la pubblicazione. Appellandosi a cavilli legali di ogni genere e agitando lo spettro di presunte violazioni alla “sicurezza nazionale”, le autorità sono riuscite a impormi limitazioni senza precedenti all’esercizio della libertà di parola […] ottenendo che la magistratura emettesse nei miei confronti un’incredibile “ingiunzione permanente”, che riconosce alla Cia il diritto di sottoporre preventivamente a censura qualsiasi cosa io scriva o dica, in forma espositiva, narrativa o di altro genere, sui servizi informazioni.

Di fatto Marchetti non ha intenzione di sottostare e si rivolge a Melvin Wulf, direttore legale dell’American Civil Liberties Union, che ingaggia una battaglia legale che porterà i vertici di Langley per tre volte davanti a un giudice. I risultati saranno alterni e alla fine non negativi: a fronte dei 339 tagli effettuati a questo libro in una prima fase, una corte passerà a comprovarne 168 e alla fine ne sopravviveranno solo 27: non altri – e non ulteriori – sono i passaggi “classificati” che non sarebbe il caso di divulgare. E commenta Wulf:

La legislazione americana ha sempre riconosciuto che la censura preventiva minaccia le fondamenta stesse di una società democratica. Prima del 1971, quando il New York Times fu diffidato dal pubblicare di Documenti del Pentagono, il governo federale non aveva mai cercato di ricorrervi e le rare volte che a livello di singoli stati si erano verificati episodi del genere la Corte suprema li aveva sistematicamente denunciati e condannati. Come sappiamo dal caso dei Documenti del Pentagono, l’amministrazione Nixon non si peritò di passare alla storia come il primo governo in duecento anni che tentò di bloccare l’uscita di un giornale. Non riuscì, è vero, a spuntarla: ma per quindici giorni il quotidiano fu effettivamente costretto a sospendere la pubblicazione.

Dieci mesi dopo però ci si riprova con Victor Marchetti e, malgrado la battaglia sembri in partenza persa sia per la risolutezza con cui la Cia si muove presso giudici e giurati che per l’assenza di copertura stampa sulla vicenda, si arriva al risultato accennato sopra. Scrive ancora Melvin Wulf:

La decisione è senz’altro importante. Oltre che autorizzare virtualmente la pubblicazione del libro (anche se la presente edizione non contiene ancora i passi riammessi dal giudice in quanto il verdetto […] diventerà operante solo dopo la sentenza della Corte d’appello […]), essa ha dissacrato la Cia disperdendo quell’alone di autorità quasi soprannaturale che ha sempre circondato l’attività del governo nel misterioso campo della “sicurezza nazionale”. Ci auguriamo che i giudici delle istanze superiori siano d’accordo.

L’edizione italiana, come quella statunitense, contiene ancora parti bianche (quelle corrispondenti ai passaggi censurati). Ciò non toglie che la lettura, fino a questo momento, risulti interessante. Per la storia dei Documenti del Pentagono, invece, se ne può leggere qui

4 thoughts on “Censura preventiva: il caso di Victor Marchetti e del suo libro

  1. Per certi versi notizia attinente, ma più attuale, dall’Espresso di questa settimana:

    Ufficiali e giornalisti – Nei secoli reporter

    Siamo uomini o caporali? Lo Stato maggiore dell’Esercito non ha dubbi: i giornalisti che indossano la divisa part time e fanno da portavoce nelle missioni internazionali restano sottoposti alla censura per tutta la vita. Si tratta della cosiddetta “riserva qualificata”: redattori, inviati, capiservizio che per guadagno o passione prestano brevi periodi come ufficiali. Ma secondo una nuova circolare quando tornano nelle loro redazioni, devono continuare a chiedere il permesso per qualunque cosa: un articolo, una tesi di laurea, una conferenza, uno scritto epistolare, persino «per messaggistica varia e telefonia cellulare». E non importa l’argomento: è “interesse militare” ogni forma di comunicazione che provenga da un ufficiale. Insomma, in servizio per sempre. Peccato che nessuno li abbia avvertiti al momento dell’arruolamento.

Comments are closed.