Uno bianca: dietro una targa

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Di Uno bianca a lungo non si è più parlato. O quasi. E invece ora, nel giro di pochi mesi, le notizie relative alla banda che, tra il 1987 e il 1994, imperversò tra Bologna e le Marche, si infittiscono. Sui giornali di oggi, si dice che la Procura della Repubblica di Bologna è ricorsa contro la decisione del tribunale di sorveglianza di concedere cinque giorni di permesso a Pietro Gugliotta per consentirgli di lavorare presso una comunità religiosa.

A motivazione del ricorso, una relazione della divisione anticrimine della questura di Bologna circa possibili relazioni tra l’ex bandito e la criminalità organizzata. Mentre l’avvocato difensore protesta, la famiglia di Gugliotta – come già in passato – manifesta il proprio dissenso verso una sua scarcerazione e il comitato dei parenti delle vittime insorge. Dice in proposito Rosanna Zecchi in un’intervista a Il Bologna di oggi:

La richiesta di Savi [e si riferisce ad Alberto Savi e all’invocazione di perdono lanciata alla vigilia delle commemorazioni della strage del Pilastro, tempo addietro] ha generato perplessità nel comitato delle vittime. Dubbi, per esempio, su aspetti ancora ambigui come il raid nel campo nomadi o il duplice assassinio nell’armeria di via Volturno: eventi non collegati alle finalità della banda, quelle di sparare per profitto, per portare a termine le rapine. Cosa c’è dietro la Uno bianca? chiesero a Roberto Savi. Rispose: la targa. Una targa, evidentemente, di cui ancora oggi le vittime non leggono bene i numeri.


Al di là degli interrogativi a tutt’oggi irrisolti sulla storia della banda, c’è una realtà la cui presa di coscienza si potrà rimandare ancora per poco. La introduce Walter Giovannini, il pubblico ministero che rappresentò l’accusa contro i Savi e i loro complici nel procedimento bolognese:

Forse un po’ di pudore e il rispetto delle vittime dovevano impedire di fare una domanda di permesso a poco più di un anno dalla scarcerazione. Gugliotta porta il peso morale dei fatti di sangue accaduti dopo che lui ha abbandonato la banda.

L’uomo, infatti, era un agente di polizia e non fece nulla perché si fermassero i fratelli Savi. E, pur non essendo stato riconosciuto colpevole di nessun omicidio, venne condannato a una pena di 28 anni di reclusione, sommando le sentenze di Bologna e di Rimini. Poi gli venne riconosciuta la continuazione e gli anni scesero a 20. Altri tre stralciati dall’indulto, la buona condotta e perizie psicologiche favorevoli: morale della sottrazione, Gugliotta tornerà libero nell’estate 2008. Ed proprio questo il punto: a meno di nuove indagini e di nuove notizie di reato, occorre iniziare a fare realmente i conti con il fatto che prima o poi lui e i suoi complici potranno lasciare il carcere. Gli altri cinque componenti della banda (i fratelli Roberto, Fabio e Alberto Savi, Marino Occhipinti e Luca Vallicelli) non lo potranno fare probabilmente mai del tutto essendo stata comminata loro la pena dell’ergastolo e saranno comunque sottoposti a misure restrittive della libertà personale.

Ma è possibile ipotizzare ciò senza che sia mai stata fatta totale chiarezza sui crimini di cui si macchiarono? Per la giustizia non sono terroristi, ma rapinatori, eppure agirono come terroristi. La loro storia qua e là tocca tangenzialmente l’eversione di estrema destra nazionale e straniera, ma non si sa a tutt’oggi se per via di coincidenze o di un disegno prestabilito (o, meglio, la giustizia sostiene la prima versione ma le ricostruzioni sono spesso incoerenti e non fanno scartare la seconda). Ci sono i rapporti con trafficanti d’armi dell’Europa orientale finiti in manette (uno nello specifico, poi rimesso in libertà per vizi procedurali) forse non sufficientemente sondati e che difficilmente si possono ridurre alla vendita di un singolo kalashnikov una tantum. Ad arresti effettuati e processi avviati, i familiari delle vittime hanno subito minacce anonime e pressioni: segno che fuori c’è qualche mitomane che si diverte sulla pelle altrui senza subire conseguenze (possibile) oppure che una rete di complici mai individuati ha continuato a funzionare anche dopo la neutralizzazione dei criminali (altrettanto possibile). E poi c’è la questione dei depistaggi sulle cui responsabilità e motivazioni ci ha pensato venti giorni fa la prescrizione a tirare un colpo di spugna.

I familiari delle vittime – ma anche quelli dei banditi, a leggere le dichiarazioni dei congiunti di Gugliotta – temono il rilascio di “quelli della Uno bianca”. E non è solo una questione di rispetto e pudore, come pur giustamente dice Giovannini, è anche una questione di sicurezza per i parenti e più in generale per i cittadini. Perché, se dietro la Uno bianca, ci fosse stata solo una targa, oggi non ci sarebbero ancora tante domande senza risposta.