Seconda assoluzione per il delitto Calvi. Di questa sentenza sarà molto interessante leggere le motivazioni, quando usciranno, per capire in che modo Roberto Calvi è stato ucciso per la seconda volta e che differenza c’è rispetto al primo grado (che si avvaleva del secondo comma all’articolo 530 del codice di procedura penale. Questo). E a proposito di questo caso e di diversi altri collegati, ecco cosa scrive Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna, a prefazione di E rimasero impuniti.
Questo libro dimostra che c’è un livello di impunità tutt’altro che marginale in questo Paese. Il caso Calvi, presentato all’inizio come un suicidio al quale in pochi hanno creduto, si è delineato per quello che in realtà era: un omicidio. Un omicidio per il quale, però, non ci sono colpevoli, allo stato attuale, ma solo degli imputati, già assolti in primo grado.
Era il 18 giugno 1982 quando il banchiere Roberto Calvi venne trovato impiccato sotto il ponte di Blackfriars, sul Tamigi. Sono passati quasi ventotto anni da allora, ma la sua morte e i processi che sul suo caso furono aperti tracciarono un’epoca intrisa di affarismo e giochi finanziari che videro incrociarsi il “salvatore” della lira Michela Sindona, lo IOR (la banca del Vaticano), la loggia massonica P2 e alcuni esponenti di spicco della banda della Magliana e della mafia (come Giuseppe Calò, Francesco Di Carlo e altri). Infine non è mancato il più volte inquisito Flavio Carboni.
Sono trascorsi ventotto anni in cui, oltre a dare un riscontro di verità a quella morte, l’Italia dovrebbe avere subito un riassetto in cui certe spericolate operazioni e il mondo che faceva capo alla cosiddetta prima Repubblica avrebbero dovuto essere un retaggio del passato. Un retaggio a cui si sarebbe potuto guardare dicendo che ormai siamo immuni da certe situazioni.
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