Ecco un libro che, per gli amanti del genere (anche se un testo di questo tipo soffre a essere ridotto all’interno di “gabbie di genere”), è un cult. Si tratta dell’opera di Raymond Rudorff intitolata Gli archivi di Dracula e in uscita tra un paio di giorni per i tipi di Gargoyle Books, casa editrice apprezzata da queste parti. Il volume, pubblicato per la prima volta nel 1971, è importante per una serie di ragioni. La prima, l’originalità dell’approccio dell’autore, giornalista inglese e scrittore con una bibliografia composta da una quindicina di titoli, tra saggi e romanzi:
Rudorff, però, si spinge oltre l’analisi storica e converte la sua somma erudizione in creatività: con superba maestria, utilizza i dati acquisiti e la conoscenza delle tradizioni popolari e religiose transilvane per dare vita a una narrazione dall’avvincente ed elegante impianto gotico. Una narrazione non esente dalle suggestioni visive della filmografia Hammer che, maggiormente interessata a far emergere le potenzialità sadiche del vampiro piuttosto che i suoi tormenti interiori, ha reso in termini più sofisticati e compiuti ciò che il precedente cinema horror aveva soltanto tracciato: l’indomita attrazione per il terrifico come mistero profano con cui è possibile misurarsi e non soltanto rimuovere.
La seconda, la trama, che coniuga in parallelo fatti contemporanei (alla vicenda, ambientata alla fine del XIX secolo) e vicende ancestrali:
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