“Paranormal activity”: l’irrazionalità di ataviche paure interiori

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Paranormal Activity

Attenzione che potrebbe seguire uno spoiler. Il lettore è avvisato e se proseguirà lo farà a proprio rischio e pericolo. Perché, nelle righe che vanno a comporre questo articolo, si affronta un film che ha fatto molto parlare di sé. Si tratta di Paranormal activity, la pellicola scritta e girata dal regista israeliano Oren Peli che se ne sta per uscire con un altro lavoro ai confini della mitologia più contemporanea, Area 51. E iniziamo con una conclusione: il finale proposto sul grande schermo poteva essere più convincente. Dopo aver costruito tanta suspense, la sapienza messa in una storia che, anche quando non spaventa, per lo meno inquieta, avrebbe fatto sperare in qualcosa di più orrorifico di una pattuglia del 911 dal grilletto troppo facile. Ma su questo viene in soccorso la Rete perché esiste, nei meandri del web, un finale alternativo e più cruento.

Torniamo però indietro e ripartiamo da una (seppur breve) tradizione inaugurata da un film per certi versi analogo. Era il 1999 quando nelle sale cinematografiche irrompeva The Blair Witch Project, storia di una banda di irriverenti filmmaker sulle tracce di una strega nata dalla leggenda. Una leggenda in grado però di influenzare menti deboli, a dar retta alla vulgata popolare, quanto basta a regalare di che scrivere ai più sanguinari dei cronisti di nera. Avranno modo di ricredersi, gli studenti di cinema, dunque, e lo faranno fin troppo rapidamente: nel giro di pochi giorni, una serie di fenomeni – non si capirà se di umana o sovrumana origine – li farà uscire di testa abbastanza da annientarli nei boschi del Maryland.
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