Caccia al giornalista somalo. Che in molti vogliono zitto o morto

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L’attentato contro Ali Imam Sharmak, il direttore di HornAfrik assassinato a Mogadiscio lo scorso 4 febbraio (terza vittima della stessa emittente: negli ultimi due anni sono stati uccisi anche il proprietario, Ali Iman Sharmake, e uno speaker, Mahad Ahmed Elmi), avrebbe dovuto riportare il dibattito almeno un po’ sullo stato della Somalia – uno stato di conflitto permanente a partire dal 1991, con la fine del regime di Siad Barre – e su quello di chi opera al di fuori delle fazioni schierate con i vari signori della guerra. Perché – torna a ribadire ancora il rapporto 2008 di Reporter Senza Frontiere sul paese del Corno d’Africa – la Somalia è uno dei paesi a più alto rischio per chi fa informazione.

I casi del marzo 1994 di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin sono di certo quelli più noti. E quando si parla di giornalisti stranieri l’eco è spesso elevata, come per il rapimento di una reporter canadese e di un fotografo australiano. Ma la situazione interna è poco battuta dagli organi di informazione. Innanzitutto probabilmente non si sa granché del fatto che in Somalia, malgrado una situazione politica e militare devastante, l’eterogeneità e la professionalità dei giornalisti è di buon livello, anche se le statistiche non lasciano ben sperare per il futuro: lo scorso anno, ne sono stati assassinati otto, feriti quattro e costretti all’esilio una cinquantina. Inoltre sono stati altrettanti – prosegue il rapporto di RSF – quelli arrestati nel Paese.

Politiche le motivazioni di questo bilancio. Così come politiche erano le motivazioni dell’assalto dato all’emittente indipendente Radio Shabelle a metà di settembre 2007 e raccontato su La mia Somalia da Pino Scaccia. E le reazioni contro i giornalisti non sembrano essere meno violente a seconda della zona: lo sono nelle regioni meridionali che ruotano intorno a Modagiscio così come nel Puntland, area nord occidentale annessa al Paese nel 1998 con diatribe che si trascinano ancora oggi, e nel Somaliland, proclamatasi indipendente nel 1991 e – come nel caso procedente – ancora oggetto di contenzioso. Troppo simpatici, poi, i giornalisti somali non devono essere neanche a determinate nazioni estere, a giudicare da articoli come questo. Inoltre, per leggerne di più, Amnesty International ha pubblicato il dossier Giornalisti sotto attacco che contiene dati, ma anche racconti di prima mano. E in esso si legge che:

Amnesty International crede che l’obiettivo degli attacchi contro i giornalisti e i mezzi d’informazione sia quello di nascondere alla vista le violazioni del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto umanitario, commesse da tutte le parti in conflitto […]. L’ondata di attacchi contro i giornalisti e i mezzi d’informazione è molto più di un effetto collaterale della violenza in Somalia. Al contrario, è l’effetto di un sistematico tentativo di limitare il giornalismo indipendente. La situazione per i giornalisti in Somalia è la peggiore che ci sia mai stata dal 1991, quando il governo repressivo di Siad Barre venne rovesciato e iniziò il collasso dello Stato. Il conflitto ininterrotto tra il Governo federale di transizione (Tfg) e i gruppi ribelli su base clanica, molti dei quali riuniti nel Consiglio delle corti islamiche della Somalia, ha causato una diffusa insicurezza e determinato rigide restrizioni alla libertà di espressione.